Anche se sapessi che la fine del mondo è per domani, io andrei ancora oggi a piantare un albero di mele. (Martin Lutero)

Quest’anno il solstizio d’estate coincide con la fine del mondo.

Nel 2012, alcuni hanno aspettato il 21 dicembre come la data in cui decretare la fine dell’umanità se non addirittura della Terra. 21 dicembre 2012 versus 21 giugno 2021. Due date estrapolate da “calendari” del popolo Maya; due date tradotte nei nostri calendari occidentali; due date che rappresentano la fine dei calcoli astrali di un popolo antico che ha catturato spesso la nostra curiosità. C’è un fascino nascosto dietro le profezie, specialmente verso quelle che raccontano di catastrofi e di “fine del mondo”. Proviamo a cercare insieme i fondamenti psicologici per questo fascino.

Predire il futuro

Il Libro della Vita comincia con un uomo e una donna in un giardino. E termina con l’Apocalisse. (Oscar Wilde)

Conoscere il nostro futuro potrebbe esserci utile? Come si modificherebbero i nostri comportamenti, i nostri pensieri, il nostro stile di vita? Se scoprissimo con certezza il giorno in cui terminerà la nostra vita, quanto sarebbero diversi i nostri giorni?

Se pensiamo all’abitudine di leggere l’oroscopo, se pensiamo anche alla semplice abitudine di guardare il meteo, ci possiamo rendere conto di quanto è rassicurante per ciascuno di noi cercare delle ancore, dei confini, per orientare il nostro comportamento. “Se piove, possibilmente non indosserò scarpe bianche e porterò con me un ombrello”. E se il mio oroscopo domani porterà una luce negativa sulle mie prospettive lavorative, quanto sarò condizionato?

Non ci sono fondamenti scientifici a spiegare le piccole profezie quotidiane che troviamo sui quotidiani o in tanti programmi tv. Eppure esistono e continuiamo a guardarle. E spesso ci sentiamo rassicurati dalla loro presenza. Qualcuno o qualcosa che ci suggerisce come comportarci, quanto e se rischiare, quanto e se impegnarci: un incredibile aiuto, giusto?!. Così possiamo adattare le nostre aspettative e, potenzialmente, ridurre il rischio di delusione.

Quanti di noi hanno un portafortuna? Un oggetto, un indumento, un rito, una realtà che ci aiuti a gestire l’ansia e la pressione. Qualcosa che ci dia sicurezza. Nelle sfide di ogni giorno, tutti avremmo bisogno di un aiutante. O di un incantesimo in grado di capovolgere l’ordine degli eventi. Abbiamo un po’ tutti letto favole con aiutanti, magie, oggetti magici, incantesimi. Siamo cresciuti leggendo storie di personaggi che incontravano il proprio destino, come se questo fosse già segnato. Pensiamo a Harry Potter e al suo destino inevitabilmente connesso con quello del suo nemico, della sua antitesi: sin dai primi momenti di vita, Harry porta il marchio di un destino che non può evitare. Se fosse così anche nella vita reale, nessun adolescente avrebbe il dubbio su quale percorso seguire, quale formazione, quale esperienza. Avremmo un percorso con una fine già stabilita.

Gli eroi dell’antica Grecia avevano un destino ben definito, sapevano che la loro esperienza di vita avrebbe dovuto coincidere con una morte eroica, degna di essere ricordata per epoche intere. Il più grande terrore per questi uomini era l’oblio, una condanna più pesante di qualsiasi punizione. Vivevano con l’aspirazione fi un destino chiaro e inevitabile. Un destino che si trasformava costantemente in un codice di comportamento, una guida certa per gli avvenimenti quotidiani.

Con il passare dei secoli questa guida certa è fortunatamente mutata. Non viviamo per avere una morte onorevole. Molti di noi impostano comportamenti e pensieri per ottenere una vita pacata, una vecchiaia serena. Molti di noi lavorano per potere garantire un presente e un futuro alla propria famiglia. Tuttavia, le possibilità della vita sono tali e tante da richiamare costantemente la natura incerta dei nostri giorni. E i nostri giorni assumono le sembianze polimorfe della Grande Madre, colei che può contemporaneamente essere nutrice ed esecutrice. Giorni positivi e di crescita o giorni in cui avremmo preferito restare a letto.

Profeti e profezie

Il mondo non verrà distrutto da una bomba atomica, come dicono i giornali, ma da una risata, da un eccesso di banalità che trasformerà la realtà in una barzelletta di pessimo gusto. (Carlos Ruiz Zafón)

Ci sono templi, rupi, costruzioni create nei secoli proprio per avere luoghi in cui interrogare il destino. Si offrivano sacrifici e riti per avere la garanzia di aiuto da divinità più o meno benevole. Si poteva assistere ad una dinamica di trattativa tra l’umanità e la divinità, un modo per rendere più realistico e rassicurante il rapporto con il futuro. Oggi in diverse culture si continua a interrogare il fuoco, le stelle, i fondi del caffè, le carte, pur di avere una chiave di lettura a cui affidarci.

Il futuro ha sempre creato paura. Nella storia delle religioni monoteiste i profeti hanno rivestito un’importanza fondamentale, persone che, per via del loro rapporto con il mondo divino, erano in grado di cogliere e raccontare realtà che dovevano ancora diventare presente. Il futuro appartiene al mondo divino. Il futuro è un concetto che non può essere rappresentato in forma concreta, se non prima che si verifichi. È un concetto che non possiamo disegnare se non con un grande esercizio di immaginazione e di fantasia. Come tutto ciò che possiamo solo immaginare, anche il futuro si accompagna ad un alone di mistero, di incertezza, di paura. Ancora di più: l’idea di futuro si unisce inevitabilmente con la paura della morte. Perché è l’unica reale certezza che ci appartiene: la morte è inevitabile.

Se ciascuno di noi potesse avere a portata di mano la data della propria morte, forse, avrebbe la possibilità di organizzare la propria vita e di non lasciare nulla di intentato, nulla in sospeso. In antitesi, ognuno di noi, conoscendo il giorno della propria morte, potrebbe vivere con la costante angoscia di una fine che si avvicina, una condanna a cui non è possibile sfuggire. E allora perché una profezia di catastrofe è in grado di affascinare?

Credo che in ognuno di noi viva una parte alchimista, un istinto o una spinta di “magia”, che proviamo a utilizzare per dare una rotta alle nostre paure. Leggere una profezia (o semplicemente un oroscopo su un quotidiano) ci dà un assaggio della potenza mistica dei profeti; è un mezzo per sentirci meno terreni e più celesti. Confrontarci con la profezia della fine del mondo è un assaggio del confronto con la morte, è un incontro con una delle poche incrollabili certezze che ogni essere vivente possiede: la propria fine. E se la fine di un individuo coincide con la fine di un’intera specie o di un intero pianeta, sembrerebbe quasi che il destino sia meno crudele, meno bizzarro. La fine del mondo, calcolata da un oracolo o da un popolo lontano secoli dalla nostra realtà, sembrerebbe quasi un’assoluzione per le colpe del nostro presente: guerre, inquinamento, obesità, tabagismo diventerebbero tutti fenomeni nulli, spariti alla scadenza naturale del Mondo.

Conclusioni

“Avvicinatevi tutti, e guardate questi visi del passato: li avrete visti mille volte, ma non credo che li abbiate mai guardati. Non sono molto diversi da voi, vero? Stesso taglio di capelli, pieni di ormoni come voi. E invincibili, come vi sentite voi! Il mondo è la loro ostrica, pensano di esser destinati a grandi cose come molti di voi. I loro occhi sono pieni di speranza: proprio come i vostri. Avranno atteso finché non è stato troppo tardi per realizzare almeno un briciolo del loro potenziale? Perché vedete, questi ragazzi ora sono concime per i fiori. Ma se ascoltate con attenzione li sentirete bisbigliare il loro monito. Coraggio, accostatevi! Ascoltate! Sentite? “Carpe”, “Carpe diem”, “Cogliete l’attimo, ragazzi”, “Rendete straordinaria la vostra vita”!” (Dal film “L’attimo fuggente”)

Le profezie ci rendono alchimisti; ci mettono a confronto non solo con l’imperscrutabilità del futuro, non solo con la certezza inalienabile della nostra finitezza, ma anche con il Vecchio Saggio che abita ciascuno di noi. Provare a immaginare il giorno della fine dell’umanità, se non dell’intera Terra, ci dona l’opportunità di guardare alla nostra vita e a quanto ancora possiamo fare e disegnare.

Domani inizierà una nuova estate. Ci confronteremo con il caldo, probabilmente con la mancanza d’acqua. Ci scontreremo con le piccole e grandi difficoltà della nostra quotidianità, rassicurata dalla presenza di un futuro e dalle piccole ancore che ci rendono più sicuri. Ma ricordare che esiste una fine, anche per il Mondo, anche per la nostra esistenza, può essere un buon invito a “cogliere l’attimo” e a non sprecare le tante splendide occasioni che la vita sa riservare a ognuno di noi.

P.S. CLICCA QUI per leggere la lettura immaginale della Fine del mondo di Anastasio

Taggato in:

Info sull'autore

Teresa Di Matteo

Psicologa, Psicoterapeuta in formazione

Vedi tutti gli articoli