Perché la psicologia è malata?

Sembra un curioso gioco di parole che vuole confonderci le idee, dire che la psicologia è malata come a dire che chi cura è più malato del paziente curato.

Tuttavia, il rapporto tra psicologia e malattia è un tema fondamentale della psicologia archetipica e del suo approccio spesso critico e controcorrente nei confronti del modo più comune e convenzionale di trattare argomenti d’interesse clinico e culturale.

Prendiamo in considerazione un pensiero lapidale e netto di Hillman:

“Il linguaggio della psicologia insulta l’anima. Esso vorrebbe sterilizzare le metafore trasformandole in astrazioni. Siamo resi malati perché quel linguaggio è malato (J. Hillman, Il mito dell’analisi, Adelphi, Milano, 2004, p.133)”.

Cosa vorrà mai intendere?

In apparenza potrebbero sembrare delle frasi sparate con enfasi romantica e tono oscurantista di chi nega e si oppone al freddo e cinico scientismo dei moderni approcci medicalizzati. C’è di mezzo poi l’anima, una parola che fa rabbrividire lo studente modello di neuroscienze e che potrebbe far bollare tutto il pensiero privandolo di alcun genere di validità.

Di quale linguaggio della psicologia stiamo parlando?

Questo è il punto importante sui cui riflettere. Trovo allora utile inserire un’altro pensiero del fondatore della psicologia archetipica che appare molto più chiaro:

“Fino a che non scopriremo la persona archetipica insita in queste parole, dando loro quell’importanza che nasce dalla connessione delle sindromi con gli archetipi, il nominalismo continuerà a riempire di termini vuoti personalizzandoli con persone concrete (Hillman, Re-visione della psicologia, Adelphi, Milano, 2000, p. 120)”.

Il punto importante è la connessione tra sindrome e archetipi. Quello che emerge è la mancanza di un’effettiva conoscenza di come agiscano i processi psichici, lacuna che viene colmata dalle terminologie e nomenclature della psicopatologia. Per questo il linguaggio della psicologia clinica insulta l’anima. Perché in realtà spiega ben poco cercando d’imbrigliare in presunti termini significativi espressioni del comportamento e rappresentazioni del pensiero che hanno poco e niente a che fare con le parole che le vorrebbero spiegare.

Il linguaggio della psicopatologia è un linguaggio espressamente descrittivo

È una rappresentazione molto generica di processi e funzionamenti alquanto complessi che restano per lo più oscuri ed ipotetici rispetto ad un’effettiva spiegazione psicologica.

In questo senso rientra il termine usato da Hillman ‘sindrome’: un insieme di sintomi che possono essere prodotti da cause differenti e per lo più ancora ignote. Se pensiamo al più noto e diffuso manuale di psicodiagnosi, il DSM, noteremo che esso serve solo a descrivere i disturbi e volutamente non prende in considerazione le loro origini le cause o le finalità. Appare insomma come un vocabolario di una sorta di lingua franca, un inglese psichiatrico, che serve a raccogliere i segni dei disturbi per poi raccoglierli in definizioni. Una lingua senza grammatica insomma, dunque una lingua vuota.

Ammettiamo che possa andare, è utile avere un vocabolario comune, semplice e condiviso. Emerge però il grave problema che la descrizione quasi sempre diventa la malattia definitiva come se bastasse a spiegare e capire cosa il paziente ha. I disturbi del DSM valgono come diagnosi infatti. Questo, a mio parere, vorrebbe dire la frase di Hillman di sopra: “Esso -il linguaggio psicologico- vorrebbe sterilizzare le metafore trasformandole in astrazioni”.

Le astrazioni delle generalizzazioni patologiche che raccolgono le forme di disturbo psichico possono diventare contenitori vuoti e privi di significato utili solo ad incasellare l’individuo in un’etichetta patologica che serve a molto poco sul piano teorico e pratico. Servirebbe se avessimo una chiarezza sulle cause delle patologie come avviene per le malattie organiche dove alla diagnosi corrisponde una precisa causa. Perché la diagnosi comporta il riconoscimento di agenti patogeni mentre in psicologia non funziona così.

Questo è il problema.

Si è pensato che un agente patogeno fosse il trauma ma si è ben capito che, esclusi particolari casi inerenti effettivi traumi da stress, la maggioranza dei disturbi psichici non sono riconducibili ad eventi del passato ma richiedono un’elaborazione delle rappresentazioni psichiche che la persona vive e che prima di ogni cosa immagina. La malattia psichica quasi sempre non è un’infezione da curare quanto un fattore estraneo da integrare ai fini di un cambiamento in atto nell’individuo.

Conclusioni

Un linguaggio psicologico malato non è pertanto un linguaggio che usa parole mediche o scientifiche rispetto a parole mitologiche o umanistiche. È malato perché confonde l’inquadramento nominalista di un disturbo con la sua conoscenza ed al peggio con la sua cura.

La psiche umana non è una macchina, ma se ci convinciamo che lo sia, probabilmente questa lo diventerà. La questione è che questo allontana dal cuore del problema per cui la psicologia si è costituita: chi è l’inventore della macchina, quali sono i suoi pensieri e da cosa è agito. Ovvero, la persona archetipica.

P.S. CLICCA QUI per leggere “Lo Psicoterapeuta non è tenuto a risolvere i problemi!”

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