L’anoressia nel mito di Narciso

L’anoressia è un disturbo dell’alimentazione.

Questa è la categorizzazione che si può trovare nei manuali riguardo l’anoressia. Si può leggerne l’incidenza statistica sulla popolazione. Per la cronaca: circa una persona ogni cento vive l’anoressia. Si può distinguere fra anoressia lieve, moderata, severa ed estrema. Insomma, si possono avere tante informazioni dettagliate su una condizione psicologica che colpisce tante e tanti.

Tuttavia c’è una chiave di lettura che vorrei condividere in queste righe: la chiave simbolica di chi vive l’anoressia e di chi prova a cercare il supporto della psicoterapia. Userò il mito di Narciso. Ma attenzione: il mito di Narciso non è solo connesso al narcisismo. E non parlerò minimamente di un ipotetico nesso fra anoressia e narcisismo. Proverò a rileggere con voi tre elementi portanti del mito di Narciso per dare una chiave simbolica al vissuto di anoressia e al viaggio psicologico per affrontarla.

Non vedersi

Chi ha sofferto o chi tutt’ora vive l’anoressia conosce sulla propria pelle la fatica del rapporto con il proprio corpo. C’è una preoccupazione intrusiva sull’idea di peso e sulla forma con cui si percepiscono il corpo e le sue forme. Si perde il controllo nell’anoressia. Nel corso del vissuto di anoressia il peso diventa una variabile costantemente sotto controllo: la minima oscillazione diventa impattante come uno tsunami su un villaggio di capanne fatte di paglia e argilla. Nel vissuto di anoressia, le forme diventano terrificanti come una scala a chiocciola capace di condurre direttamente all’Inferno.

E Narciso dov’è?

Nella maggior parte dei casi, quando parliamo di Narciso ci immaginiamo automaticamente un essere splendido incantato dalla propria immagine riflessa in uno stagno. Invece Narciso è molto di più…

Sapevate che Narciso non ha mai potuto guardarsi allo specchio? Nella versione di Ovidio, l’indovino Tiresia aveva profetizzato che Narciso avrebbe raggiunto la vecchiaia solo se non avesse conosciuto se stesso. Ed ecco che gli specchi vengono coperti. E Narciso arriva a 16 anni senza essersi mai guardato. Simbolicamente, a Narciso viene preclusa la possibilità di formarsi un’immagine di sé. Narciso non ha il controllo, non ha la possibilità di formarsi una rappresentazione realistica di sé.

Nell’anoressia uno dei vissuti più complessi da scardinare è proprio la perdita di controllo nel dismorfismo corporeo. Chi vive l’anoressia perde il controllo della propria immagine e la strategia che tendenzialmente si mette in atto è quella del controllo maniacale del peso. Ma il corpo no, quello non si riesce a percepire come proprio.  Narciso era splendido, per tutti, ma non per se stesso: non aveva modo di guardarsi, di conoscersi.

Paura dell’altro

L’anoressia nervosa ha una correlazione con bassi livelli di empatia. Non confondiamo con cattiveria o menefreghismo, badate bene. Nelle fasi critiche di anoressia nervosa si ha difficoltà a riconoscere le emozioni che l’altro prova. Non è un processo consapevole. È una componente dell’anoressia, intimamente connessa alla perdita del controllo di sé. Non riconosco me, il mio corpo, la mia vita: come posso riconoscere quello degli altri?

Narciso era incapace di amare. Chiunque, uomini, donne, semi-dei, lo corteggiavano per la sua bellezza esteriore. Ripeto: lo corteggiavano per la sua bellezza esteriore. Una bellezza che Narciso non poteva riconoscere a se stesso. Scacciava chiunque. Forse perché convinto che ci fosse un costante tentativo di imbroglio? Narciso non poteva conoscersi. Cosa poteva concedere che gli altri amassero di lui?

Ma ecco che proprio nell’incontro con l’altro che in Narciso c’è la svolta. L’incontro con la ninfa Eco (a sua volta condannata a non poter far altro che ripetere le parole dette dagli alti), lo porta sul bordo del precipizio: il tuffo fra la morte e la rinascita. Quel precipizio a cui lo condanna Nemesi. Nemesi che personifica la giustizia e la sua operazione, la vendetta. Nemesi che costringe Narciso a conoscere se stesso, a perdersi in sé… simbolicamente a riprendere il controllo di sé. In un modo tragico, doloroso.

Nel vissuto di anoressia c’è la lotta costante con gli altri. C’è l’impossibilità, l’incapacità di accogliere l’altro. Non ci sono altre energie, se non quelle per controllare il proprio peso, nel tentativo di controllare se stessi. Gli altri sono una minaccia, una distorsione costante per quell’obiettivo invadente e preciso: il controllo del proprio peso.

Ma poi l’incontro con la nostra nemesi ci porta alla distruzione del nostro controllo illusorio, alla distorsione della nostra immagina. Non ci può essere soluzione se non con una morte psicologica, questo sa bene chi ha vissuto una profonda psicoterapia.

E nella storia del mito Narciso c’è ancora un altro tassello da ricostruire.

Morte e trasformazione

Narciso muore.

Non si distoglie da un’immagine riflessa.

Riflessa, ma che non riesce a sentire come propria. Quando entra in contatto con la sua immagine, quando si appropria del proprio sé, ecco che ha inizio la tragedia. Narciso muore nel suo riflesso. E poi? E poi rinasce nello stagno, sotto forma di fiore. Il fiore che tutt’ora ha il suo nome: i narcisi.

In un percorso di psicoterapia, c’è una lotta costante. Che sia una lotta senza armi, una lotta di sguardi e silenzi. Che sia una lotta furente. Che sia una lotta all’ultimo sangue o solo una minaccia… nell’anoressia c’è la lotta inconsapevole per conoscere se stessi. Per dire “io sono io”, “io sono padrone della mia vita”. Un’operazione difficile, forse impossibile, se non si ha uno specchio. Come si possono scegliere i colori nel buio completo?

Ecco la psicoterapia nell’anoressia. Un po’ incontro con Nemesi: la piccola spinta per entrare in contatto con il riflesso di sé e accompagnare Narciso ad accorgersi che c’è lui, c’è il suo riflesso, c’è la sua immagine di sé…e poi c’è il suo sé. C’è il fiore in cui Narciso trova il suo posto nell’universo. C’è Narciso nell’eternità.

Conclusioni

Si muore di anoressia. Il corpo e la vita vengono sfiniti. Ma c’è anche l’anoressia che muore. Perché muore il corpo distorto.

Muore il peso che diventa condanna e strumento di controllo. Vive la persona. Continua a vivere. Perché dopo la lotta il guerriero ha saggiato le sue forze. E può scegliere. Scegliere di continuare a combattere o di rientrare a casa. Ogni guerriero si conosce misurandosi sul campo. Ogni persona non può che conoscersi se non imparando a guardare proprio sé, il proprio sé: non l’immagine ideale, non il nostro riflesso, ma noi stessi.

Nell’anoressia gli specchi non hanno senso: non riescono a raffigurare noi per come siamo. Gli altri, in generale, nell’anoressia non hanno senso: non riesco a capire me, come posso capire gli altri? Ha senso l’altro. Il singolo che mi mette in contatto con me. Ha senso una terapia che non solo ci aiuta a incontrare noi stessi, ma che ci accompagna a trovare il nostro stagno, la nostra anima in armonia, tanto perfetta da fare nascere i fiori.

Ecco perché Narciso sa raccontare l’anoressia.

P.S. CLICCA QUI per leggere Il narcisista ha paura delle relazioni

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Info sull'autore

Teresa Di Matteo

Psicologa, Psicoterapeuta in formazione

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