Sei un mammo? Smettila, e fai il padre

Smettila di definirti un “Mammo”. Se sei a casa con i tuoi figli, magari gli dai da mangiare, li vesti, li lavi, li porti a scuola, fai con loro i compiti… continua ad abbracciarli. Si chiama fare il papà.

Ma perché l’espressione “Mammo” sembra essere così diffusa, quasi abusata? Qui proveremo a dare una risposta che, da bravi junghiani, per quanto post moderni, non può non chiamare in gioco loro, quei mattacchioni degli archetipi.

Mamma mia! Che cosa è un’archetipo?!

Un archetipo non è nulla di troppo particolare. Ogni immagine è un archetipo secondo Hillman. E qui sta tutta la sua rivoluzione epistemologica portata all’interno dello Jung Institute. Per Jung solo alcune immagini erano archetipiche. Semplificando, lo erano solo quelle che erano riconducibili a qualche dio. La maggior parte delle altre erano volgari forme rappresentabili, ossia che si potevano disegnare in qualche modo. Mentre loro gli archetipi sono psicoidi ossia “inrappresentabili”, non disegnabili. Eccolo che arriva Hillman che dice che tutte le immagini sono archetipiche e che sono tutte disegnabili. Ogni immagine è una configurazione che contiene in se un bisogno, un’emozione e la condotta corrispondente. La mitologia era un compendio di archetipi, e le storie mitologiche contengono questi tre elementi, ossia una diagnosi, una causa originale e finale, e una condotta. Ad esempio Marte, la rabbia, ha un origine e un suo scopo e un suo particolare modo di comportarsi. La mitologia era più democratica della psicologia perché non blindava le diagnosi, le lasciava come patrimonio collettivo.

Anima, animus e gli altri archetipi della Madre e del Padre

Anima  e Animus sono due degli archetipi di base. La prima è il “Femminile” il secondo è il maschile. Ora se c’è un’altra cosa interessante degli archetipi, è che si presentano ripetutamente in tutte le culture. Per questo lo yin e lo yang ne sono, ad esempio, i nomi orientali. Ma li possiamo trovare sempre. Se con Femminile, ossia con Anima, ci si riferisce alle funzioni relative all’accoglienza, al sentimento, alla protezione, al nutrimento, con Animus ci si riferisce più alla determinazione fallica, al raggiungimento di obiettivi, al tradimento (anche esso inteso in senso archetipico). Ora è evidente che qui si respira un certo sguardo molto maschilista in queste definizioni, ma lo si respira fin quando si continua a ritenere gli archetipi specifici per genere. Maschile e femminile, in vero, sono presenti in ogni singolo individuo. E avere un soma maschile non necessariamente significa avere una certa trofìa dell’Animus. In soldoni ognuno di noi sviluppa e dosa Anima e Animus dentro di se. Ognuno sfrutta la funzione “sentimento” e quella “determinazione” a prescindere che sia un uomo o una donna. Ogni terapia che si rispetti, punta all’ermafrodito, ossia alla congiunzione tra le due funzioni.

Madre e Padre

Se giungiamo alla Madre e al Padre ci ritroviamo con il medesimo discorso, ossia con due funzioni psicologiche che possiamo attivare in misure diverse sia nel mondo che ci circonda sia dentro di noi. Sempre in soldoni, la madre è il modo con cui ci prendiamo cura di noi, il padre il modo in cui ci guidiamo. Il padre è una funzione più castrante che tradisce, ossia consegna i figli al proprio destino. Leva le rotelle dalla biciletta per capirci. La madre abbraccia, nutre, protegge. La funzione paterna e materna favoriscono l’individuazione ossia quel processo che ci conduce a conoscere chi siamo. Il Padre ci butta nel mondo e la madre ci protegge dal mondo? Lo so è un po’ semplicistico e mi dispiace sentirvi confusi, ma qui ce lo dobbiamo far bastare (Ecco questa frase è nella prima parte del materno, mentre dopo la virgola è del paterno).

Mammi e Padresse

Avevo partecipato a un libro, quello a cura del Dott. Mezzanotte, “Essere un padre” era il titolo. E nel capitolo di cui sono autore mostravo proprio questa parossistica situazione in cui se vuoi fare il padre ti chiamano “Mammo”. Il parossismo sta nella sclerosi dei ruoli che segna il nostro tempo. Più banalmente oggi un uomo che fa il padre dovrebbe semplicemente invocare e dare spazio agli archetipi di cui sopra. Forse dovremmo soffermarci su questo e pensare di fare i genitori, ossia di smettere di pensare che il genotipo divori il fenotipo. Insomma se sei un uomo puoi continuare ad abbracciare, nutrire, proteggere carezzare, ascoltare. E se sei una donna puoi dire di “NO”, puoi essere fredda distante e assente senza definirti “padressa”.

Le frasi diaboliche delle mamme

Eppure in questa difficile entrata in campo degli uomini in un ruolo attivo, rimbombano le frasi nei tribunali facendo eco a quelle dell’anima nostra. “Guarda che se continui così chiamo papà!” Questa frase minacciosa  è sana se ci si sta riferendo all’archetipo, ma è dannosissima se si riferisce al tizio sul divano che finge di non sentire perché in quella frase trova l’alibi per non fare nulla. Dire “No” spesso è una delega fatta al genitore di sesso maschile, ma si tratta della manifestazione dell’archetipo del padre.

Resta il fatto che questi retaggi che vincolano gli archetipi per genere, di fronte, ad esempio alla separazione di una coppia, mostrano  ancora di essere ben lontani dalla parità di ruolo. Ecco che in tribunale, e nelle teste delle mamme-donne risuona quel comandamento che si è fatto prigione, qualcosa del tipo “La mamma è sempre la mamma”. Insomma se abbiamo deciso che del padre si può fare a meno mentre della mamma no, direi che possiamo dare la colpa a Freud ma che possiamo anche rifondare una nuova psicologia.

Il tizio sul divano difficilmente attiverà l’archetipo del materno se la donna  lì davanti a lui ne farà incetta. E viceversa.

Oggi il mondo è in una fase di passaggio. Lo so è una frase stupida dato che il passaggio è la condizione di ognuno di noi. Ma quello che sta accadendo è che abbiamo buttato nel cestino i vecchi ruoli. Li avevamo spartiti dando degli archetipi a individui di sesso maschile e altri a quelli di sesso femminile. Ma, lo abbiamo detto, gli archetipi non sono specifici per genere, quindi abolendo la vecchia spartizione non significa che quella nuova sia pianificata. Per questo i genitori sono fermi tutti e due attendendo che sparecchi l’altro.

Sempre più frequentemente le donne iniziano la loro carriera dopo le gravidanze e gli uomini, ormai dopo aver consolidato la loro posizione lavorativa grazie alla presenza dentro casa delle donne, rientrano in casa e iniziano a declinare il materno dopo gli “anta”. Intanto loro le donne declinano il paterno con i figli e questo si declina sempre principalmente in un modo che inizia con l’assenza.

Conclusioni

Dunque se sei uomo e stai lavando tuo figlio, se stai preparando il polpettone, se stai leggendo il tema di italiano, se lo obblighi a vestirsi bene… insomma se stai declinando la madre non sei un mammo, ma soltanto un essere umano. Eppure sentirti dire che non lo hai portato nel tuo grembo resta una sorta di paradosso epocale. Che gli uomini crescano i figli, che vi sia la parità dei diritti, che vi siano le coppie di fatto e le famiglie in cui vi sono due uomini o due donne a fare da genitori, in questo nuovo panorama Alcune parole, ad esempio “Mammo”, rischiano ancora di relegare i compiti in modo maschilista e, ahimé, non di rado il maschilismo è una partecipation mystique tra Donne e Uomini.  Ognuno è chiamato all’enantiodromia, ossia all’integrazione di quegli immaginare rispetto a cui si era provveduto ad una delega.

Taggato in:

Info sull'autore

Luca Urbano Blasetti

Psicologo e Psicoterapeuta; Dottore di Ricerca in Psicologia Dinamica sul tema Creatività e sue componenti dinamiche; Responsabile del Centro Emmanuel per Tossicodipendenti di Rieti presso cui cura diversi progetti regionali; autore di diverse pubblicazioni psicologiche; lavora nel suo studio.

Vedi tutti gli articoli