Cosa è il senso di colpa?

Direi che non possiamo che riconoscere la assoluta aleatorietà di questo senso. Gusto, udito, vista, olfatto, tatto e colpa?

Potremmo noi porre la colpa tra le sensazioni? Da una parte ne ravvediamo la natura squisitamente psicologica mentre, dall’altra, ogni volta che fa capolino, lui, quel maledetto senso di essere colpevoli, cerchiamo di allontanarlo, di levarcelo di torno come fosse una pruriginosa puntura su cui la zanzara si è seduta sopra per prendere il sole.

Colpa Etimologia e desiderabilità sociale

Comunque mi sembra semplice poter individuare quando c’è il senso di colpa. Ogni volta che un atto di cui ci rendiamo protagonisti, esce dalla costellazione delle aspettative condivise, ogni volta che sfugge alla norma morale condivisa, ogni volta che si sottrae a ciò che viene comunemente definito “desiderabilità sociale”, eccolo che fa il suo ingresso, tronfio, grasso, obeso, il sig. Senso di Colpa si lascia cadere sul nostro divano e noi non riusciamo a farlo schiodare. “Bastardo parassita”. Eppure l’etimologia ci invita a farlo mettere comodo. Si perché la parola colpa rimanda allo spingere, all’occasionare, al preparare, al disporre. È vero… in molti la derivano la parola dal latino, ma a me sembra più calzante questa origine greca, quella che rimanda a “Kello” e che ci induce a pensare a una sorta di premeditazione. No no, non preterintenzionalità, no. Proprio la volontà dichiarata di essere amorali.

Colpa sociale e colpa animica

Ma ciò che risulta indesiderabile socialmente, non significa che lo sia nell’anima. Potrei essere colpevole di un furto ma, al tempo stesso, avvertire l’assoluta coerenza di quel gesto, la legittimità o la sensazione di giustizia che conduce a una pace emotiva. Insomma voglio dire che la colpa inverte i suoi poli se si passa dal mondo “là fuori”, a quello “quà dentro”, a quello intrapsichico. Un furto è sempre un furto per la società. Nell’anima un furto è sempre una colpa, una responsabilità, ma è addirittura auspicabile se c’è bisogno di Mercurio. Mercurio il dio che ruba, ancora in fasce, le vacche al fratello Apollo, svolge una funzione fondamentale nella Psiche, quelle di mettere in comunicazione tra loro gli dèi, ossia far comunicare tutti i nostri bisogni ed emozioni. Allora Ci si augura il furteggiare, il manipolare, il rapire. Ma se a farlo è Apollo allora non va. Insomma dentro di noi le azioni più deprecate nella società diventano fondamentali per il nostro processo di individuazione.

Colpa e Tradimento

Lo stupro, l’omicidio, il suicidio, il furto, la bugia, l’abbandono, il tradimento… ogni reato ha la sua colpa e tutte le colpe del mondo diventano funzioni necessarie all’anima. Allora se sogno uno stupro significa che violentemente un contenuto deve far breccia nel mio panorama psicologico. Se mi sento felice a un funerale, o ogni volta che un’emozione è inopportuna ma necessaria alla mia sopravvivenza psicologica, allora c’è uno stupro e poi la colpa. Potremmo dirlo per ogni evento deprecabile, ma mi fermerei al tradimento, così ben declinato dal nostro comune anfitrione Giovannino Hillman. Tradire sta per “consegnare”. Nel suo saggio Hillman ce lo rammenta in tutti i modi, Cristo senza Giuda che lo tradisce sarebbe solo un “povero Cristo”. E Giuda è un vero e proprio eroe poiché è il portatore della colpa.

Tenersi la Colpa è un atto nobile

Insomma se accogliamo tutte le premesse fatte, allora dobbiamo necessariamente rivedere il nostro rapporto con la colpa. Dobbiamo recuperarne il valore sano ed evolutivo. Assumerci una colpa è il mezzo con cui ci prendiamo anche la responsabilità di aver tradito le aspettative condivise. Consegniamo al mondo la verità su di noi. Ci smascheriamo e ammettiamo che abbiamo tentato di tenere quella maschera per depistarci e depistare chi stava intorno a noi. Giù la maschera. Insomma se ti racconto che sono pronto a cambiare citta, lavoro, ma poi mi accorgo che, in vero, non lo sono, oppure se ti dico che ti amo ma poi mi accorgo che non è così e che la mia era una proiezione narcisistica, oppure se ti dico o cerco di essere calmo ma poi invece vado nel panico… insomma tutte le volte che ti tradisco sono certamente colpevole. Ma, a questo punto, colpevole significa che “sto facendo ciò che è realmente necessario a me e a te”.

Là dove non odio… mi sento in colpa” (Giorgio Antonelli, “Il mare di Ferenczi”)

Colpa e corna

Le corna, le tanto parlate sono l’esempio più eclatante di come la colpa sia il sintomo della più genuina volontà individuativa. Ti amo, ti voglio, non posso vivere senza di te. Io e te per sempre insieme, due cuori e una capanna, non abbiamo bisogno di nessuno al mondo, finché morte non ci separi. Quanta bugia è contenuta nell’immaginario amoroso. Una psicosi che dura non più di 6 mesi per poi vederci rinsavire gradualmente e incontrare l’amore della nostra vita in borghese e chiedergli, o chiederle, di rimettersi subito la divisa. Quando in amore ci presentiamo per ciò che siamo dobbiamo saperci tenere la colpa. L’amore è il prodromo dell’odio, e solo hi ci sta veramente a cuore sarà in grado di farci fare l’esperienza dell’odio. A quel punto se amiamo l’altro fino in fondo, siamo chiamati a comunicargli o comunicarle il nostro odio profondo. Potremmo farlo anche col tradimento con le corna ma l’errore è, e resta sempre cercare il perdono. La colpa va tenuta, è la ferita sanguinante del nostro bisogno di individuarci, di presentarci e presentare al mondo chi siamo.

La colpa fa male, ma se la eviti ti distrugge

Siamo più o meno alla conclusione ma mi raccomando, non confondete le mie parole con un’apologia. Essere colpevoli è un crimine, fa male, ci obbliga a sdebitarci, è un’onta verso l’umanità ma, e qui sta il punto, cercare di dimostrare di non esserlo è l’unico vero peccato di fronte Psiche. Accogliere la propria colpa, assumersi la responsabilità dell’aver mistificato se stessi a se stessi e al mondo, è l’atto nobile a cui siamo chiamati. Restare sulla sedia dell’imputato, cercare di tenere il viso aperto verso la colpa è l’unico modo di fare il nostro dovere.

L’unica colpa reale è evitare di essere colpevoli

Allora che tu sia un genitore che lascia il figlio a scuola in prima elementare, se sei un marito che non ha spazio per la consorte perché non riesce a dedicare pensieri se non alla moto, se hai detto “Si” al matrimonio ma, in verità, nessuno ti aveva detto che… Se…

Ma i “se” potrebbero essere infiniti e corposi come macigni, come tomi di diritto penale, per ogni reato c’è un “Se” e per ogni “se” c’è una colpa, ossia la reale nostra volontà. Allora un consiglio terapeutico: possiamo dire “non volevo”, o invocare l’inconscio, il grande colpevole dal ‘900 in poi, senza però poter mai conoscere chi siamo. Oppure possiamo dire “sono colpevole”, volevo fare proprio quello che ho fatto perché questo sono. Dunque a ognuno la sua scelta ma io lo ribadisco, se non ti senti in colpa significa che non stai andando verso la conoscenza di te. Se, invece, ti senti in colpa la strada è quella giusta, da percorrere fino in fondo. Sii colpevole e pagane il prezzo.

Conclusioni

Ecco che, una volta accolta questa condizione, ci si può chiedere quale parte di me è colpevole, quale parte di me si è celata e ha bisogno di essere ricompresa nel mio teatro psichico. Quale dio, quale emozione, quale bisogno negletto, messo in disparte, per timore di gonfiare il petto, o per la comune volontà di celarlo al mondo, adesso reclama a gran voce la sua presenza? E quante immagini, quanti cittadini della nostra anima sono posti nei lagher psichici. Allora Assumersi la colpa non va inteso come punto d’arrivo perché, come ci ricorda Hillman “Un io colpevole non è meno egocentrico, di un Io gonfio d’orgoglio”, piuttosto deve essere un punto di partenza, la partenza per un viaggio in cui l’Io nella psiche si tiene la colpa come motore per ricercare quali immagini non se la sono assunta. Insomma come sempre, tieniti la colpa la fuori e inverti il processo la dentro. Il colpevole dentro di te è sempre il tuo più caro amico.

P.S. CLICCA QUI per leggere Il senso di colpa si combatte con la pratica del giudizio

Taggato in:

Info sull'autore

Luca Urbano Blasetti

Psicologo e Psicoterapeuta; Dottore di Ricerca in Psicologia Dinamica sul tema Creatività e sue componenti dinamiche; Responsabile del Centro Emmanuel per Tossicodipendenti di Rieti presso cui cura diversi progetti regionali; autore di diverse pubblicazioni psicologiche; lavora nel suo studio.

Vedi tutti gli articoli