Cosa si perde?

Di cosa parliamo esattamente, quando parliamo di perdita?

C’è un’ espressione propria del linguaggio psicologico che è oramai da tempo entrata nel lessico comune (come spesso accade ai termini psicologici, sovente a discapito di una loro profonda comprensione) ed è “elaborazione del lutto”.

Personalmente preferisco parlare di perdita, per sganciare da questa specifica riflessione l’immagine della morte ed ampliarla il più possibile.

Il dolore che una perdita ci arreca, infatti, non è sempre conseguente alla scomparsa di una persona cara, ma può travolgerci anche quando perdiamo un oggetto, un luogo, un lavoro, un ideale.

Origine del termine

Se proviamo a fare una ricerca online sul termine perdita, i primi riferimenti che troveremo saranno di tipo economico.

Già nell’etimologia della parola stessa troviamo il significato del “mandare in rovina”, richiamando subito una perdita di natura materiale, dunque.

Ma quando lo stesso Freud introduce un concetto quale quello di “investimento” libidico, non sta forse utilizzando anche lui un’analogia con termini economici?

Ed è proprio quest’ultimo il punto centrale della riflessione che intendo fare a proposito della perdita: cosa ci fa davvero male, quando perdiamo qualcuno o qualcosa? È il dover lasciare andare la parte di noi che abbiamo investito in quella cosa, o in quella persona.

Ecco il nodo fondamentale: perdendo l’altro, si perde un pezzo di sé.

Un cuore che cerca, sente bene che qualcosa gli manca;
ma un cuore che ha perduto, sa di che cosa è stato privato (J.W. Von Goethe)

Si può investire energia, amore, impegno, in una relazione ma anche in un lavoro particolarmente coinvolgente o in un luogo che abbiamo scelto come casa e che ci troviamo a dover lasciare per i più svariati motivi.

In tutte queste cose mettiamo un pezzo di noi, una parte della nostra identità, e dunque ci offrono spesso un sostegno, una rappresentazione di noi stessi agli occhi degli altri e ai nostri stessi occhi, soprattutto.

Per questo è così doloroso, spesso, lasciar andare.

L’arte di perdere

Perdi qualcosa ogni giorno. Accetta il turbamento
delle chiavi perdute, dell’ora sprecata.
L’arte di perdere non è difficile da imparare.
Poi pratica lo smarrimento sempre più, perdi in fretta:

luoghi, e nomi, e destinazioni verso cui volevi viaggiare.
Nessuna di queste cose causerà disastri.

Questi versi sono tratti da una nota poesia di Elizabeth Bishop, “One Art” (tradotta in italiano come “L’arte di perdere”). La Bishop viaggiò moltissimo durante la sua vita, sapeva di certo cosa significasse perdere case, luoghi, destinazioni e purtroppo imparò fin da bambina anche cosa significasse la perdita di persone care, che non la risparmiò nemmeno in età adulta.

Eppure sembra dirci che nulla di questo è un disastro, che le cose nascono già con l’intento di essere perdute, che è normale e inevitabile percorrere un pezzo di strada insieme e poi separarsi.

Le cose perdute, città, fiumi e continenti, le mancano ma la vita continua ad andare avanti con tutta la sua forza e di certo non le risparmierà nuovi addii. Acquisire questa consapevolezza, saper dire “mi mancherai”  e poi lasciar andare, è forse l’unica risposta per evitare di cadere in una spirale di disperazione.

Conclusioni

La perdita, come abbiamo visto, non ha sempre a che fare con il lutto conseguente alla morte di qualcuno.

Può riguardare qualunque cosa, oggetto o situazione che fino ad un certo punto ci ha assicurato un’ identità, un ruolo o una posizione. Perdere qualcosa che ci garantisce una presa sul mondo che ci circonda, ci può gettare in uno stato di incertezza, di spaesamento e di dolore che in alcuni casi non è di intensità inferiore al dolore che ci può provocare una morte.

A partire dal presupposto che – almeno personalmente – ritengo sempre valido, e cioè che ogni tipo di dolore vada attraversato e vissuto per tutto il tempo necessario, non negato o tappato con soluzioni posticce, credo sia importante riconoscere questo: ogni cosa o persona che si allontana, portando via con sé un pezzo di noi, ci lascia sempre altrettanto.

Quando non sarai più parte di me ritaglierò dal tuo ricordo tante piccole stelle, allora il cielo sarà così bello che tutto il mondo si innamorerà della notte. (W.Shakespeare)

Riconosciamo cosa abbiamo imparato, cosa ci è rimasto, accettiamo la perdita elaborandola senza escludere il confronto con ciò che perdiamo. Da qui partiamo per ricostruirci, magari ancora migliori di prima.

P.S. CLICCA QUI per leggere Quando morire è necessario per amare

Info sull'autore

Letizia Pascucci

Laureata in Psicologia Clinica, tirocinante psicologa e aspirante psicoterapeuta. Appassionata di musica, arti visive e di ogni forma di espressione creativa.

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