Elogio della Morte: la Pasqua

La morte è madre di tutte le cose così come Polemos ne è il padre. La conta dei morti è la nostra preghiera del mattino e quella della sera. E ai nostri record si avvicinano quelli degli altri. Il giornalismo, da sempre votato allo share, sa che la morte è un classico dello share, sa che il numero di decessi ci attrae eroticamente, anche più della sessualità. Lo stesso Freud dovette cedere a questa verità, ossia al fatto che al di la del principio del piacere ce ne fosse uno più forte, quel Thanatos che, macabramente, ci eccita e ci mette in contatto con quell’ombra di necrofilia che può essere superata solo dal cannibalismo.

“Egli  definiva la fine della vita come una seconda nascita” (Aniela Jaffè. “La visione della morte in C.G. Jung”)

Eccitazione e morte

Guerra, bunging jumping, esplorazione di vulcani, foreste o pianeti, reati, pistole, ottovolanti, orgasmi e svenimenti. Tutto, troppo di quello che facciamo è indissolubilmente legato al morire e la morte, anche nella sua personificazione, ha un potere di attrazione enorme. Per questo in questi giorni di plateau da contagio corona, le notizie dei morti non fanno più scalpore. Ci siamo assuefatti al numero dei morti e, solo alcuni di noi, per fortuna, hanno la distrazione di una criticità tra i propri cari o per se. E ci accorgiamo che il giornalismo, che della morte fa il suo prodotto più in voga, inizia a concentrarsi su questioni economiche. Per questo stamattina ascoltavo con sollievo il tg. Almeno fino a quando tre notizie, repentine, fugaci, pungenti, hanno catturato la mia attenzione. “Uccide il padre”, “Uccide la moglie e si suicida”, “Muore in una rapina”. Eccola di nuovo per fortuna. Mamma Morte è sempre lì e mi scalda rubando le mie risorse cognitive, tutte. Mi culla ritmicamente regalandomi la serenità che solo l’agitazione mi sa dare.

Mortificatio e putrefactio

L’Alchimia in modo sorprendente parlava della morte come l’elemento cruciale del processo alchemico. E, se pensiamo al processo alchemico come proiezione del percorso di individuazione, allora la signora con la falce risulterà ancor più importante.

“La mortificatio è l’operazione più negativa dell’alchimia. Ha a che fare con il buio, la sconfitta, la tortura, la mutilazione, la morte ed il marcire” (Edinger, “Anatomia della psiche”)

Anche lo sciamanismo esalta la morte e la putrefazione come smembramento. L’iniziazione prende le mosse dallo scheletro la cui visione segna l’inizio. Ma anche i tarocchi vedono nella morte una carta centrale di cambiamento fondamentale. Insomma se andiamo a vedere ci accorgiamo che la morte è sempre la manifestazione di un profondo cambiamento che prelude a un nuovo vivere. Ma noi siamo la società degli equilibri, dell’omeostasi, dell’ “In medio stat virtus”! Insomma anche la psicologia ha profondamente contribuito a uccidere la morte tutte le volte che poteva. Ma l’allostasi, ossia la stabilità generata dal cambiamento, è figlia di mamma morte e è essenziale per la nostra sopravvivenza fisica e psichica, anche più dell’omeostasi.

Il suicidio e la morte

Allora Jung suggeriva proprio questo quando parlava di prima metà e seconda metà della vita, suggeriva cioè come noi siamo sempre, irrimediabilmente sul ciglio di un cambiamento che ci appare come un burrone che ci leva il fiato e, al tempo stesso, ci attrae. Per quanta paura possa farci quel baratro, ci salverà sempre e comunque dalla piattezza del deserto che lo precede. Ecco la morte, il burrone, la nigredo alchemica, la seconda metà della vita! Insomma tutto è scandito dal nostro profondo bisogno primario: Thanatos. E intediamolo come altro da ciò cui noi già siamo.

Morte tabù

Ma oggi l’inflazione ermetica, ossia la nostra comune tendenza a portare furbescamente l’acqua al nostro mulino e basta, ci ha condotto a delle iperboli sociali impressionanti. Un tempo era la famiglia a decidere come sarebbe morto il caro congiunto. In molte tribù il vecchio saggiamente si allontanava per andare a morire. Insomma la morte era ritualmente un momento di fama per il morituro che dispensava saggezza nel trapasso, perché si faceva porta verso il mondo degli antenati e dei risorti. Ma di questo farò cenno dopo. Oggi c’è invece una regina indiscussa la Medicina, anche lei con la corona che si ritrova sempre più spesso ad osservare l’ammutinamento dei suoi sudditi, ossia noi che con la Morte non vogliamo più avere niente a che fare, ma che continuiamo a morire ammutinandoci. Oggi pochissimi di noi hanno visto morire qualcuno, personalmente ho solo la memoria degli animali sgozzati in cortile durante il sabato del “mio villaggio”. Oggi l’imperativo è non si deve morire. E la Medicina, altezzosa regina, promette questo obbligandoci a morire in ospedali piuttosto che sul letto dei nonni.

La medicina prima di curare crea malattie

La medicina è diventata iatrogena, dice Illich, ossia produce più patologie per poi curarle e finisce per curare solo se stessa. Per questo la psicologia deve abolirsi come scienza. Sia inteso non stiamo negando il valore della medicina e del salvare vite, stiamo solo osservando come qualsiasi inflazione possa essere velenosa. Anche la vita che nega la morte si fa veleno. Mentre deve essere chiaro che ogni morte è l’evento più vitale a cui siamo chiamati a partecipare, sia che muoia qualcuno di sconosciuto, di caro o noi stessi.

“A ogni iniziazione in genere corrisponde una morte psicologica: quella della fase di vita non allora vissuta” (L. Zoja,  “Incontri con la Morte”)

Morte psiche e medicina

Hillman distingue tra medico e psicologo. Hillman in “Il suicidio e l’anima” svincola definitivamente la pratica psicologica dalla scienza medica, agendo così l’invito di Jung che affermava come la psicologia si dovesse abolire come scienza per raggiungere il suo telos. Allora mentre il medico deve dribblare la morte, lo psicologo la deve invitare a cena. Hillman ci ricorda come ogni morte, che si tratti di suicidio, omicidio, incidente o malattia, segue la legge di Ananke e deve essere accolta come manifestazione estrema del cambiamento e della trasformazione in terapia. Allora ecco cosa era necessario alla psiche collettiva e individuale, era necessario riprendere contatto con Thanatos madre del cambiamento.

Non voglio morire

Sia chiaro, non voglio morire e ho paura nello scrivere sulla morte perché sembra che chi la accolga, come il caro e non vecchio Boris Johnson, poi viene punito dal virus. Non solo non voglio neanche che nessuno dei miei cari muoia. Ma non posso al tempo stesso  non notare che la “recessione” che il covid porta con sé non è solo un ritirarsi indietro dell’economia ossia di quell’Hermes protettore dei furfanti e dei commercianti che si illude di ingannare anche la morte, ma è anche un ritorno alla morte come evento psicologico centrale del nostro vivere. Non riusciremo ad arrivare alla vecchiaia se non ci concediamo di morire da giovani. 

Condivisione e resurrezione

Ora mi sembra di poter dire che il fatto che ci venga negata la condivisione della morte, ossia che ci venga negata la possibilità di effettuare il rito funebre, l’estremo saluto, si ponga come l’estrema ratio ancora della scienza regina la scienza. Ancora una volta sia chiaro, io sono d’accordo con l’evitare i funerali, anche perché è un prezzo risibile rispetto alla possibilità di evitare anche i matrimoni, ma, da un punto di vista immaginale, mi sembra di poter leggere in questo l’ennesimo tentativo di eludere la morte.

Ma soprattutto in tempi di quaresima e di Pasqua, mi rendo conto che se non c’è morte allora non c’è neanche resurrezione. Le religioni, da quelle che coltivano il culto degli antenati, a quelle animiste fino ai grandi monoteismi, hanno avuto il merito di mettere a fuoco come la morte porti alla nascita delle immagini.

Morte e metamorfosi

La resurrezione e semplicemente la rinascita in immagine. Quando qualcuno muore iniziamo a farlo parlare dentro di noi, solo allora il padre dispotico si fa guida, la madre porta parole utili, il fratello consigli irrinunciabili. Le religioni hanno messo a fuoco come la relazione con l’altro inizi realmente proprio quando l’altro non c’è e lo ritrovo come immagine dentro di me. L’altro è sempre una funzione psichica non attiva fin quando la proietto su di lui. Ma se “lui” muore allora divento abile.

Dunque la morte è il cambiamento che rende attive funzioni psichiche esistenti ma che non avevamo né inizializzato né attivato come condotte. Allora la domanda potrebbe essere perché siamo tanto attratti dall’immaginario di immortalità? Forse perché siamo tutti Jung con l’ombra dell’altro. Ma ci si deve sempre ricordare che un’immagine che non viene onorata si presenta virulenta nel concretismo. Dunque, se la morte come processo di anima si vede negata, per salvarci la vita viene a ucciderci con una pandemia.

Afrodite Pandemia

E se Platone distingueva una Afrodite Urania, quale dea dell’amore puro e ideale, e l’Afrodite Pandemia (Πάνδημος), come dea dell’amore libero e della prostituzione, allora tutti questi morti sono l’evento necessario alla psiche collettiva per riaccogliere la generativa funzione psicologica della morte? Per riaccogliere la morte e “recedere” di fronte ad essa? Io penso di si. Qualcuno attribuisce a Jung una frase che potrebbe suonare più o meno così: “Ciò a cui resisti persiste. Potrebbe anche ingigantirsi”. Non saprei indicarvi dove Jung lo dica ma per me è profondamente vera. Noi resistiamo alla morte nella psiche, per questo la morte persiste nel concretismo.

Accanirsi a vivere fa male

Negare la morte nella psiche, sottrarsi al cambiamento, opporsi al deperimento del corpo, stuccarsi con la chirurgia plastica, curarsi e vivere fino a crepare, fare dell’omeostasi un aguzzina che ci tiene prigionieri, votare, comprare, scegliere sempre la stessa via, partito, vestito o modello di scarpe… insomma il cambiamento, nella sua veste più regale, quella con la falce, non poteva che presentarsi violentemente nel concretismo in un momento storico in cui neghiamo il morire fino al punto di denunciare medici che non hanno salvato un nonno sulla soglia del secolo. La signora con la falce viene a ricordarci la sua profonda valenza tra quel piccolo popolo che abita la nostra psiche.

E la Psicoterapia?

Questa stessa richiesta viene fatta alla psicoterapia, salvarci dalla morte e dal cambiamento e noi, gli psicoterapeuti, sadici, osserviamo il susseguirsi delle metamorfosi immaginali con lo stesso piglio di un boia. Sappiamo in cuor nostro che è tutta salute! Allora in questo venerdì santo, in memoria del morto più famoso del mondo, in attesa delle resurrezioni, vi auguro Buona Pasqua e buona clausura.

P.S. CLICCA QUI per leggere La psicologia di Cristo nel rito Pasquale

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Info sull'autore

Luca Urbano Blasetti

Psicologo e Psicoterapeuta; Dottore di Ricerca in Psicologia Dinamica sul tema Creatività e sue componenti dinamiche; Responsabile del Centro Emmanuel per Tossicodipendenti di Rieti presso cui cura diversi progetti regionali; autore di diverse pubblicazioni psicologiche; lavora nel suo studio.

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