Remo Bodei

In occasione del n.16 della Rivista di Psicologia Archetipica L’Anima Fa Arte – SCHERMI, ho avuto l’onore di intervistare uno dei più grandi filosofi del panorama mondiale: Remo Bodei. [CLICCA QUI PER LEGGERE LA RIVISTA GRATUITAMENTE]

Parlare con lui al telefono è stato un immenso onore per me. È stato molto disponibile e abbiamo parlato per una buona mezz’ora. Ho trovato un uomo, un pensatore umile e intellettualmente onesto. Cosa, come ben sai, molto rara. 

C’è stato un momento in cui ho sentito un sentimento misto, tra soggezione e ammirazione, quando mi ha raccontato che qualche giorno prima si era confrontato con il Dalai Lama, discutendo della differenza tra meditazioni occidentali e meditazioni orientali.

Parte di quella telefonata è riportata in questa intervista.

Non ti rubo altro tempo e ti auguro una buona lettura. 

L’intervista: Psicoanalisi e Filosofia

Gentile professore bentrovato.

Fin dagli inizi della sua carriera ha lavorato a stretto contatto con la psicoanalisi. Tra i suoi primi lavori mi ha colpito molto quello del 1974 intitolato Letteratura e Psicoanalisi. Nel 1930 Sigmund Freud fu insignito del premio Goethe alla letteratura. Che legame c’è, quindi, tra queste due dimensioni culturali?

Era un periodo nel quale con Francesco Orlando, professore di letteratura francese, si discuteva molto riguardo questi argomenti. Nelle grandi personalità della psicoanalisi come Freud, Lacan, Jung, c’è sempre stato l’interesse per la letteratura. Freud ad esempio prese molto da Dostoevskij o dallo stesso Goethe. Per la psicoanalisi la letteratura è stata un luogo d’eccellenza per trovare le proprie strutture. Inoltre, per un austriaco e per il mondo germanico, la letteratura è sempre stata un punto di riferimento.

Parlando sempre di legami, come la filosofia ha influenzato la psicoanalisi?

A volte esageriamo dando troppa importanta all’ipotetica influenza di Nietzsche su Freud. In realtà, più Arthur Schopenhauer è stato presente a Freud, soprattutto attraverso il Mondo come volontà e rappresentazione.
Ad esempio tutta la questione della sessualità, proposta da Sigmund Freud, nasce con Schopenhauer che introduce il concetto del polo dei genitali. In Nietzsche la questione della sessualità non c’è. Così come l’idea del desiderio di morte: eros e thanatos esistono in Schopenhauer.

C’è stato un filosofo che è stato preso in scarsa considerazione dalla psicoanalisi, o che ha avuto poca influenza rispetto a quella che poteva avere?

In termini di contemporaneità di Freud, ad esempio, mi viene in mente Ludwig Wittgenstein. Il filosofo austriaco non era conosciuto dalla psicoanalisi.
Manca inoltre tutto l’idealismo tedesco, perché l’insegnamento austriaco non contemplava l’idealismo, come ad esempio Hegel. Nell’insegnamento austriaco si studiava Leibniz, Kant, Von Hartmann, per poi saltare direttamente al presente. L’hegelismo era considerato sovversivo.
Lacan ha utilizzato molto Hegel. La funzione dello specchio e la tematica del riconoscimento che sono presenti nella fenomenologia di Hegel, sono state assorbite da Lacan grazie ad Alexandre Kojève durante le sue lezioni.
Uno che invece ha avuto molta importanza nel pensiero di Freud, ma che troppo spesso dimentichiamo, è Aristotele. Freud seguì per due anni le lezioni di Brentano (fondatore della fenomenologia) curandone le dispense sul filosofo greco. Aristotele ha avuto una grande importanza per la psicoanalisi per quanto riguarda la struttura argomentativa.

Che cos’è la memoria? Sembra che in psicologia il trauma sia una “questione mnemonica”. James Hillman ci suggerisce che la parola inconscio andrebbe sostituita con la parola memoria (Il mito dell’analisi). Il tempo addirittura, secondo la fisica contemporanea, esiste solo nella memoria. Cosa ci può dire a riguardo di questa componente umana di cui si parla sempre di più?

Mi sono occupato molto della memoria. Come ha osservato il grande storico del secolo breve, Eric Hobsbawm, la nostra società cammina così velocemente che, soprattutto nei giovani, c’è una perdita di memoria storica. La memoria in passato rappresentava la saggezza ed era portata dai senex. La memoria accumulata, ovvero quella storica, era molto importante. Da Machiavelli in poi, i giovani sono diventati preferibili ai vecchi, così la memoria ha perso d’importanza rispetto al “colpo d’occhio” e all'”audacia”.
Oggi nel collettivo si parla nuovamente di memoria grazie all’elettronica. La memoria soggettiva perde importanza, mentre la memoria oggettiva e le banche dati acquisiscono importanza. La memoria viene percepita oggi, come un fattore di perdita e il soggetto si affida sempre più a memorie esterne.

Per molti anni è andata di moda la psicologia dell’Io la quale, però, è stata recentemente “scomposta”.
Nei suoi lavori: Scomposizioni e Destini personali, racconta il processo di scomposizione della coscienza e dello stesso Io. Come possiamo descrivere oggi la coscienza?

Innanzitutto io farei una riflessione filologica. All’inizio la coscienza era collettiva e non individuale. Sinedesis in greco significa sapere con, mentre in latino i conscientes erano i congiurati, quindi i portatori di un sapere esclusivo ma collettivo. Infine, il termine coscienza deriva da cum-scio, ovvero sapere insieme.
Poi c’è stato un processo che ha portato all’individualizzazione della coscienza: dal demone di Socrate alla nostra idea di interiorità.
Oggi sappiamo che la coscienza non è interiorità. O meglio ancora che non esiste una differenza tra mondo cosciente e mondo incosciente, tra esterno e interno.
Conosce il nastro di Möbius? È una superficie che non ha un dentro e un fuori, più precisamente il dentro e il fuori coincidono. La psicologia dell’Io ha subìto un deperimento proprio per questo.

Quindi si sta sgretolando il concetto dentro-fuori?

Non c’è una barriera tra questi due concetti. Dentro e fuori sono un’astrazione rispetto ad un’unità. L’io senza i rapporti con gli altri è un fantasma. Il nostro Io si forma come una corda che si intreccia attraverso i fili degli altri. Dentro l’io troviamo il noi.

Il suo ultimo libro parla del concetto di Limite. In che modo possiamo collegare la dimensione del limite alla follia?

Io collegherei il limite più che alla follia, al delirio.

L’etimologia di delirio è de [andare oltre] e lira [solco, seminato], quindi andare oltre il seminato. Il termine tedesco verrückt, che indica la follia, significa spostamento. La follia contiene in sé l’idea dell’oltrepassamento del limite, o di quello che si crede essere il limite. Ovviamente dobbiamo tenere sempre in considerazione i fattori storici che “delimitano” ciò che è folle da ciò che non è folle.

Perché a volte sentiamo il bisogno di andare oltre il seminato? Perché nel seminato c’è la sterilità, nel seminato scorre l’acqua, quindi non si semina perchè nell’acqua non può crescere nulla, solo uscendo dal seminato troviamo la fertilità.

Quali sono i deliri contemporanei?

Un delirio classico è quello di credere di sapere tutto. Per cui uno pontifica a partire da alcuni articoli di giornale o da quelli presenti in rete. Come diceva Umberto Eco, ormai qualsiasi imbecille può avere una platea enorme. Non possiamo dominare un mondo così complesso, quindi deliriamo andando al di là delle nostre capacità.
Mi ci metto anch’io nel momento in cui sto parlando. Si riducono il delirio e la stupidità conoscendo l’argomento. Ma ovviamente il processo di conoscenza non elimina il pericolo, siamo sempre sottoposti ad errore.
Una delle cose che mi piace di Artistotele è che non dice questo è così, ma questo mi sembra sia così. Anche Freud ha riconosciuto gli errori che ha fatto ed è cambiato. È un segno di grande onestà intellettuale.

Prima abbiamo parlato di Wittgenstein. Cosa potrebbe dare alla psicoanalisi di oggi questo filosofo di ieri?

In Wittgenstein non ci sono delle sostanze dietro. Esistono, come dicevano gli Stoici, gli eventi di cui è fatto il mondo. Non esiste la differenza tra l’apparenza e ciò che è nascosto dietro questa apparenza. La psicoanalisi potrebbe essere legata a questo aspetto, anche se non è stato teorizzato. Ci sono gli eventi e il racconto che facciamo di essi. È il racconto stesso e l’interpretazione che ne facciamo che formano il significato. Questo significato però non ha una base metafisica sottostante. Ovviamente dobbiamo stare attenti a non ridurre tutto ad uno storytelling, come va di moda oggi, perché rischieremmo di perdere di vista il senso della verità.

Anche le emozioni, i sentimenti e i pensieri sono accadimenti?

Certo, sono eventi nel senso di Hume. David Hume diceva che tutte le nostre percezioni ed esperienze sono dei fasci. Noi assembliamo la tristezza attraverso varie esperienze e ne facciamo un concetto. Io riconosco i sentimenti perché faccio un fascio di eventi e me ne danno una rappresentazione. Non esiste la gelosia in sé o l’ira in sé, al di fuori di queste autopercezioni che abbiamo.

Quale può essere il futuro della psicoanalisi?

C’è stato un periodo di totale rifiuto per la psicoanalisi, nel quale sembrava fosse morta. Mentre il bisogno di interrogare se stessi rimane sempre vivo.
Un luogo per il futuro della psicoanalisi è l’interculturalità, il mondo. In India, in Argentina o in Cina, ad esempio, la psicoanalisi ha delle caratteristiche diverse perché il modello culturale è diverso da quello viennese – austriaco o svizzero.
La psicoanalisi dovrà studiare e sistematizzare queste diversità e ricchezze culturali.

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Info sull'autore

Michele Mezzanotte

Psicoterapeuta, Direttore Scientifico de L'Anima Fa Arte. Conferenziere e autore di diverse pubblicazioni.

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