Qual è lo scopo della mia esistenza?

Qual è lo scopo della mia esistenza? Perché spesso ho questa sensazione di inadeguatezza? Perché alle volte, pur sapendo di avere buone capacità, mi sento svogliato e non mi impegno mai fino in fondo?

Cominciamo con il dire che l’inadeguatezza non si distrugge ma si trasforma, un po’ come affermava il chimico de Lavoisier con la legge della conservazione della massa.

Per scoprire come rivalutare l’inadeguatezza, possiamo prendere in prestito dalla mitologia norrena il mito del dio Thor e di come sia arrivato in possesso del suo martello. Così facendo, guardando in trasparenza l’evoluzione del personaggio, sarà possibile cogliere quali passaggi sia necessario compiere per effettuare questa trasformazione.

Thor e la ricerca del suo senso.

E chi l’avrebbe mai detto che lui, il grande dio del tuono, figlio di Odino e della dea Jord, conosciuto anche come la divinità più vicina agli uomini, fosse stato portatore di… inadeguatezza?

Infatti il martello di Thor, il Mjollnir (che significa frantumatore), non è sempre stato con lui. Lo ha ricevuto in regalo un giorno dal dio Loki che, come al solito, ne aveva combinate una delle sue e gli era toccato fare ammenda procurandosi necessariamente una serie di doni. Tra questi riportò anche il martello.

Ma è stata proprio la manifestazione delle più intime caratteristiche dirompenti di Thor, anche se a volte potevano sembrare poco gradevoli agli altri, che ha fatto sì che lo raggiungesse esattamente quel dono e non un altro.

Com’è possibile, quindi, trasformare l’inadeguatezza mediante le proprie caratteristiche e trovare il proprio posto nel mondo, il proprio senso?

Ecco 4 risposte: tuona, frantuma, sfidati, esci.

Risposta n°1: “Tuona” anche tu con le tue emozioni.

Per gli esseri umani stare ben riposti in un luogo fisso, cercando di evitare turbamenti emotivi, equivale praticamente a sviluppare la più fastidiosa delle ansie.

Nella nostra società non siamo molto abituati alle emozioni, non a come sono realmente. Tendiamo a trattarle come appendici, manifestazioni secondarie. E invece dobbiamo entrare in contatto con le nostre emozioni, soprattutto quando sono sgradevoli, disturbanti, poco chiare ed emergono all’improvviso. Magari anche in modo invasivo. Anche perché è quando esperiamo le emozioni che ne sentiamo il “senso”.

Dobbiamo quindi tuonare con esse, sentirle dentro, ossia lasciare che esprimano la loro presenza nonostante il retrogusto possa rivelarsi poco piacevole.

Come la rabbia funesta di Thor, quando il dio Loki ha portato via i capelli a sua moglie, la bella Sif (ecco perché poi gli è toccato fare ammenda).

È fondamentale. Per trovare il proprio posto nel mondo e trasformare l’inadeguatezza bisogna saper stare con sé stessi. Non è qualcosa che avviene in due giorni, ma è necessario mantenersi in un allenamento costante, perché per nostra natura mutiamo costantemente e così si diversificano continuamente le nostre emozioni.

Risposta 2: “Frantuma” il pensare inutile.

Siamo abituati a credere che “essere padroni di sé stessi” significhi trattarsi come delle mucche da allevamento: le si fa pascolare, mangiare, gli si pulisce la stalla, ci si accerta che in generale stiano bene di salute, le si rientra e buonanotte. Senza nessuna partecipazione attiva, quindi emotiva. E probabilmente, è proprio questo modo di fare che alimenta l’inadeguatezza.

No. Noi non siamo come le mucche, non in questo caso.

E non siamo neanche degli insulsi soprammobili: non possiamo “aggiustarci” attraverso idee o concezioni mentali di come dovremmo essere, di cosa dovremmo provare o no, del lavoro che dovremmo fare, di dove dovremmo vivere, di che macchina dovremmo avere, di quanti amici dovremmo essere circondati, di quale marca di vestiti dovremmo essere vestiti, ecc. In questo modo applichiamo solo una violenza spregevole verso noi stessi.

E proprio come Thor, non è con questa violenza né ripetendoci di non essere “oggetti correttamente funzionanti” che troveremo il nostro Mjollnir interiore. Non si trova il senso della propria vita accartocciandosi nei ragionamenti sterili.

Ecco perché bisogna frantumare, fare a pezzi e liberarsi dal pensare eccessivo, inutile ed idealizzante. Quando ti costruisci mentalmente un’idea troppo rigida di come dovresti essere, matematicamente non riesci ad agire in base alle tue reali esigenze.

Per cui la facoltà di pensare è ottima, ma solo se non la sostituisci interamente alle emozioni. Altrimenti perderai il senso di ciò che vuoi e puoi fare realmente, e finirai per basarti su convenzioni comuni, non su quello che vuoi davvero.

Risposta 3: “Sfidati” nell’incertezza.

Sfatiamo un mito moderno: non c’è niente di male nel sentirsi incerti, confusi, spaventati, smarriti e… inadeguati. Per trovare il proprio posto, bisogna saper attraversare i momenti in cui non si capisce niente, assolutamente niente. In cui si è senza punti di riferimento.

Potresti fare di tutto e non sai cosa fare per prima: va bene così. Non credo che tu abbia mai visto con i tuoi occhi un seme diventare albero in una sola notte.

Quindi, fai dei tentativi, sfidati. Lascia perdere se va bene o se va male, se rimandi o se un giorno ci riesci di più e l’altro no. Prova. Non avere nessuna aspettativa esterna da soddisfare, segui anche l’istinto. Magari, apparentemente, quella cosa non produrrà nulla. Non importa. Liberati dal macigno della fretta e dell’obbligo.

Come Thor di impresa in impresa, di battaglia in battaglia, continua ad andare avanti, a muoverti. Non fermarti!

Risposta 4: “Esci” ciò che sei.

La comprensione delle proprie emozioni, l’inquadrare le proprie idee su di sé in un’ottica realistica, saper attraversare i momenti di incertezza senza smettere di seguire le proprie inclinazioni – anche quando temporanee – ti permette di sviluppare in modo più naturale la capacità di esprimere te stesso.

E più riuscirai ad “uscire” la tua personalità, più sentirai di essere nel posto giusto. Più sentirai di aver trovato il tuo senso e più l’inadeguatezza inizierà a sfumare.

Perché sapere se sei nel posto giusto non significa “capire”, a priori, se fa per te il lavoro nell’azienda a pochi chilometri da casa o prendere la laurea in Giurisprudenze.

Il “tuo senso” non è un qualcosa che prima lo capisci e poi lo vivi. Ma è solo cercandolo, ossia sperimentando e dunque vivendo che potrai comprenderlo.

“Ma dopo aver afferrato il martello Thor non udì più né lo schiamazzo del salone, né le voci dei nani, che intanto gli spiegavano le sue magiche virtù. Il figlio di Odino avvertiva la sua intima unione con l’arma […]. Non aveva mai avvertito una tale sensazione di connessione, di affinità con nulla e con nessuno.” (Thor e il potere di Mjolnir, RBA, p. 77)

Conclusioni.

Il martello corrisponde alle tue capacità e Thor… a te stesso. Sentirai di essere nel posto giusto e di aver trovato il tuo senso, quando troverai il modo di utilizzare e far fluire le tue capacità in un modo che ti piace e che ti corrisponde, e non perché “dovresti”.

Proprio come per Thor, i nani avevano forgiato qualcosa che rispecchiasse tutte le sue qualità più esplosive. Il dio del Tuono poteva esprimere finalmente sé stesso attraverso un’arma dalle caratteristiche affini alle sue.

Devi quindi riuscire a far emergere quello che ti viene naturale. E fare dei tentativi, anche a vuoto, serve proprio a farti capire cosa ti viene spontaneo e cosa no, e a scoprire così in che modo metterlo in pratica.

È come una connessione inizialmente più grezza che deve essere lavorata.

Le emozioni saranno in questo la tua bussola, perché ti faranno capire quando una cosa è per te difficile, ma sarebbe meglio continuare a provarci, o quando una cosa non ti corrisponde e quindi sarebbe meglio smetterla. Con tutte le relative sfumature.

Queste risposte sono come i doni che Loki ha dovuto riportare per potersi salvare: vanno forgiate tutte insieme, perché solo così potranno essere funzionali all’obiettivo finale.

E i doni, così come queste risposte, richiedono tempo ed investimento emotivo.

Perché Thor, in fondo, come un po’ tutti gli eroi, è diventato forte dopo aver superato diverse prove e battaglie. E tutte le prove emotivamente impegnative, suscitano smarrimento e inadeguatezza.

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