Sofferenza e male

“Dottore non voglio più soffrire, ho sofferto troppo.” Capita che questa sia la richiesta del paziente al terapeuta. È una preghiera che risuona di cristianità.

“…liberaci dal Male (Padre Nostro, preghiera cristiana)”

La cristianità ha risposto con perdono e assoluzione. Il credente è spinto alla confessione da un conflitto morale e ricerca nel perdono la soluzione del conflitto stesso. Nella confessione il conflitto si rimette a ciò che è infinitamente più esteso (Dio) e in lui si dissolve. La conseguenza è che il significato personale e psicologico del conflitto viene mondato con l’oblio, conseguenza del perdono.

Questo preambolo ci serve per focalizzare una delle domande attorno a cui ruota la terapia: “a cosa serve la sofferenza? che significato può avere?”. Queste domande hanno una natura profondamente religiosa e sono state formalizzate dalla cristianità come “il problema del Male”.

Implicazioni del non voler soffrire

L’implicazione dell’iniziale richiesta è che il paziente ha un atteggiamento pacifista: non ama il conflitto e se ne vuole liberare. Paura e terrore lo tengono lontano dai suoi demoni. Egli ritiene che paura e terrore siano le reazioni naturali alla sofferenza e ritiene anche che siano le giustificate reazioni dell’uomo timorato di Dio nei confronti del Male.

Seconda implicazione, forse la più importante, è che a quella sofferenza non vuole concedersi come il cristiano al Male. In fondo bisogna opporre ogni resistenza al Demonio. Forse il motivo per cui quella sofferenza è intollerabile è perché lui è intollerante con la sofferenza.

Va messo quindi in discussione l’atteggiamento pacifista con cui il paziente guarda alla sofferenza. Il primo passo sarà separare l’immaginario della sofferenza da quello del Male. Ciò renderà il conflitto osservabile perché accoglibile, ma non toglierà la paura.

La paura della sofferenza

Sappiamo dalla biologia che la paura genera pattern comportamentali di attacco o fuga. La fuga si attiva quando il pericolo è sufficientemente lontano da non dover rischiare una colluttazione. L’attacco quando il pericolo è così prossimo da non poter più scappare.

Da questa analogia biologica scoviamo una terza implicazione dell’affermazione iniziale: “la sofferenza è lontana da me, aiutami a scappare”. Eppure la sofferenza (o il Male) è talmente vicina che si potrebbe dire che è “dentro” per cui una reazione di fuga sembra possa avere un successo alquanto improbabile con l’unico effetto di trasformare un conflitto in un inseguimento, ossia la paura in ansia.

L’attacco invece, sembra biologicamente la reazione più appropriata, ma il paziente terrorizzato vuole stare lontano dal sangue. È troppo buono per impugnare la spada e ha paura di poter trovare il piacere nel dolore. Forse Paura e Terrore, rispetto al palesarsi della sofferenza o del Male, non sono le canoniche reazioni del buon uomo, ma sono figlie del conflitto e lo incitano. Non è la pudicizia che genera la Paura, ma è la guerra.

Funzione della paura e del terrore

Fobos e Deimos, Paura e Terrore personificati, erano i figli di Afrodite ed Ares e accompagnavano in guerra il padre. I soldati greci erano soliti apporre sui loro scudi l’effige della testa di Fobos (altre volte quella della Gorgone).

I figli di Ares sostenevano la battaglia e ci mettevano la faccia. È a causa di Fobos e Deimos che si scendeva in battaglia. Ciò vuol dire che Paura e Terrore sono il motivo per cui si accetta il conflitto e l’inevitabile sofferenza, e non la sterile conseguenza del conflitto stesso. La paura spinge ad interessarsi al conflitto perché segnala che ne va del proprio destino. La sua persecuzione è personale.

La paura mantiene vicino al conflittto

Deimos e Fobos sono figli di Ares ed Afrodite. Questa coppia archetipica è idealizzata quando viene concettualizzata come l’unione della bellezza e della virilità. Diventa meno tollerabile quando assume le tinte del godimento nella distruzione. Ares ed Afrodite non sono semplicemente i due bellocci uniti da un amore romantico. La loro unione si manifesta gloriosamente nell’amore per la violenza, per le armi, per la boxe, per la competizione, nella folle passione per questi campi (di battaglia) della vita.

“Che spettacolo sublime è assistere all’esplosione della bomba atomica! Un fatto di eccezionale violenza, lussurioso nella sua accecante bellezza” – questo si sussurrano i due tra le lenzuola.

Il segreto amore per la violenza genera Paura e Terrore, che ci vengono a reclutare.

Psiche e guerra

La Psiche ci spaventa e terrorizza come un tiranno guerrafondaio per spingerci a partecipare alle sue guerre. Hillman ha chiamato questa tendenza di Anima a richiamare alla partecipazione tramite immagini truculente Patologizzazione. Ciò che soffre malamente segna, “traumatizza”, trasforma la bianca verginalità di Kore in Persefone.

Questa è anche la funzione immaginativa che, attraverso la deformazione sofferente delle fantasie, trasforma gli eventi in esperienze. Ogni evento, se non è patito, non è personale. Senza sofferenza nessuna esperienza. Un’anima che non patisce è vergine, bianca, immacolata. Non conosce passione perché non vuol conoscere conflitto e sangue.

La guerra è essenziale

La guerra, con la sua potenza di fuoco terribile, fa piazza pulita del superfluo, brucia ogni velleità e opulenza. Consuma le risorse ed erode le difese, toglie la maschera agli uomini, e svela la verità di Ares. Così nel conflitto, al fronte e in prima linea, l’uomo si spoglia e giunge a verità marziali: ciò che conta è la spinta vitale e la sua manifestazione più pura è la capacità di sopraffazione, anche detta esercizio della violenza. Afrodite ribolle di passione per questa grossa miccia incandescente.

Stando a questa coppia archetipica il conflitto ci porta alla radice violenta della vita. Ne guadagniamo la certezza di essere sostenuti da sotto, e con forza, da Ares mentre divampiamo nel suo fuoco come Afrodite. Nella sofferenza del conflitto il fuoco di Ares spazza via ogni psicologismo conducendo con abbagliante lucidità alla forte radice della vita. Ciò infonde in noi la basilare sicurezza virile del dio.

Se c’è una cosa che la storia dell’evoluzione ci ha insegnato, è che la vita non ti permette di ostacolarla; la vita si libera, si espande in nuovi territori e abbatte tutte le barriere, dolorosamente, magari pericolosamente ma… tutto qui […] dico semplicemente che la vita… vince sempre (Ian Malcolm, Jurassic Park).

Conclusioni: Afrodite gode nel conflitto

La sofferenza psicologica ha la funzione di attirare la nostra attenzione verso l’interno. I figli di Ares ci terrorizzano per spingerci al partecipare al conflitto. Qui scopriamo che il conflitto è la manifestazione violenta della vitalità psicologica.

La sua natura è ineliminabile. Conflitto dopo conflitto, la guerra tempra l’anima vergine e indifesa e la poggia sul trono di Ares. Non più un’Anima immacolata e impaurita che teme il male, ma una libertina fedifraga che sa godere del fallo violento della vita, Afrodite. La sofferenza, con il suo fuoco alto, dona all’anima la saggezza e la spregiudicatezza di Afrodite.

P.S. CLICCA QUI per leggere La sofferenza è non osservare sé stessi. Intervista a Cristòbal Jodorowsky

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