È facile capire come nel mondo esista sempre qualcuno che attende qualcun altro, che ci si trovi in un deserto o in una grande città. E quando questi due esseri s’incontrano e i loro sguardi s’incrociano, tutto il passato e tutto il futuro non hanno più alcuna importanza. (Paulo Coelho)

Da una manciata di giorni è iniziato dicembre, un periodo di attesa e di bilanci. Dicembre è il mese dell’attesa, un’emozione che caratterizza prepotentemente le nostre vite. Aspettiamo il nuovo anno, come se potesse segnare un cambio di rotta radicale nelle nostre vite.

Aspettiamo Natale, ci circondiamo e lasciamo circondare da luci e addobbi. Ma nelle nostre vite aspettiamo ciclicamente. Aspettiamo il futuro, lo prepariamo. Siamo costantemente proiettati verso l’oltre. Siamo pellegrini, in attesa.

Attesa, letteralmente tesi verso qualcosa/qualcuno. L’attesa è uno stato di tensione, emotiva e fisica, verso un punto distante dalla condizione attuale. Ho scritto diverse volte del significato del tempo e dei momenti ciclici della vita. Ma l’attesa ha una sfumatura psicologica del tutto particolare, tipica.

Nighthawks di Edward Hopper sarà la guida artistica per la nostra riflessione.

Nighthawks, Falchi notturni

Noi non cerchiamo mai le cose, ma la ricerca delle cose, non viviamo mai nel presente, ma in attesa del futuro. (Blaise Pascal)

Il titolo originale dell’opera è falchi notturni. Hopper, famoso pittore realista statunitense, raffigura una tavola calda degli anni ’40, vista dall’esterno. Una strada di città, buia e solitaria, come tutte le città a notte fonda. Racconta un’epoca di restrizioni e di proibizioni, un’epoca in attesa di cambiamenti radicali.

Hopper Falchi notturni

In quest’opera, lo spettatore osserva da lontano la scena di individualità separate tra loro che si incontrano in un bar aperto di notte. Ognuno è lì, da solo con i propri pensieri e le proprie storie. Ognuno è lì da solo con la propria solitudine e la propria attesa.

A chi non è mai capitato di aspettare quando il sole è già tramontato?

Aspettiamo persone care che tornano a casa. Aspettiamo notizie. Aspettiamo aerei, treni, autobus. E quando i tempi dell’attesa si dilatano, ci rifugiamo in un bar, qualsiasi sia l’ora del nostro presente. Hopper ci racconta esattamente questa realtà.

I personaggi umani dell’opera sono in attesa del giorno, della luce del sole che irrompe nel buio della notte. Sono in attesa del futuro prossimo, del ritmo quotidiano che ripopola le strade. Sono persone al confine tra l’anormalità della vita notturna e l’abitudine di chi vive alla luce del sole. Sono personaggi che portano il fardello di storie, impegni e attese. Un po’ come ognuno di noi.

Un po’ tutti noi facciamo coincidere l’ultimo mese dell’anno come il momento dei bilanci e dei buoni propositi per il futuro. È come se l’essere arrivati all’ultima pagina dell’agenda o del calendario, costringesse anche noi a mettere un punto, a separare passato e futuro. Dicembre ci mette davanti alla necessità di concretizzare il tempo e la percezione che ne abbiamo. Dicembre ci spinge a concentrarci sugli ultimi di 365 giorni e ci invita a immaginare il “nuovo che avanza”.

Attendiamo il nuovo anno come se il 1° gennaio fosse il confine per un mondo nuovo, per una nuova vita. Un passaggio magico in grado di annullare il passato e schiudere le porte del futuro. Sì, perché la nostra consapevolezza del tempo che scorre si disegna nell’attesa di qualcosa, nella preparazione in vista di un impegno, di un evento, di una persona. Di un’ombra.

Il mese dell’ombra

Dietro l’attesa, c’è tutto: il permesso gratuito di evocare un bel viso o di dialogare con un’ombra. (Dominique Blondeau)

Dicembre è il mese delle ombre, dell’Ombra. Città intere si riempiono di luci artificiali, fatte da mille colori o di diverse sfumature di bianco. Il buio della notte viene interrotto. E il luogo dove l’ombra è nascosto dal buio diventa lo spazio per molteplici insospettabili ombre.

Dicembre è il tempo per gli incontri con persone che si scambiano frettolosi auguri. Dicembre è il tempo, è lo spazio ideale per confrontarsi con la propria ombra. È l’intermundia in cui si incontrano (o scontrano) gli archetipi del puer e del vecchio saggio. Il puer, il bambino che attende e scarta i doni; l’adulto che ripone nell’anno che verrà i propri desideri, le proprie speranze.

Il vecchio saggio, l’uomo barbuto e carico di doni-significati che divide i buoni dai cattivi, l’idea di conoscenza degli errori che non vorremmo più commettere e i propositi per il nostro nuovo io.

Dicembre è l’intermundia per l’attesa. Una tensione continua di desideri e speranze. Gli addobbi natalizi si impadroniscono dei centri commerciali quasi due mesi prima del 25 dicembre. Ne veniamo circondati e “invasi”, per poi far svanire il giorno di festa in poco meno di un soffio. E questa è la metafora perfetta dell’attesa. Aspettiamo, ci poniamo in uno stato di attesa verso un giorno che spesso dura troppo poco, rispetto alla consapevolezza di cui avremmo bisogno. Dura così poco proprio perché Puer e Vecchio Saggio avrebbero bisogno dei tempi dell’anima per confrontarsi, di un tempo non scandito. Il tempo dell’infinito, antagonista del tempo dei cicli dell’anno solare.

Ma abbiamo bisogno di ritmi e di scadenze per rendere più semplice il dialogo con noi stessi. Confrontarsi con la nostra Ombra è un esercizio infinito, non finibile. Ma necessario, indispensabile. E dicembre, con il confine tra “fine” e “inizio”, diventa un momento propizio per bombardarci di riflessioni e fregiarci di aspettative. Nella tempesta di luci e di ombre, la nostra condizione di pellegrini in attesa domina la nostra natura.

Conclusioni

No. La vita non mi ha disilluso.

Di anno in anno la trovo invece più ricca, più desiderabile e più misteriosa – da quel giorno in cui venne a me il grande liberatore, quel pensiero cioè che la vita potrebbe essere un esperimento di chi è volto alla conoscenza – e non un dovere, non una fatalità, non una frode. E la conoscenza stessa: può anche essere per altri qualcosa di diverso, per esempio un giaciglio di riposo o la via ad un giaciglio di riposo; oppure uno svago o un ozio; ma per me essa è un mondo di pericoli e di vittorie, in cui anche i sentimenti eroici hanno le loro arene per la danza e per la lotta.

“La vita come mezzo della conoscenza” – con questo principio nel cuore si può non soltanto valorosamente, ma perfino gioiosamente vivere e gioiosamente ridere. (Nietzsche)

Come possiamo vivere una vita in perenne attesa?

Come è possibile rivivere ogni anno la conclusione e la rinascita di un ciclo di attività, di eventi, di feste e di rapporti umani? La ciclicità del tempo può essere una amorevole consolazione o una severa condanna. Il nostro destino sembra essere ancorato al desiderio del futuro, di un cambiamento positivo, ristoratore. Siamo pellegrini verso il futuro.

Tuttavia, non ci può essere futuro senza il dialogo con la propria storia, con la propria Ombra. Dicembre è il mese dell’attesa e delle ombre. E nell’intermundia tra passato e futuro si possono gettare i semi per il dialogo con noi stessi. Riempiamoci di buoni propositi, ma diamoci lo spazio per dialogare con la nostra Ombra, con spietato affetto. Siamo viandanti in attesa di scoprire noi stessi.

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Info sull'autore

Teresa Di Matteo

Psicologa, Psicoterapeuta in formazione

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