Non triggerarmi

Non so se qualcuno di voi ha mai sentito parlare dell’“effetto trigger”.

Sono pronta a scommettere che sono più le persone che l’hanno provato sulla propria pelle, che quelli che ne conoscono il nome. Probabilmente chi ha qualche dimestichezza con i cosiddetti influencer, che popolano il web e i social network, ha potuto sentire il verbo triggerare, un neologismo non ancora accettato dall’Accademia della Crusca.

L’effetto trigger è connesso al vivere e ri-vivere un trauma. È un effetto innesco che fa esplodere una reazione. È un click per accendere una luce deflagrante su ciò che è stato nascosto nel buio. L’effetto trigger, conosciuto da pochi, sperimentato da molti di più, è visto come un meccanismo pericoloso, da curare.

E se fosse la cura?

Azione inanimata

Una delle più grandi scoperte che un uomo può fare, una delle sue più grandi sorprese, è scoprire che può fare ciò che aveva paura di non poter fare (Henry Ford)

“Altolà! Chi va là? Fermo o sparo!!”. Questo è il copione che si poteva sentire urlare da una sentinella armata, prima dell’avvento delle forme di sorveglianza moderna. Questo era l’avviso per mettere in guardia l’incauto avventore, prima che il guardiano fosse costretto a premere il grilletto. Un click. La pressione su un grilletto che fa partire un colpo o una raffica di colpi. La sentinella, il guardiano, avvisava e poi apriva il fuoco, a difesa di qualcosa o di qualcuno. Uno degli anelli di un sistema di filtri.

Immaginate una pistola. Un oggetto di metallo che, per la sua meccanica e attraverso l’uso di proiettili, se maneggiato, può produrre una reazione potenzialmente mortale per chi si dovesse trovare in traiettoria. L’ultimo anello della reazione fisica che fa scaturire l’esplosione è la pressione sul grilletto. L’innesco per l’esplosione. Senza la pressione sull’innesco, ecco che proiettili e pistole rimarrebbero un innocuo ammasso di metallo e polvere. Anche il migliore tiratore al mondo, senza la pressione su un grilletto, non avrebbe modo di raggiungere il proprio obiettivo.

Trigger, termine inglese, viene tradotto in due diversi modi: come lemma o come verbo. Grilleto, innesco oppure innescare, scatenare, dare il via.

In questa differenza risiede uno dei punti chiave per comprendere l’effetto trigger. Un effetto che indica il richiamo deflagrante di un evento traumatico, partendo da uno stimolo, per altri probabilmente insignificante, il trigger appunto. Il trigger è paragonabile all’idea che i drappi rossi mandino in confusione i tori. L’effetto trigger è la reazione del toro alla vista del rosso.

Qui risiede il lato tragicamente magico dell’innesco. Un oggetto, uno stimolo, che, privato del suo contesto, per molti rimane insignificante, per ciascuno di noi può assumere una funzione psico-narrativa del tutto tipica, unica. Un oggetto che diventa un richiamo per recuperare qualcosa che avevamo sommerso. Una chiave per aprire uno scrigno, costruito a difesa di un trauma, di un evento tanto pressante da non essere integrabile con facilità in una narrazione armonica della nostra anima. Una chiave che apre una serratura, una soltanto. Allontanata dal suo contesto, la chiave rimane un oggetto inutile, privo di significato ma, nella giusta serratura, diventa difesa e strumento di attacco.

A difesa del buio

È la nostra luce, non la nostra ombra, quella che ci spaventa di più (Nelson Mandela)

Più volte ho avuto modo di scrivere del potere simbolico della luce. Di quanto sia comune avere paura del buio e cercare continuamente la luce.

Capita a molti il desiderio di dimenticare. Il desiderio di avere una bacchetta magica con cui far svanire un evento che ci ha fatto stare male. Un evento che provoca dolore anche attraverso il mero ricordo. È sempre bene guardare alla radice delle parole. E la parola trauma vuol dire ferita, frattura. Un’immagine simile a quella che si può scorgere nella terra arida: il solco fra una zolla e un’altra, una separazione apparentemente insanabile.

Proprio questo desiderio di cancellare un trauma porta ciascuno di noi a sperimentare molto spesso un’ulteriore sensazione negativa: l’impotenza. Nessuno di noi è in grado di cancellare il proprio passato, per quanto molti lo desiderino. Davanti alle ferite profonde, saremmo tutti più alleggeriti se avessimo il potere di cancellare tutto. Se avessimo la capacità di non considerare più nulla di ciò che ci ha fatto soffrire, se avessimo la possibilità di cancellare qualsiasi file dalla nostra memoria, la nostra vita sarebbe migliore?

La risposta è: sicuramente no.

Nessuno ha il potere di cancellare la propria storia. E nessuno, anche davanti ad eventi tragici, ha la possibilità di determinare se da quel dolore potranno nascere le fondamenta della nostra identità.

Cancellare un evento traumatico vorrebbe dire eliminare un driver di funzionamento dal pc. Vorrebbe dire renderlo inutilizzabile.

Ed ecco che il buio appare magicamente in scena. Il nostro cervello, la nostra mente, la nostra anima, a volte, ha la capacità di spegnere la luce. Un buio che dà la possibilità per determinati periodi di lasciare in sottofondo i nostri traumi, le nostre ferite. Perché ciò avvenga è ancora privo di una unica e decisiva spiegazione. C’è chi paragona questa capacità alla modalità “risparmio energetico” degli elettrodomestici. C’è la fisica di un evento non compatibile con quel determinato sistema. C’è l’elettricità di uno stimolo tanto forte da mandare in corto circuito l’intero impianto.

Ed è proprio l’immagine di un impianto elettrico che può essere molto vicino al funzionamento della psiche. Anche se non c’è luce, l’impianto elettrico esiste ed è in grado di funzionare. In positivo e in negativo.

Ci sono gli sbalzi di corrente che rischiano di far bruciare l’impianto ed ecco che scatta il “salvavita”: via la corrente per salvare l’impianto. E se non si integra nel sistema lo stimolo che ha causato lo sbalzo di corrente (troppi elettrodomestici accesi?! Una presa andata in cortocircuito?!), l’impianto prima o poi salterà e sarà necessario chiamare un tecnico ed investire soldi.

Il trigger, in questo buio che difende il nostro impianto elettrico, diventa la traccia da seguire per scorgere l’origine del rischio per la sopravvivenza del sistema

Conclusioni

L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza (Giovanni Falcone)

Gli influencer online parlano di triggerare come sinonimo di innervosire, indicando un oggetto, uno stimolo, un comportamento che causa una reazione di fastidio, molto simile al fastidio che causa che mastica a bocca aperta, chi beve producendo il rumore del risucchio. In altre parole, il trigger diventa uno stimolo per una reazione negativa.

Così come l’effetto trigger è un effetto che vorremmo evitare. Vorremmo tutti evitare gli stimoli che ci fanno tornare a momenti che ci hanno ferito così nel profondo da lasciarci cicatrici per l’anima. Ma anche le cicatrici si sono integrate nel nostro corpo, nel nostro sistema.

Il trigger è un interruttore. È una parte del sistema. Una minaccia, certo. Ma anche una difesa. Perché, ancora una volta, è utile ribadire che nella nostra anima non c’è posto per “bene” e “male”. C’è spazio però per integrare infinite componenti, infinite realtà, anche quelle più dolorose, per dare armonia a un sistema, unico in tutto l’universo per ciascuno di noi.

P.S. CLICCA QUI per leggere I TRAUMI SONO BUGIE DELLA PSICHE?

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Info sull'autore

Teresa Di Matteo

Psicologa, Psicoterapeuta in formazione

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