La diarrea è un luogo

“Il labirintico apparato intestinale, con il suo calore, la sua collocazione interna e il suo fetore sulfureo, è già stato da altri assimilato a un mondo infero interiorizzato. Esiste nella nostra cultura una lunga tradizione che associa le viscere con la malattia mentale, e non manca chi ha identificato in esse la sede dell’anima”. (J. Hillman, “Il sogno e il mondo infero”)

Si, la diarrea è un luogo e, al tempo stesso, è il materiale di cui quel luogo è fatto. Oggi l’intestino viene anche visto come secondo cervello.

E che cavolo! Perché secondo?! Abbiamo così tanto bisogno di avere il controllo su di noi che non accettiamo che buona parte di ciò che siamo, sia il risultato delle peristalsi e delle contorsioni intestinali. Allora vi parlerò di poche cose, brevemente e concisamente. Vi parlerò dell’intestino e della diarrea come luogo infero, vi parlerò del lavoro intestinale che la diarrea suggerisce e, infine vi parlerò di somatizzazione e a cosa serva e poi concluderò alla maniera dei poeti.

Sognare la cacca

Se sogni la cacca, se sogni di farla addosso, di spalmarla di mangiarla o qualsiasi altra cosa che, se oniricamente sembra accettabile, tenderesti a non raccontarlo il giorno dopo, allora quel sogno è cosa buona. La cacca è la parte meno nobile di noi o meglio la parte che riteniamo meno nobile di noi, eppure è proprio la più fertile. Allora i sogni di cacca sono sogni di fertilità. Più una cosa non ci piace di noi, più è cacca e più la nascondiamo. La neghiamo, addirittura. Anche di fronte all’evidenza. Ma se è vero che la forza di Psiche sta nella sottomissione, ci dice Hillman, allora dobbiamo sottometterci a quella cacca. Solo ammettendo l’invidia al nostro banchetto non la agiremo scompostamente. Solo la capacità di accogliere, ad esempio, la nostra antisocialità ci consente di diventare buoni poliziotti o ricercati artisti. La misura delle nostre filie è la misura delle nostre competenze emotive e relazionali. In quella cacca possiamo piantare semi… lo so è banale. Ma a volte è veramente tutto qui.

Il mondo infero e la diarrea

Jung inaugurò questa parola e la fece diventare di moda. L’infero e l’inferno non coincidono ma speso l’infero è vissuto come l’inferno. Con infero ci riferiamo semplicemente a ciò che sta sotto, in basso, in profondità. Si tratta al tempo stesso dell’istintualità più bieca unita alla più nobile profondità dell’animo. Spirito e corpo si uniscono nel mondo infero. Freud lo avrebbe chiamato inconscio, Jung pure mentre Hillman lo avrebbe parificato al mondo delle immagini. Più banalmente nel mondo infero teniamo le immagini socialmente indesiderate e solo ironicamente raccontate e raccontabili. L’infero è composto di “merda” e infatti questa è l’esclamazione che esce spontanea verso qualcosa che sapevamo sarebbe potuto accadere e alla fine è accaduto.

Barzellette sulla diarrea

Le barzellette sono il loro lasciapassare, sono i lasciapassare delle immagini indesiderate. Quelle sul sesso con gli animali, quelle sull’uccisione della suocera, quelle sui folli. Insomma infera è l’immagine che, come un lampo, transita davanti ai nostri occhi quando, prendendo il coltello dal cassetto delle stoviglie, l’associazione col sacrificio umano, a cui sempre il coltello simbolicamente rimanda, ci balza davanti al naso osservando un caro congiunto. La maggior parte di noi si gira dall’altra parte, mentre chi entra in terapia la contempla per carpirne il messaggio. Un messaggio che chiede di non essere letteralizzato, ossia chiede non di essere agito sul congiunto, ma sull’emozione in me che il congiunto simbolicamente rappresenta. In quel mondo infero fatto di immagini e archetipi, che poi sono la stessa cosa, la psicoterapia ha eretto la sua casa e il suo tempio. E i pazienti giungono per sentire gli effluvi intestinali, perché tale è l’odore di alcune immagini inaccettabili, effluvi la cui esistenza imbarazzante diviene, in analisi, la dolce compagnia, la stessa che ci fanno, ad esempio, i nostri peti quando andiamo a dormire.

E la diarrea? Che fine ha fatto

Ma se la cacca si fa diarrea ci deve essere qualcosa che non va. Allora direi che, o ci si trova davanti a una fuga incontrollata di ciò che è infero che vuole liberarsi, oppure, all’opposto, stramaledettissimi opposti, ci troviamo di fronte a una inabilità a trattenere quello che ci arriva, incapacità a trattenere il nutrimento. Iniziamo da qui. La diarrea è proprio un passaggio troppo rapido nell’intestino e dunque lui, l’intestino non ha il tempo di formare le feci solide. Questo significa che i nutrienti si perdono ma si perdono anche i veleni. Allora il corpo, e questa è in sintesi la funzione della somatizzazione, agisce sulla materia ciò che noi impediamo che la psiche agisca su di noi. “Devi prendere il liceo classico!”, intima tuo padre. Tu lo fai e poi hai diarrea per tutto il ginnasio. Poi cambi scuola e tutto va bene. Insomma la diarrea elimina il velenoso desiderio del padre che impediva l’esordio di quello del figlio.

Oppure la diarrea è l’infero che fa una evasione

“Sei sicuro di non voler fare l’università” e la diarrea ci coglie fin quando non accettiamo i nutrienti di un’immagine che ci impauriva: lo studio. Allora dopo aver buttato un paio d’anni in lavori occasionali, ci iscriviamo e le feci si formano. Dunque se non concediamo alle nostre immagini, quelle che ci abitano e ci suggeriscono la forma che ha la nostra anima, di liberarsi e transitarci, allora loro cercheranno di uscire. In quel momento, il nostro intestino, il nostro primo cervello direi, si contorce e espelle feci liquide, come a dire “tiè, ora hai capito che devi convivere con sta puzza!?”

Ma insomma! Quindi la diarrea ci suggerisce di fare quello che ci viene consigliato perché il veleno è dentro di noi o, all’opposto, ci dice di seguire il nostro istinto perché il veleno è fuori? Ahh! Se fosse così facile! Ognuno deve transitare e sentire quegli effluvi. Ogni sogno è un’impresa e una conquista e se il sogno non basta, allora ecco che la somatizzazione gli dà una mano.

Somatizzare con la diarrea

Dunque la diarrea è uno dei tanti modi in cui somatizziamo: Somatizzazione significa semplicemente che se siamo incapaci di abbandonarci al processo di individuazione, ci opponiamo a divenire ciò che siamo per somigliare a chi vorremmo essere, allora il corpo, ogni singola cellula, organo, bulbo o pelo cercherà di spingerci verso quell’abbandono. E il corpo è il grande maestro e ogni singola malattia, anche organica, dopo averla considerata da un punto di vista medico, va accolta nel suo messaggio psicologico. Allora un cancro al seno è comunque una inflazione di materno, un eccesso di prendersi cura, oppure, che so una malattia del sangue che eccede in coagulazione è anche l’espressione della nostra tendenza a ipercoagulare a ipercicatrizzare senza lasciare che le ferite prendano aria. Insomma il corpo e tutte le sue deiezioni parlano, dal muco allo sperma, dal sudore alla cacca e lei, la cacca, direi che è la regina del mondo infero e va coccolata. Dunque, se si fa diarrea una certezza c’è, dobbiamo cambiare il modo in cui mangiamo, dobbiamo eliminare i veleni e le intolleranze e favorire i cibi utili per l’anima. Il cibo psichico, emotivo e relazionale non va. E questo si fa, ahimé, per prove ed errori.

Quindi cagate perché è dimostrato, ci si pulisce il culo dopo aver cagato” (R., Benigni, “L’inno del corpo sciolto”)

P.S. CLICCA QUI per leggere Il corpo e il linguaggio non verbale

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Info sull'autore

Luca Urbano Blasetti

Psicologo e Psicoterapeuta; Dottore di Ricerca in Psicologia Dinamica sul tema Creatività e sue componenti dinamiche; Responsabile del Centro Emmanuel per Tossicodipendenti di Rieti presso cui cura diversi progetti regionali; autore di diverse pubblicazioni psicologiche; lavora nel suo studio.

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