Gerusalemme appare non come una città che ha già raggiunto un ideale a cui tutti dovrebbero tendere, ma come il luogo in cui questo ideale è il più contrastato, è il più difficile, il più smentito dai fatti, e dove dunque l’accanimento della speranza che non cede è segno e stimolo per ogni altra città minacciata da conflitti ed inimicizie (Carlo Maria Martini, Verso Gerusalemme)

Jerusalema. Una delle canzoni più ascoltate, condivise e ballate di questa strana estate. Ritmo coinvolgente e balli che portano il sapore dell’Africa, con tutti i colori che siamo in grado di immaginare. Alle orecchie non abituate ai linguaggi diversi dall’italiano e dall’inglese sembra semplicemente una canzone da ballare, una canzone da mettere in macchina mentre si va al mare o a cena fuori. In realtà è una canzone gospel. Una canzone di disperazione e speranza. Una canzone che racconta della ricerca di un posto nel mondo. Una canzone che a molti potrebbe essere utile. Sì, perché molti possono trovare briciole di sé in una canzone di richiesta. Richiesta di aiuto. Richiesta e ricerca di un posto nel mondo. Ricerca e richiesta di simboli che portino un po’ di luce nell’oscurità di tempi privi di identità.

Ulisse a Gerusalemme

Se ancora qualcuno dei numi vorrà tormentarmi sul livido mare, | sopporterò, perché in petto ho un cuore avvezzo alle pene. | Molto ho sofferto, ho corso molti pericoli | fra l’onde e in guerra: e dopo quelli venga anche questo! (Odissea, V, vv 221-224)

Siamo nella parte conclusiva di una strana estate. Abbiamo iniziato questi mesi nell’incertezza di poter andare al mare, di poter riprendere la cosiddetta normalità. Abbiamo passato i primi mesi di caldo tentando di riprendere abitudini che avevamo chiuso in soffitta. Arriviamo alla seconda metà di agosto con un mondo ancora alle prese con l’ennesima crisi globale, con l’abitudine a parole cupe come “quarantena” e “isolamento”, con la preoccupazione per una possibile nuova chiusura imposta. Credo sia capitato a molti di noi in questi giorni di interrogarci sul nostro posto nel mondo. Capita a tutti. Tutti cerchiamo di guardare al nostro futuro. Chi con pensieri carichi di speranza, chi con apatia, chi con terrore e così via. Sarebbe utile poter creare una pozione di pensieri, unendo la spensieratezza del nostro Puer, la saggezza del Vecchio Saggio, la capacità di creare e di distruggere della Grande Madre, per guardare al nostro futuro?

Lottiamo per il nostro avvenire in modo molto simile alla traversata di Ulisse per tornare a Itaca. Anche a noi sembra di affaccendarci, di impegnarci per poi scontrarci con una serie impressionante di imprevisti che ci fanno ricominciare dal punto di partenza. La crescita individuale, il cammino di ciascuno di noi risente sempre di canti ingannevoli delle sirene. A volte può capitare di essere ingannati dagli incontri con la magia di una dea Circe, con capacità magiche. Può capitare di dover lottare con Polifemo e con persone dalla vista così chiusa sul mondo. E può capitare perfino di incontrare sulla propria strada la benevolenza di Nausica e l’amore di Calipso. Ad alcuni, ancora, può capitare anche avere una Penelope, una vita famigliare, da cui tornare o per cui lottare. Ma l’Odissea insegna che raramente tutto va come previsto. L’Odissea insegna che di rado abbiamo un posto nel mondo in cui sentirci sempre a casa. E questo 2020 ha sbattuto sul viso di tutti noi questa verità: raramente tutto va come volevamo; raramente è possibile sentirsi veramente a casa.

Ed ecco Jerusalema. Un canto gospel. Il canto di chi cammina in cerca della propria casa. “Il mio posto non è qui. Salvami. Gerusalemme è la mia casa”. Ulisse potrebbe essere il protagonista di questa canzone. Alla ricerca della sua Gerusalemme. Alla ricerca di casa. E chissà se davvero una volta tornato a casa Ulisse è davvero ripartito per superare le Colonne d’Ercole, il confine del mondo conosciuto. Chissà se davvero Ulisse ha affrontato il suo viaggio per tornare a casa, per poi accorgersi che quella casa non era più sua, per scoprire che avrebbe dovuto ancora viaggiare per trovare il suo posto nel mondo.

Alla ricerca della terra promessa

Il mondo è davvero pieno di pericoli, e vi sono molti posti oscuri; ma si trovano ancora delle cose belle, e nonostante che l’amore sia ovunque mescolato al dolore, esso cresce forse più forte (Il Signore degli Anelli, J.R.R. Tolkien)

La storia dell’umanità è costellata da viaggi alla ricerca di qualcosa. La storia dei popoli che hanno popolato la Terra è un insieme di storie di viaggi. La letteratura mondiale ne è piena. E la storia di ciascuno di noi non è altro che un viaggio, un cammino. Ci sono popoli interi che stanno partendo dai propri paesi di origine in cerca di una presunta terra promessa. O che, semplicemente, stanno scappando per sopravvivere. Ci sono generazioni di ragazze e di ragazzi che stanno scavalcando i confini delle proprie città, della propria lingua madre e delle proprie abitudini in cerca di lavoro e prospettive. Banalmente, ci sono decine di persone in viaggio verso luoghi di vacanza, per cercare spazi di non-pensiero o di libertà dagli impegni.

La storia dell’umanità è un perenne viaggio. Forse a tutti è stato garantito l’approdo a una “terra promessa”. Riuscite a immaginare un lupo e un agnello stare fianco a fianco, senza che il primo abbia anche semplicemente l’istinto di mangiare l’altro? Riuscite a immaginare un vitello e un leone cibarsi di erba, senza dover combattere per la propria sopravvivenza? Sono due delle immagini che in uno dei libri della Bibbia vengono usate per raccontare la Terra Promessa. Un luogo dell’anima e del corpo dove il mondo intero sarebbe stato o sarà rivoluzionato a tal punto da travalicare anche gli istinti darwiniani. Per l’umanità è sempre e da sempre stata una questione di sopravvivenza. La ricerca di territori o condizioni per sopravvivere. A discapito di qualcun altro, poco importa. Del benessere di determinati popoli hanno pagato le spese altri popoli o elementi naturali. Della prosperità del mondo moderno pagherà il conto Madre Natura. Dell’inquinamento, pagheranno il conto le generazioni future. E così via.

Non per questo possiamo smettere di immaginare e di cercare la nostra Gerusalemme, la nostra terra promessa. Peter Pan per volare doveva ancorarsi ai suoi pensieri felici. Immagini, ricordi, desideri…Pensieri tanto potenti e luminosi da poter alleggerire il corpo e la mente, tanto da far volare. I pensieri felici sono la Gerusalemme di Peter Pan.

Qual è la vostra Gerusalemme? Qual è la vostra idea di Terra Promessa?

Ci sono persone che scommettono o giocano o comprano semplicemente un biglietto della lotteria perché immaginano di far scomparire le proprie difficoltà con una serie di numeri. Un po’ tutti  abbiamo l’illusione che con una vincita milionaria le difficoltà spariranno e inizierà una nuova vita felice. Ci sono persone che fanno lavori di ogni tipo per sopravvivere e per poter anche solo immaginare il proprio futuro. Ci sono persone che lottano contro se stesse o al fianco di se stesse per poter ricominciare di nuovo. “Gerusalemme. Questa è la mia via”. Raggiungere o viaggiare verso la Terra Promessa è morte ed è rinascita. Gerusalemme è una condizione dell’anima.

Conclusioni

Si formerà una strada per il resto del suo popolo
che sarà superstite dall’Assiria,
come ce ne fu una per Israele
quando uscì dal paese d’Egitto
(Isaia, XI v.16)

La morale psicologica di queste righe è che esiste una Terra Promessa. Ma è improduttivo immaginarla come un luogo fisico, fatto di fiumi di latte e miele. È improduttivo e forse pericoloso immaginare di dover scommettere soldi per avere una nuova vita. La Terra Promessa è un luogo dell’anima. È una condizione psicologica. Ma, onestamente, non so dirvi e dirmi se ci sarà mai una persona che la scoprirà. Ma la Terra Promessa esiste. Esiste già nel tentativo di raggiungerla e di scoprirla. Esiste nelle soste durante il viaggio. Esiste nella soddisfazione a fine giornata per aver fatto un buon pezzo di strada. Esiste nel respiro profondo e sognante della sera. Esiste. Perché l’umanità è in cammino. Esiste perché ci sono popoli che viaggiano non per conquistare ma per salvarsi. Esiste perché ci sono persone che si impegnano e sognano e amano e respirano alla ricerca di un futuro. Ulisse è arrivato ad Itaca ed è ripartito: la Terra Promessa si vive solo viaggiando.

Jerusalema. La canzone dell’estate 2020, di una estate così particolare, ci dice che la Terra Promessa esiste. Che magari non ci accorgiamo di dove sia. Perché è difficile sentirsi a casa. Jerusalema ci dice che esiste una casa per ciascuno di noi e che, probabilmente, è esattamente dentro di noi, nella nostra anima.

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Info sull'autore

Teresa Di Matteo

Psicologa, Psicoterapeuta in formazione

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