Fai Rumore

Fai rumore è la canzone che Diodato ha scritto per Levante? No.

Fai rumore, canzone vincitrice del Festival di Sanremo 2020 parla del proprio modo di vedere la realtà, secondo quanto dichiarato dall’artista.

È una canzone profonda e per questo motivo ho deciso di farne una lettura immaginale, ma prima di cominciare CLICCA QUI e, cuffie alle orecchie, ascolta Fai rumore durante la lettura dell’articolo! 

In questa lettura immaginale ho deciso di mettere il focus sul pensiero. Infatti, il pezzo di Diodato ci fa capire come spesso sopravvalutiamo la dimensione del pensiero.

Che se poi penso sono un animale 

Sai che cosa penso?
Che non dovrei pensare
Che se poi penso sono un animale
E se ti penso tu sei un’anima
Ma forse è questo temporale
Che mi porta da te

Pensare ci rende animali. Spesso crediamo che sia il contrario, ma se la vediamo dal punto di vista del cuore, chi pensa è senza cuore, è metaforicamente un animale spietato e razionale.

Il pensiero, sopravvalutato ai giorni nostri, ci trasforma in animali. Il pensiero, nell’esperienza di Diodato, ci allontana dall’anima, ed è solo il temporale dell’irrazionalità che ci avvicina ad essa. 

I pensieri ci allontanano dal senso magico della vita, del quale la nostra società è estremamente povero. Viviamo in un periodo storico dove essere logici, razionali e pensanti sono qualità, mentre essere folli, irrazionali, emotivi ed intuitivi sono difetti della Psiche. 

Per quanto io fugga 

E lo so, non dovrei farmi trovare
Senza un ombrello anche se
Ho capito che
Per quanto io fugga
Torno sempre a te

Per avvicinarci all’anima dobbiamo procedere senza ombrello, senza difese, esposti alla pioggia e al vento. L’ombrello è il simbolo del pensiero: ci protegge dalle intemperie, ma al tempo stesso ci impedisce di sentire la pioggia. 

Il pensiero è una via di fuga dall’irrazionalità e all’imprevedibilità degli eventi. 

Tuttavia è inutile fuggire. Più fuggiamo e più torniamo a percorrere le strade della nostra essenza. Non possiamo fuggire dalla nostra anima perché lei saprà, in un modo o nell’altro, riportarci ad essa. 

E me ne vado in giro senza parlare 

E me ne vado in giro senza parlare
Senza un posto a cui arrivare
Consumo le mie scarpe
E forse le mie scarpe
Sanno bene dove andare
Che mi ritrovo negli stessi posti
Proprio quei posti che dovevo evitare

Senza pensare, senza parlare, senza meta, consumando le scarpe. Questa è la strada che Diodato ha compiuto per trovare la sua anima.

E forse le mie scarpe / Sanno bene dove andare. Non c’è bisogno di pensare per trovare l’anima e con essa il nostro destino. Basta farsi guidare dalle proprie scarpe in modo totalmente irrazionale: credere di perdersi per poi scoprire di essere nel posto giusto, come Dorothy nel Mago di Oz che grazie alle sue scarpe argentate ritrova sempre la strada di casa. 

Faccio finta di dimenticare

E faccio finta di non ricordare
E faccio finta di dimenticare
Ma capisco che
Per quanto io fugga
Torno sempre a te

Il pensiero ci porta indietro nel tempo, all’interno dei ricordi e della memoria, con il rischio di rimuginare e perderci nei meandri traumatici della psiche. Diodato ci suggerisce che si può far finta di non ricordare e di dimenticare, ovvero di abbandonare i pensieri. 

In fondo, come scrivevo in un altro articolo di questo blog, la finzione è la ricerca di ciò che non si ha. 

La finzione è un esercizio per imparare ad essere ciò che non riusciamo ad essere. 

Fai rumore qui 

Che fai rumore qui
E non lo so se mi fa bene
Se il tuo rumore mi conviene
Ma fai rumore, sì
Che non lo posso sopportare
Questo silenzio innaturale
Tra me e te

La ricerca dell’anima fa rumore. Ma allo stesso tempo sono i tormenti del pensiero che fanno rumore dentro l’anima

Il rumore è la parte di noi che etimologicamente urla e ulula. Cerca di farsi sentire in qualsiasi modo, attraverso un sintomo, un attacco di panico, una depressione, una malattia psicosomatica, un sogno o una sincronicità.

Tutti questi eventi sintomatici fanno rumore nelle nostre vite. I sintomi gridano perché vogliono farsi ascoltare. 

Ma fai rumore, sì / Che non lo posso sopportare / Questo silenzio innaturale / Tra me e te. Aneliamo sofferenza perché non sopportiamo il silenzio vuoto e irreale tra noi e la nostra anima. Come dice James Hillman, la patologizzazione dell’anima è la capacità autonoma che ha la psiche di creare malattie, stati morbosi, disordini, anormalità e sofferenze in ogni aspetto del suo comportamento, e di sperimentare e immaginare la vita attraverso questa prospettiva deformata e tormentata.

Conclusioni – Non ne voglio fare a meno

Ma fai rumore, sì
Che non lo posso sopportare
Questo silenzio innaturale
E non ne voglio fare a meno oramai
Di quel bellissimo rumore che fai

Il pensiero crea il rumore del pensare, ma al tempo stesso silenzia l’irrazionalità dell’anima. Come diceva Emily Dickinson, Il Pensiero è silenzioso come un Fiocco – | uno Schianto senza Suono.

La forza logica del pensiero può trasformarsi in un tormento per la Psiche, un tormento fatto di silenzi innaturali.

P.S. CLICCA QUI per leggere la lettura immaginale della canzone di Achille Lauro

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Info sull'autore

Michele Mezzanotte

Psicoterapeuta, Direttore Scientifico de L'Anima Fa Arte. Conferenziere e autore di diverse pubblicazioni.

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