Ansia: che fare?
Ci sono ricerche e resoconti che dicono che una delle conseguenze della pandemia sia l’aumento dei disturbi d’ansia. L’ansia. Una sensazione che molte e molti di noi sperimentano costantemente.
Come un tarlo che rosica, rosica, rosica…un rumore di fondo, tanto pressante da diventare un disturbo che paralizza. Oppure l’ansia, intesa come campanello d’allarme, che richiama alla vigilanza.
L’ansia. Qualcosa che alcuni dicono di poter controllare, o di poter gestire. Tuttavia l’ansia non si può e non si deve gestire, si deve “viaggiare”.
Vi voglio presentare l’ansia come una dea o un demone (non so se del Cielo o dell’Ade) con sembianze dall’apparenza oscura, ma con tratti colmi di luce. Un demone in perenne contraddizione.
E se spesso ci chiediamo cosa fare per gestire l’ansia, provo a ragionare con voi su una possibile soluzione: viaggiare.
Ansia dono di Pan
Chi soffre dei cosiddetti “disturbi d’ansia” sa bene che spesso l’ansia si trasforma in panico. E panico, come pandemia, ha in sé il dio Pan. Una figura tanto cara a chi si è appassionato di mitologia e di simboli. Pan, una divinità lontana dall’Olimpo, che preferisce le foreste, i boschi. Pan la divinità che da alcuni è stata vista come precorritrice del diavolo cristiano. Pan che vorrei presentare come patrono della nostra natura selvaggia.
Avete presente “Il libro della giungla”? La storia di un bambino cresciuto nella foresta. Umano e animale insieme.
Per secoli rapsodi, cantastorie, filosofi, santi hanno utilizzato gli animali per raccontare le vicende degli esseri umani. Basti pensare alla meravigliosa realizzazione della Disney di Robin Hood (1973) con la colonna sonora di Roger Miller. Tutte queste creazioni risentono in qualche modo dell’influenza di Pan. Tutte queste idee umane risentono della presa di coscienza delle connessioni profonde che abbiamo con il mondo animale; più precisamente delle; connessioni con l’idea di foresta, di selva.
“Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! Tant’ è amara che poco è più morte”. La selva, l’inferno, la paura fino ad accarezzare la sensazione stessa di morte. Ecco tutti gli elementi per il nostro viaggio. Ecco tutti gli elementi per il dono di Pan.
Pan è la divinità della nostra foresta, della nostra selva. Nostra. Connaturata alla nostra stessa esistenza. E allora perché l’ansia si manifesta tanto di frequente?
Viaggiare restando fermi
Una delle sensazioni fisiche che associamo all’ansia e agli attacchi di panico è la sensazione di soffocare. La perdita di respiro. Anche in questo caso una triste similitudine con il Covid.
Non so se a qualcuno di voi è capitata la disavventura di rischiare il soffocamento. L’incapacità di far entrare aria nei polmoni. Il corpo reagisce in modo glaciale. E la nostra mente, se non “addestrata”, ci fa restare fermi, quando in realtà avremmo bisogno di movimento. Di shock. Come quando l’acqua ci causa la sensazione di soffocamento: basterebbe alzare lo sguardo verso l’alto, per aiutare i nostri muscoli a rilassarsi. La relazione d’istinto, invece, è quella di guardare verso il basso.
L’ansia si manifesta così, come l’acqua che ci toglie il respiro.
Immaginiamo l’ansia come un campanello. Potrebbe essere il campanello che avvisa dell’arrivo di un treno o il campanello per far iniziare una evacuazione di emergenza. Di solito, i campanelli richiamano al movimento. Nella nostra narrazione, nella narrazione dell’ansia, intesa come divinità che ci domina, i campanelli obbligano all’immobilità.
L’ansia pietrifica. Trasforma le azioni in immobilità, ma costringe i pensieri a correre. E i pensieri sanno correre e anche velocemente. Ed ecco che si manifesta un dualismo importante: pietra e movimento. Un viaggio restando immobili. Un viaggio che spesso viene percepito come un rapimento. Ci muoviamo senza deciderlo. E proviamo costantemente a fuggire.
C’è poco da fare: la selva spaventa. Il fitto del bosco, in cui i raggi del sole faticano ad entrare, accoglie sensazioni umane difficili da gestire. Ma nei simboli dell’anima, il bosco è pur sempre una parte di noi. Una nazione del nostro continente dove il sole della coscienza fatica ad entrare. Una nazione da cui siamo abituati a voler fuggire. Anche se non sappiamo verso dove. La selva è lo spazio per le nostre radici inconfessabili. E dal loro rifiuto, dal maldestro tentativo di controllarle, ecco che vien fuori il disturbo. La sensazione fastidiosa e spaventosa dell’ansia.
L’ansia di Odisseo
E allora cosa fare?
Odisseo ci può aiutare. Odisseo con il suo viaggio e le personalità femminili che ha incontrato.
Odisseo che riparte da Troia da uomo vittorioso. Odisseo che torna a Itaca come uomo cambiato, che ha affrontato un lungo viaggio alla ricerca del modo per tornare a casa. Una casa che non è solo geografica. Una casa che si caratterizza come lo spazio per accogliere l’Io. Odisseo che da Itaca partirà ancora una volta, in viaggio oltre le Colonne d’Ercole.
Odisseo incontra le sirene. Incontra Circe. Ma incontra anche Nausicaa e Calipso. Ognuna di queste entità causa in Odisseo una lotta interiore, a volte furibonda a volte dolce e rassicurante. Ma pur sempre una lotta. Da Calipso Odisseo rimane per sette lunghi anni. Odisseo resta e sta per ottenere il dono dell’immortalità. Ma la natura di Odisseo, il suo “destino” e gli dei che dominano il suo viaggio, lo portano a ripartire. La stessa natura di Odisseo che lo fa perigliare per raggiungere casa, per poi farlo partire ancora una volta.
Odisseo, l’inventore della menzogna con la sua epopea alla scoperta di sé ci insegna l’unico modo per non subire il disturbo dell’ansia: viaggiare con l’ansia alla scoperta di sé.
Conclusioni
Come si fa a viaggiare restando immobili? Come si fa a cogliere il campanello dell’ansia, che avvisa di un treno in partenza?
Accogliendo l’ansia. Aprendo la porta. L’ansia proviene da noi. Non è la paura di un estraneo o di un ladro che vuole rubare il nostro oro. È l’elfo che ci invita a passeggiare nel nostro bosco e che ci addita dell’ipocrisia del rifiuto di parti di noi, anche se nascoste nel folto di una selva, priva della luce del sole.
Viaggiare con l’ansia è l’ennesimo tentativo per conoscere noi stessi e accoglierci per come siamo. Anche nel folto del bosco, dove gli esseri umani entrano solo con le sembianze di animali, possono essere raccontate fiabe, favole e storie degne di essere ricordate.
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