Sono omosessuale?

Qualche volta nella vita mi è venuta a trovare questa domanda. E immagino che questa stessa domanda abbia fatto visita a ognuno di voi che mi state leggendo. E guai se così non fosse. Quel punto interrogativo che ci fa visita è inseguito, però, da un timore, quello di organizzare una vita in funzione di questa eventualità. Dunque è questo secondo timore che contiene il germe della omofobia, mentre quel punto interrogativo contiene il germe del processo di individuazione.

Decidere quale scuola frequentare, quale sport fare, quali amici o amiche coltivare e quali corteggiare, quali film andare a vedere, dove abitare, suonare o meno uno strumento, quale strumento, mangiare , bere, dormire, parlare. Queste decisioni si presentano, con velocità diverse, ogni volta che quel maledetto punto interrogativo fa capolino. Ma, a volte, una certa arroganza di chi si riconosce omosessuale, e una certa ignoranza di chi non si riconosce tale, ci spinge a ritenere che questi annose decisioni siano una fatica esclusiva di chi prova attrazione sessuale per persone del suo stesso sesso, e che quel punto interrogativo sia un’esclusiva dell’orientamento sessuale. Quello che sto provando a dire è che il processo di individuazione è sempre il percorso attraverso cui dobbiamo declinare tutta una serie di scelte alla luce di tutta una serie di risposte che diamo a quei punti interrogativi che non fanno distinzione di genere e di orientamento.

Maledetto Freud

Sia che tu ami sia che tu odi Freud, l’errore è pensare che il punto interrogativo relativo alla nostra sessualità abbia un peso individuativo più alto di quanto non lo abbiano altri. Questo è un errore dispercettivo inaugurato dal più grande psicologo di sempre, Sigismondo Freud. Il fatto che tutto dipenda o derivi o sia un corollario della sessualità, è idea poco nutriente che deriva dall’aver confuso Eros con sessualità. Eros ci viene a trovare ogni volta che noi proviamo un ‘attrazione repentina, forte, incontrollata e duratura verso un oggetto, una persona, un evento e verso la loro dimensione immaginale. Voler fare il pilota, il dottore, voler acquistare un gioiello, una moto, volersi sposare o far l’amore con, ogni volta è Eros e ogni volta Eros lancia una freccia a forma di punto interrogativo che ci obbligherà a informare il mondo della nostra scelta e delle conseguenze che porta con se. Tra queste c’è il nostro orientamento sessuale. Questa confusione è quella che ci spinge oggi a letteralizzare l’eros promuovendo una sessualità inflazionata e facendoci correre il rischio di ritirare l’eros dalle immagini e dall’immaginazione.

Per Jung le immagini sono gli istinti stessi…tutte le immagini sono pornografiche nella loro capacità di suscitare eccitamento (J. Hillman Figure del mito pp 188-190)

L’omofobia cos’è?

Ognuno di noi deve movimentare una quantità di energie psichiche importante per procedere nel proprio processo di individuazione. Ognuno di noi deve prendere quelle decisioni con la paura di sbagliare. E tra tutti noi alcuni sono omosessuali e, sia chiaro, chi lo è, sa da subito di avere una certa attrazione per persone del suo stesso sesso. Non c’è negazione o rimozione che tenga. Magari, al massimo, c’è repressione ma, si sa le repressioni portano alla rivoluzione.

L’omofobia è, invece, quel sentimento, a tratti feroce, che ci fa avere paura di essere omosessuali.

Ma potremmo dire, per estensione, che l’omofobia è quel sentimento che si oppone al processo di individuazione tutte le volte che ci accorgiamo che il “chi siamo” si discosta significativamente dal “chi vorremmo essere”. L’omofobia è la paura di provare attrazione per qualcosa che il mondo intorno a noi ci suggerisce di lasciar stare. Allora una prima considerazione da fare in merito alla psicoterapia è che ogni singolo paziente ha in sé un punto interrogativo, quindi in terapia entra sempre un omofobo da curare, mentre è scontato che non tutti i pazienti sono omosessuali. Ma tra i pazienti vi sono anche degli omosessuali e questo significa che ognuno di loro ha in sé il germe dell’omofobia. Quel germe che fuori dalla stanza d’analisi si proietta su una collettività che ne è intrisa a sua volta.

Dunque la psicoterapia non cura, piuttosto si prende cura dell’omosessualità, mentre cura, fin dove può l’omofobia, ossia il rifiuto di essere chi si è.

L’assenza di omofobia

Argh… eccoci di nuovo. Ecco di nuovo gli opposti che si incontrano a rompermi le uova nel paniere.

L’omofobia è un immaginario tra gli altri. Il veleno risiede nella sua inflazione così come nella sua assenza.

L’assenza totale dell’omofobia o l’assenza di razzismo nella psiche comporterebbe un graduale accoglimento di qualsiasi immaginario ci venga a trovare. La funzione discriminante non è utile né sana nel mondo intorno a noi in questo momento storico, ma è sempre una funzione psichica. Una sorta di antipsicotico. Rifiutare degli immaginari è un processo anch’esso fondamentale per il nostro equilibrio. Quindi sarebbe corretto dire che la psicoterapia cura l’inflazione dell’omofobia e non l’omofobia in se. Insomma la psicoterapia si prende cura di tutti gli immaginari.

Eppure ve lo confesso

Ora devo dirvi che è la terza volta che scrivo questo articolo.

Le dita si muovono rugginose sulla tastiera stavolta. Quelle stesse dita che in genere danzano sinuose mettendo in scena le parole che nella mente saltellano legate, come marionette, ai fili che si tendono nelle mani degli déi… si quelle stesse mie dita oggi inciampano su parole i cui fili sono intrecciati dalla mia stessa omofobia.

Ho paura a scrivere ho timore di ritrovarmi movimenti di omosessuali che marciano per additarmi come persecutore. Il mio gay pride psichico è una parata fatta da arcigay, lgbt, lgbtq, lgbtqi, arcobaleni, sinistre politiche. E nel terrore di non essere compreso titubo.

Penso e ripenso di non scrivere quello che sto scrivendo. Allora mi meraviglio nel constatare che, ogni volta che scrivo, immancabilmente, va in scena nella mia anima, lo spettacolo immaginale di quella parte di concretismo di cui sto scrivendo. Ognuno di noi è il riassunto dell’umanità dalle origini. Dunque ecco che l’omofobia si insinua tra le mie dita e mi fa avvertire la stessa titubanza che può aver un omosessuale nel rivelare le proprie preferenze sessuali che poi, alla fin fine, sono solo una piccola porzione della sua anima che si sta individuando.

Questa titubanza accompagna tutto il nostro processo individuativo, questa omofobia richiede un intervento terapeutico che permetta alle immagini di muoversi liberamente come i fili di quelle marionette. Un intervento che può partire solo se si ammette il fatto, ed è qui che bandisco la mia titubanza, che il primo omofobo è proprio l’omosessuale e che, contemporaneamente è sempre lui, o lei, a curare l’omofobia senza farsi sovrastare. L’omofobia è, comunque, solo una delle tante declinazioni della negazione o della repressione psicologica.

..non saprò mai scrivere le cose come la vita le ha scritte per me, in caratteri viventi.
Ho letto tutto, con i miei occhi e con tutti i miei sensi, ma no saprò mai raccontarlo allo stesso modo.
Potrei disperarmi per questo se non avessi imparato che dobbiamo accettare le nostre forze insufficienti, però con queste forze dobbiamo veramente lavorare.


Etty Hillesum

E se l’omosessuale va in terapia?

Il primo a sapere qualcosa di noi siamo sempre noi, e la parte di noi che per prima viene a saperlo è un omofobo. Dunque il primo a rifiutare l’omosessualità è l’omosessuale. Non pochi omosessuali potrebbero giungere in terapia. E lo fanno con atteggiamenti da clandestini. A volte terrorizzati di ascoltare semplicemente la loro stessa voce che racconta. In questi casi la psicoterapia si fa semplicemente curiosa. Esplora l’anima del paziente con gusto artistico. Non si chiede ne si rifà ad una scuola o ad uno stile. Contempla come una mamma che, di stupore animata, osservasse la prima volta di un figlio. Sia che la prima volta sia il sentirlo dire una parola, sia che si tratti della prima cacca fatta nel vasino. La psicoterapia si stupisce sempre della psicodiversità e ha il suo telos nel preservarla.

E un paziente che va in terapia e, magari, porta il suo orientamento sessuale come contenuto fondamentale, dovrà affrontare un lento processo di rinuncia a quel contenuto. Una rinuncia al contenuto non vuol certamente dire che dovrà rinunciare a vivere la sua omosessualità, ma dovrà rinunciare a viverla come pietra angolare su cui declinare il racconto della propria esistenza.

Si perché se la psicologia ha da tempo espunto l’omosessualità dai manuali diagnostici, questo non vuol dire che la stessa operazione sia avvenuta nella collettività o nel singolo individuo che sa di essere attratto da un corpo uguale al suo. Le nostre scelte sessuali devono essere espunte dal nostro manuale diagnostico interno. Dobbiamo smettere di letteralizzare l’eros e darci il permesso di individuarci senza rimanere incastrati nel vivere in modo traumatico la tensione verso il piacere che il corpo ci suggerisce.

Alle scuole medie

L’esclusione dal gruppo, la paura di essere preso in giro, la difficoltà a parlare della sessualità, la difficoltà di dichiararsi a qualcuno, la sperimentazione di contesti sessualmente promiscui, la fatica di capire come usare il proprio corpo nella sessualità… ma, ancora, lo sapete mi piacciono gli elenchi… il tentativo di piacere a tutti i costi ai propri genitori, il dispiacere nel vedere che non apprezzano un nostro modo di essere…. Insomma questo è quello che mi è capitato nella vita, e penso che ognuno si possa riconoscere in questo breve, seppur parziale, elenco.

Il rischio in terapia è che il paziente possa pensare che solo lui sia chiamato a scorrere questo elenco che è diretta eredità del suo trauma. Ogni paziente è profondamente convinto che il suo soffrire è peggiore rispetto a quello degli altri. E se il paziente è omosessuale potrebbe rischiare di pensare che l’omosessualità sia ciò che obbliga a scorrere questi interrogativi da cui gli altri possono essere esonerati. Dunque un omosessuale in terapia deve fare un’operazione semplice ma cruciale, rinunciare all’idea che il suo processo individuativo si debba costruire intorno a un punto interrogativo soltanto, l’omosessualità, rispetto al fatto che ne ha una molteplicità. La psicoterapia agisce principalmente sulla rinuncia al trauma, sulla rinuncia al racconto del trauma.

L’omofobia, ossia la paura di scoprire una personale predilezione per un’immagine che la collettività fatica ad integrare, è all’origine di tutti i traumi. Quindi la psicoterapia si occupa di rendere possibile un racconto non traumatico del trauma. E se un omosessuale giunge in terapia raccontando della sua sessualità, significa che tende a viverla traumaticamente e che ha un’inflazione di omofobia.

La sessualità secondo la psicologia archetipica

Sei qui ancora a leggere?

Allora ti sentirai come Philip Petit il più famoso funambolo del mondo che fece le passeggiate più gloriose sopra un filo. E il suo trattato di funambulismo è la metafora più chiara di cosa sia un processo di individuazione. Ognuno, omosessuale o meno può trarne vantaggio. Ma lo stesso Nietzsche nello Zarathustra ci parla lungamente del funambolo. E ora io e te, mio caro “leggitore” dei miei articoli, siamo in sospeso, cercando di mantenere un certo equilibrio. E la nostra asta è la psicologia archetipica.

Mettendo un piede sul filo questo, il filo, oscilla sotto il peso delle immagini. Sarà l’asta a darci equilibrio e a ricordarci che psiche è per sua natura composta di immagini. Psiche le contiene tutte. Dunque anche la mia stessa sessualità è un agire sul mondo esterno un immaginario interno. Se abbiamo detto più volte che le immagini ci scelgono, che non sogniamo ma siamo sognati, quando arriva un immaginario sessuale non possiamo esimerci dal viverlo. Questo, me lo ripeto spesso, porta con se una conseguenza piuttosto importante. Se io sono in grado di transitare tutte le immagini, se ognuno di noi è parte di psiche e psiche è di per se pansessuale, allora questo potrebbe significare che in una certa qual misura io abbia scelto di essere eterosessuale, laddove lo fossi, e che, in verità, una parte di me è omosessuale. Per iperbole mi accorgo anche che la mia sessualità panteistica potrebbe interessare una quantità di oggetti pressoché infinita.

Ma se penso questo di me, se penso che l’eterosessualità è, in una certa qual misura una scelta, questo significa che la mia anima si muove nella direzione in cui l’immaginario sessuale è quello che meglio si concilia con tutti gli altri immaginari che mi transitano e mi abitano. Ma, dirò di più, questo significa che anche l’omosessualità è una scelta? E qui qualcosa si blocca il pensiero, polvere di ruggine cade di nuovo sui tasti del pc. Se dire che un etero è anche un po’ omo mi sembra politically correct o “gay friendly”, mi risulta invece molto difficile riuscire a dire il contrario. E l’omofobia fa di nuovo capolino. Se sono omosessuale e ho scelto significa che in me c’è anche l’immaginario della eterosessualità? Ebbene è proprio così ed è anche vero che un paziente, chiunque esso sia transita in modo più o meno prepotente il timore di avere compreso male la propria sessualità. Un omosessuale ha paura di scoprire di non esserlo, insomma è eterofobico.

La psicologia archetipica e il rapporto anale

Ma come possiamo non riconoscere che l’omofobia è inflazionata? La psicologia non può non accorgersi che il rapporto anale viene declinato secondo immaginari di degrado, sottomissione, inferiorità. Un rapporto anale diventa una fregatura nello slang che lo chiama semplicemente “inculata”. Ne prendiamo una ogni volta che ci derubano, ci truffano, ci tradiscono. E l’omosessualità facilmente entra nel dominio di ciò che è deprecabile ma soprattutto diventa una declinazione fallica e maschile. L’essere lesbica sembra quasi un sottoprodotto, quasi un vizio, un divertissment. Per questo è importante dire che l’omofobia interessa collettivamente più l’omosessualità maschile che quella femminile.

Allora cavalchiamo l’onda del rapporto anale solo perché ci rende disponibile una lettura immaginale che è utile in questo momento. Il tradimento, la truffa, il furto a cui rimanda la penetrazione anale, sono atti che appartengono a Mercurio, traditore truffaldino che ci consegna al nostro destino mettendo in comunicazioni tutte le parti di noi. Ecco che in chiave archetipica una “inculata”, diventa il presupposto di qualsiasi processo individuativo. E lo diventa anche in qualità di penetrazione di coniunctio con ciò che ci è omologo. Ma, ancora, lo diventa anche per il contatto con la via delle feci, delle parti più fertilizzanti dell’anima. Una coniunctio è sempre semplicemente una attivazione di immagini e ogni immagine che si attiva sta realizzando se medesima portando, come effetto collaterale, la nostra individuazione.

Dunque l’omofobia è una fobia collettiva e generale mascherata da fobia specifica. Dietro alla paura di scoprirsi omosessuali sui sta nascondendo la paura collettiva a divenire chi si è secondo necessità. Necessità che viene dispensata dalla dea Anankè che è la protettrice degli psicoterapeuti.

Orgoglio etero

Eppure eppure eppure. Leggere in trasparenza non fa sconti. Omogeneità e etereogeneità, omo e etero, sono per noi immagini, sono dèi. E in questo caso si tratta di immaginari entrambi politiccally correct. Allora L’omosessualità entra nella stanza d’analisi quando è espressione di inflazione di omogeneità, quando è inflazione di monos e unilateralità. Quando ci si concede di congiungersi solo con un corpo identico al proprio ci si potrebbe trovare di fronte al timore di incontrarsi con l’altro, con l’etero, con il diverso. Allora potremmo dire che tutti i pazienti sono immaginalmente omosessuali, ossia tesi a prendere contatto, amarsi, concepirsi, toccarsi, congiungersi, con ciò che gli è noto.

Una relazione è sempre una scoperta.

Il sesso è sempre una masturbazione che può avvenire per mezzo del corpo di un altro. E ogni atto sessuale è l’occasione di avere un altro corpo da esplorare, le sue forme, le sue curve e le sue terminazioni nervose. Attraverso quel corpo ignoto continuiamo a scoprire il nostro. Ma se facciamo l’errore di credere che quel corpo funzioni in modo identico al nostro allora non avremo l’opportunità di scoprire nulla.

Ecco dunque che l’omofobia è semplicemente il tentativo di restare nell’onnipotenza che ci permette di credere che le nostre proiezioni diano forma al mondo. Nei sogni ci restituiamo al senso immaginale della sessualità che, alchemicamente, è sempre l’attivazione e energizzazione di un’immagine, di una emozione, di un bisogno. Allora con chiunque io faccia sesso nei miei sogni, uomini, donne, animali, oggetti, parenti, amici, con chiunque starò semplicemente vivendo l’attivazione di un immaginario. Ma quando mi sveglio ne avrò paura e la paura sarà tanto maggiore quanto più quell’immagine si discosterà da quella che mi viene data dal copione che mi sono chiesto di recitare. Ma, si sa, un bravo attore mette in scena un personaggio sempre mettendone in scena la propria parte corrispondente.

P.S. CLICCA QUI per leggere una storia di un amore omosessuale senza pregiudizi

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Info sull'autore

Luca Urbano Blasetti

Psicologo e Psicoterapeuta; Dottore di Ricerca in Psicologia Dinamica sul tema Creatività e sue componenti dinamiche; Responsabile del Centro Emmanuel per Tossicodipendenti di Rieti presso cui cura diversi progetti regionali; autore di diverse pubblicazioni psicologiche; lavora nel suo studio.

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