Elisabetta II è morta.

8 settembre 2022. Intorno alle 19.30 italiane viene annunciata la dipartita di Elisabetta II, regina del Regno Unito, che ha governato per ben 70 anni.

Ed è proprio la portata mastodontica di questo regno a lasciare uno sgomento tanto grande. Ma perché? Perché quando cicli così lunghi si chiudono ci sentiamo toccati? Perché le grandi chiusure ci lasciano sconcertati e, pur presagendole, le viviamo tanto intensamente? Che cosa ci succede e cosa dobbiamo fare quando equilibri solidi come questo si rompono?

Andiamo per ordine.

Come si formano gli equilibri?

Sono certa che Elisabetta II non avrebbe mai immaginato, a 26 anni, che avrebbe regnato per tutto questo tempo e che avrebbe attraversato tante vicissitudini intense.

Bene, quando iniziamo un nuovo ciclo di vita non possiamo mai prevedere effettivamente quanto durerà e cosa attraverseremo durante questo periodo.

Eppure gli equilibri forti come questo, così come anche quelli psichici, si generano per un intreccio di difficoltà e durata temporale: tante più ne affrontiamo, tanto più aumenta la durata e tanto più l’equilibrio si consolida.

Eppure, nonostante questo, tutti gli equilibri sono destinati a rompersi.

La necessità della rottura.

La morte di Elisabetta II ci suggerisce che quando gli equilibri solidi vanno incontro a rottura, anche nel momento in cui sono disfunzionali, quello che percepiamo è molto simile ad un enorme e possente palazzo che ci crolla davanti agli occhi. Ne sentiamo un boato talmente tanto forte da non poter far altro che restare immobili e indifesi a guardare.

In questi palazzi che crollano, simbolicamente, vediamo due cose.

La prima: un parte della nostra identità che va incontro a smarrimento. Vediamo un insieme di ricordi piacevoli e spiacevoli che si susseguono, che vengono giù, ed insieme ad essi una carrellata di emozioni e sensazioni lontane e quasi dimenticate, che – durante la caduta – chiedono per qualche momento asilo presso la nostra memoria.

La seconda: la consapevolezza che la fine di qualcosa arriva sempre. Cosa che i lunghi equilibri tendono ad ovattare e a procrastinare il più possibile, anche con giusta ragione.

Le rotture ci richiedono un notevole investimento di energie psichiche e fisiche per essere attraversate e superate. Questo ci indica altre due cose: non possiamo romperci continuamente e, allo stesso tempo, se non ci rompiamo mai non possiamo andare verso qualcosa di nuovo.

La morte, tuttavia, è il simbolo più efficace, perché porta con sé quell’intensa emozione senza la quale non è possibile alcuna trasformazione. L’esperienza della morte costituisce la sfida più impegnativa, in quanto esige la risposta di tutto l’essere.”

James Hillman, Il suicidio e l’anima

Sovraffollamento di discendenti.

Sebbene ci piacerebbe rimandarli al più tardi possibile, i lunghi equilibri – come nel caso della regina Elisabetta II – creano un ingorgo nella discendenza e ritardano le nuove cariche.

Ma cosa vuol dire psicologicamente questo?

Quando vogliamo evitare a tutti i costi che un equilibrio si spezzi, rimandiamo l’arrivo del nuovo e di tutte le parti vitali che esso porta con sé. Nel tenerci strettamente legati a qualcosa che in realtà sta franando, non lasciamo che sopraggiungano nuove parti di noi e tutti gli “aggiornamenti” di cui solo queste possono essere portatrici.

Il cielo.

Cosa dobbiamo fare allora quando percepiamo che un ciclo si sta chiudendo?

Abbiamo detto che il palazzo sta cadendo e con essa tutta la sua maestosità. Cade e sembra che non ci sia nient’altro che il crollo.

Eppure, una volta caduto, una volta che la polvere si è posata ed è tornato il silenzio, eccolo davanti ai nostri occhi: il cielo.

La fine che tanto temevamo, come la fine del regno di Elisabetta II, non ci ha lasciati davanti ad un buco nero incolmabile e senza possibilità d’azione.

Sotto quel cielo una sola è la consapevolezza che deve raggiungerci: la vita è ancora presente ed il vuoto è solo un enorme campo sul quale è possibile ricostruire continuamente. Sul quale dobbiamo ricostruire!

L’unica cosa importante è non rimanere abbracciati ai cocci o almeno non troppo a lungo.

Giano Bifronte: saper guardare al passato.

Il dio romano delle porte e dei passaggi, Giano Bifronte, riesce a congiungersi con la bella e selvaggia ninfa Carna e a trasformarla poi in Cardea, dea dei cardini e delle porte, capace di aprire ciò che era chiuso e di chiudere ciò che era aperto.

Dopo averla corteggiata, Giano la vede nascondersi grazie agli occhi dietro la testa e così riesce a raggiungerla. Cosa ci suggerisce, quindi, il mito?

Se riusciamo a cogliere nel passato il principio trasformatore che aveva originato l’equilibrio precedente, e che adesso è andato rompendosi, riusciremo quindi a comprendere che sarà esso stesso a portarci in avanti e a condurci verso il nuovo.

Sarà quello stesso principio a chiudere una porta per aprirne un’altra. È già lì e aspetta di essere guardato, di essere visto, di essere colto.

Il mito ci insegna quindi che la continuità è possibile, che ciò che abbiamo vissuto non andrà completamente smarrito, è anzi contenuto sempre in esso lo strumento capace di portarci in avanti. Così com’era già accaduto nel caso del transito da re Giorgio VI a Elisabetta II.

Conclusioni.

Per non dare l’illusione che i nuovi equilibri siano privi di ostacoli, è bene puntualizzare che essi portano con sé anche sofferenza, giorni bui e profondamente precari, insicurezza e sbandamento. E che ogni volta fanno il medesimo effetto, perché ci fanno vacillare interiormente.

Ed è esattamente questo che accadrà anche adesso, dopo la morte di Elisabetta II, per gli eredi Windsor, che attraverseranno un periodo di caos e riorganizzazione.

Evitare le rotture, quindi, evitare che i nostri regni elisabettiani interiori crollino, ci chiude le porte al nuovo.

Impedendo a Giano l’utilizzo dei suoi occhi posteriori, impediamo alla Ninfa di diventare dea e così inibiamo la possibilità che il transito si concluda, che la vita si dischiuda nuovamente.

E, come diceva qualcuno, lo scopo è sempre la vita.

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