Paura del Coronavirus

Le due più grandi sventure nella vita sono una cattiva salute e una cattiva coscienza (Lev Tolstoj)

In questi giorni i media sono colmi di notizie e avvisi sul Coronavirus, una patologia che ha costretto una megalopoli cinese a entrare in quarantena e interi sistemi sanitari ad attivare protocolli di emergenza.

Ci sono paure in grado di sovrastarci. Ci sono fobie in grado di condizionare la nostra vita. Ci sono allarmi in grado di modificare le nostre abitudini, dalle più elementari alle più complesse. E quando scoppia un’allerta sanitaria, provocata da un virus appena scoperto, di cui si sa ben poco, beh, il nostro sistema cognitivo subisce un allarme difficile da gestire.

La paura è un sentimento fondamentale per la nostra sopravvivenza. È un campanello d’allarme che ci richiama a mettere in atto strategie per proteggerci, per essere in grado di reagire velocemente e con più efficacia davanti a una minaccia. La paura è un sentimento dell’anima. E quando è scatenata dal terrore di un virus coinvolge la nostra ombra e corde nascoste di noi.

Proviamo a cercare un senso alla paura del Coronavirus alla luce della psicologia archetipica.

La sfida dei virus ai luoghi del nostro tempo

Le persone giungono sempre al momento giusto nei luoghi in cui sono attese (Paulo Coelho)

Diversi film catastrofici hanno inizio con la scoperta di un virus misterioso che inizia a infestare una comunità. E quando le autorità chiudono città e villaggi, beh, quello è il momento del film in cui escono fuori gli eroi, che fronteggiano il panico diffuso. A volte, il confine tra realtà e finzione scompare. A volte, la vita reale sembra essere un film.

Ma se spesso ci troviamo a guardare un film, a esserne coinvolti e a provare emozioni davanti alle storie dei protagonisti, può capitare che la realtà ci porti a confrontarci faccia a faccia con la paura, con il terrore. Vorremmo poterci svegliare e dirci che è stato solo un brutto sogno. La realtà, a volte, sa metterci a contatto con le nostre paure più profonde.

Un virus sconosciuto e micidiale ci porta davanti alla necessità di aumentare le distanze sociali. Alcuni vademecum sanitari, ad esempio, consigliano di mantenere distanze di circa 3 metri l’uno dall’altro nei locali pubblici, nelle zone più esposte al contagio. I virus sembrano sfidare il nostro mondo. Già, perché nelle megalopoli, negli agglomerati urbani, nelle metropolitane, negli aereoporti, nei supermercati…nei luoghi del nostro tempo, i virus sembrano trovare il loro posto ideale.

Come possiamo mantenere distanze di 3 metri l’uno dall’altro nella metropolitana all’ora di punta o in fila alle casse del supermercato?

È una strategia praticamente impossibile da mettere in pratica senza dover rinunciare alla nostra vita di tutti i giorni. Ecco una delle cause psicologiche del terrore di un virus: sembra inevitabile.

È una sfida alla modernità. Ed il virus assume le sembianze della Grande Madre che vuole riportarci al contatto con la nostra natura: possiamo costruire grattacieli sempre più alti, mezzi sempre più veloci e supermercati sempre più lussuosi, ma la Natura sfiderà sempre la nostra modernità.

Strategie di difesa

La salute è responsabile di ogni singolo individuo. La maggior parte dei problemi ha componenti importanti nello stile di vita. Il medico viene chiamato in causa quando ormai è stato già raggiunto un certo livello di danno. Ecco perché al Gesundheit abbiamo un cartello che recita: per favore vivete una vita sana – la medicina è una scienza imperfetta (Patch Adams)

Dicevamo che la paura è un campanello d’allarme. È il segnale per attivare strategie per difenderci. Una buona abitudine è quella, ad esempio, di lavarsi le mani spesso e in modo approfondito.

Una buona abitudine e di facile attuazione. Ma la paura può assorbirci a tal punto da trasformarsi in fobia. La paura che invade sa trasformare una buona abitudine in ossessione. E dal lavarci le mani quando serve, possiamo trovarci a lavare le mani continuamente, fino quasi a scarnificarle. La fobia ci può portare ad aver paura di toccare qualsiasi cosa, qualsiasi oggetto, qualsiasi persona. La nostra vita vive anche attraverso il senso del tatto e rinunciarvi significa rinunciare a una parte del nostro cosmo.

In modo simile, un’altra strategia suggerita nelle zone a forte rischio contagio è quella di indossare sempre una mascherina che copra bocca e naso. Una barriera per i virus. Una difesa da noi e per noi. Sicuramente è una strategia indispensabile nelle zone a forte rischio. Ma come forma di prevenzione assume i contorni di una prova faticosa da realizzare. Immaginate gli occhi sospettosi dei vostri compagni di viaggio su un treno, un autobus o una metro.

Sareste disposti a mettervi una barriera di tessuto sul viso per difendervi dagli altri e per difendere gli altri da voi?

Possiamo avere davanti agli occhi innumerevoli suggerimenti e indicazioni di comportamento, ma ognuno di questi ha un costo, fisico e soprattutto psicologico.

Sono suggerimenti di prevenzione, per ridurre il rischio di contagio. Sono comportamenti che, presi con consapevole lucidità rallenterebbero il contagio. Tuttavia sono comportamenti che si scontrano con le nostre abitudini e con le norme implicite della nostra epoca.

Se non siamo disposti a cambiare le nostre abitudini di consumo di acqua, di plastica e di energia, avendo la certezza delle conseguenze tragiche dell’inquinamento, quanto è complesso cambiare le nostre abitudini per ridurre la possibilità di un contagio da un virus che nemmeno conosciamo?

La paura di avere paura

Siamo minacciati dalla sofferenza da tre versanti: dal nostro corpo, condannato al declino e al disfacimento e che non può funzionare senza il dolore e l’ansia come segnali di pericolo; dal mondo esterno, che può scagliarsi contro di noi con la sua terribile e formidabile forza distruttiva; infine, dalle nostre relazioni con gli altri (Sigmund Freud)

Ciò che molto spesso ci spaventa più di tutto è la paura stessa.

Pensate agli attacchi di panico: sono il palcoscenico in cui la paura insegue se stessa e prende forma concreta. Ciò che è ignoto e sconosciuto dà costantemente un sentore di paura. Paura che si amplifica, che rimbomba nella nostra mente, nella nostra anima. Ciò che più ci spaventa è avvolto dal mistero, dall’incertezza. Ci spaventa ciò che non riusciamo a gestire.

Come gestire un virus che ci spaventa?

Parliamo di qualcosa di invisibile, che sembra provenire da continenti lontani. La classica influenza a mala pena ci sfiora…esistono i vaccini e poi sembra un appuntamento fisso, cadenzato, conosciuto. Un virus che viene dalla Cina invece non possiamo conoscerlo.

Poco importa se i virus non hanno un passaporto e non hanno una città di nascita. Poco importa se i virus sono specie-specifici, ovvero ci colpiscono proprio per il nostro essere umani. Importa ancora meno se i virus ci sbattono davanti alla realtà che ci sono forze naturali, microscopiche e potenti, che ci ricordano la nostra finitezza.

La paura delle malattie estere riesce ad avvolgere. I virus che decidiamo essere stranieri si travestono da Apate, la divinità dell’inganno. Non fraintendetemi: in campo sanitario c’è ben poco su cui scherzare. Ciò che è ingannevole è la personificazione che facciamo dei virus e delle malattie. Qui è l’inganno, qui è l’arte di Apate. Ed in questa opera ingannevole getta le radici il panico, il sentimento del dio Pan. E anziché riuscire a concretizzare le buone azioni ecco che ci possiamo scoprire, con disarmante semplicità, ad aver paura della paura stessa.

Conclusioni

La salute non analizza se stessa e neppure si guarda nello specchio. Solo noi malati sappiamo qualche cosa di noi stessi (Italo Svevo)

Siamo connessi.

Continuamente.

Tempo e spazio sono diventati fenomeni percettivi sottilissimi. E così per i sentimenti “oscuri” è più facile viaggiare da persona a persona. Essere a conoscenza dell’esistenza di malattie è adattivo, ci aiuta a sopravvivere e a vivere meglio.

Dovremmo fermarci a riflettere del perché alcune patologie formano in noi più panico di altre. Banalmente il l’AIDS oggi spaventa molto meno dall’infezione da Coronavirus.

Come possiamo spiegarcelo?!

La nostra mente risente dell’epopea di Odisseo, il padre della menzogna. Proviamo a dare un senso e una concretezza anche all’invisibile. E così ci scopriamo a perderci nei meandri della nostra paura di avere paura. Respirare. Respirare e guardarci allo specchio della nostra anima è la migliore strategia per accogliere le nostre paure e dare loro lo spazio che meritano, senza permettere loro di sconvolgerci, di travolgerci. Vale per i virus venuti da lontano e per tutti i fenomeni dell’anima. La paura è un’emozione sana, che ci aiuta a sopravvivere e a vivere bene. Ma ha bisogno di uno spazio delimitato. È giusto aver paura, ma non possiamo permettere alla paura di sommergere la nostra vita.

P.S. CLICCA QUI per leggere “Al cospetto del dio Pan. Strategie per affrontare l’attacco di Panico”

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Info sull'autore

Teresa Di Matteo

Psicologa, Psicoterapeuta in formazione

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