È morto Maradona

“Maradona è stato per il calcio ciò che Caravaggio è stato per l’arte: inarrivabile” (Vittorio Sgarbi)

Il dio del calcio è morto. È morto Maradona. Un idolo. Un’artista. Un’icona. È morto alla vita Diego Armando Maradona. D10s è morto alla vita.

Ma, come tutti gli idoli, come tutte quelle persone che sono riuscite a lasciare un’impronta nella storia di un popolo o di una generazione, vive un ricordo. Vive e vivrà un’immagine, non di sport, non di pittura, non di un’impresa epica. Vive e vivrà un simbolo. Vive e vivrà un’immagine, con la potenza di un archetipo. D10s non è stato solo un uomo o un calciatore. Diego Armando Maradona con l’intera sua vita ha rappresentato un’immagine psicologica complessa.

Dove un popolo più di altri si è riconosciuto. Maradona è morto alla vita. Ma non è morto il dio del calcio in cui un popolo intero si è riconosciuto, psicologicamente. Maradona, con i suoi tratti di divinità dello sport e di demonicità nella vita oscura, è ora un’immagine archetipica.

Mito democratico

“Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono come ero io a Buenos Aires” (Diego Armando Maradona)

D10s ha fatto la storia del calcio. Un calciatore che con il suo talento ha reinventato uno sport. Fantasia allo stato puro. Tecnica, velocità, imprevedibilità sono doti che lasciavano a bocca aperta chiunque guardasse le partite del “Napoli di Maradona” o dell’Argentina degli anni ’80. Genio e sregolatezza racchiusi in un’unica identità. Non so quanti si ricordano la partita dei mondiali del 1986. Siamo a Città del Messico, si gioca Inghilterra vs Argentina. Una partita che contiene una rivalità politica e non solo sportiva agguerrita. Beh, questa partita è la sintesi perfetta per raccontare il numero 10 più famoso al mondo. In una sola partita, Maradona riesce a segnare il gol del secolo e il gol di mano più famoso al mondo. Il gol del secolo lo firma a pochi minuti dal gol di mano, un gol, quest’ultimo, segnato con furbizia tanto esasperata da travalicare i confini della lealtà sportiva. Ma il gol del secolo è un capolavoro di tecnica e velocità. Un dribbling continuo che inizia dalla metà campo e che si conclude solo quando il pallone gonfia la rete. In quei secondi, si può vedere una divinità tratteggiare linee di gioco. Maradona non corre dietro a un pallone, ma dipinge con il pallone attaccato ai piedi. Nessun avversario sarebbe mai riuscito a fermarlo. Nessuno avrebbe potuto prevedere un blocco per quella magia.

Maradona è stato il talento imprevedibile messo sotto gli occhi degli appassionati di calcio. E, seppure fuori dalla media per le evidenti doti sportive, è sempre stato riconosciuto come un uomo in cui un popolo intero poteva riconoscersi. Poco importa se il soprannome “Pide de Oro” (piede d’oro) avrebbe già di per sé allontanare persone che lottano per arrivare a fine mese. Il calcio moderno è tanto lontano da quello che provano le persone comuni. Soldi e lusso. Nei quartieri poveri di Napoli o nelle periferie argentine, soldi e lusso sono un miraggio per tanti. Ma Maradona non era un notabile. Non ha mai rinnegato le sue origini proletarie. Ed ha sempre appoggiato leader e movimenti politici che si sono definiti comunisti o proletari.

Non è un caso che sia divenuto il dio del calcio giocando in realtà che hanno la visceralità nel loro DNA. Ha giocato ed è diventato un simbolo in luoghi dove non si vive se non con anima e corpo. Maradona è Napoli e Napoli è Maradona. Napoli è la città che più di ogni altra sa accogliere i miti democratici. Una città che ha nella sua identità la diffidenza verso chi si chiude, verso chi si mette su un piedistallo. Una città che non puoi capire se non ti immergi nei vicoli o nel modo di vivere delle persone più veraci che ci siano. Solo a Napoli Maradona avrebbe potuto trovare l’ambiente in grado di innamorarsi della sua luce e di dimenticare la sua ombra. “I figli sono pezzi di cuore”. Ai figli perdoni tutto. Poco importano le colpe che puoi portare con te; se torni a casa, trovi solo amore. Maradona è stato il figlio prediletto di Napoli. È stato il figlio che farebbe disperare qualsiasi genitore, ma che ti riempie il cuore ogni volta che torna a casa, ogni volta che ti dice che il bene sarà sempre più forte del male.

Luce e ombra possono vivere insieme?

A me gli psicologi stanno cercando di levarmi il vizio della cocaina, non quello di vivere” Diego Armando Maradona)

L’uomo Diego Armando ha vissuto la vita. Ma l’ha anche subita. Ha vissuto e combattuto per decenni con la sua tossicodipendenza. Ha camminato e corso con la cocaina nel suo corpo. Ha giocato (a calcio e con la vita) avendo una sostanza dannata come compagna di avventure. A causa di questa dipendenza gli anni con gli scarpini appesi al chiodo vedevano Diego come un uomo molto sovrappeso, come un campione in declino. Ma nessuno, a Napoli o in Argentina, avrebbe mai paragonato D10s a Ronaldo il Fenomeno, ad Adriano o ad altri campioni di calcio che sono stati schiacciati dal vizio e dai vizi. Poco importa anche se Maradona oltre a sniffare, mangiava, si ubriacava o non riconosceva i figli che nascevano da rapporti occasionali. Anche questo ha fatto da sempre parte di Maradona.

Si potrebbe mai indicare il Pibe de Oro come un esempio da seguire? Qualcuno sano di mente potrebbe mai sperare per un figlio un destino come quello di Maradona?

Siate sinceri. Oggi, nella giornata del ricordo, è difficile dire la verità.

No, io non vorrei che mio figlio diventasse Maradona. Ma vorrei che avesse la capacità che ha avuto Maradona. La capacità di far vincere i suoi pregi, senza negare i suoi difetti.

Maradona, o, per meglio dire, ciò che Maradona rappresenta è un equilibrio precario e potente di luce e ombra. Non ha mai preteso né mostrato di essere una divinità. Forse, proprio il suo talento può essere stato la sua croce più pesante.

Nessuno di noi è pronto a confrontarsi davvero con i suoi “doni”. Il talento si coltiva. Si può imparare a convivere con i nostri talenti, ma non si impara mai a vivere di solo talento. Come tutto ciò che è fuori dal nostro controllo consapevole, anche il talento può far paura. Fa paura il talento, che a lungo andare richiede impegno e costanza. Fa paura il talento, che, da un momento all’altro, può andar via. E se Diego Armando non avesse avuto il talento del dio del calcio, oggi sarebbe una delle tante vittime di una o più dipendenze. Una delle tante vite interrotte a un’età ancora giovane a causa della droga, dell’alcol, di abitudini di vita assurde. Una delle tante vite spezzate dalle dipendenze. Maradona ha detto a intere generazioni che non si vive di solo talento. Perché il talento di per sé non sconfigge i demoni che abbiamo dentro di noi. Il talento, la ricchezza, il successo sono cerotti. E un cerotto non può guarire una lesione estesa. Ti aiuta, certo. Ma non risolve.

Maradona è stato un figlio del popolo. Perché come il popolo può cercare il lato positivo in qualunque situazione. Ma ricorda ogni giorno che la vita è come una guerra da combattere.

Conclusioni

Non si scriverà mai abbastanza di questo grande, fascinoso, completo giocatore che ha fatto del calcio una religione, estraendo l’innata ispirazione da uno spirito fanciullesco e da un animalesco istinto che lo vuole amico, suddito e insieme sacerdote di Giove Palla.” (Italo Cucci)

Oggi Maradona è ufficialmente un archetipo. In vita non esiste più. Ma esistono i tatuaggi che raffigurano Maradona.

Esisterà uno stadio con il nome di Maradona. Esistono i murales, gli altarini e perfino una chiesa in nome del Pibe de Oro. Esiste l’immagine di un campione di sport che non ha mai vinto in attività un Pallone d’Oro. Esiste l’insegnamento di chi ha vissuto sul filo sottile di talento e vizio, di luce ed ombra. Esiste l’archetipo di un guerriero dell’oscurità, che non ha mai sconfitto il suo buio, ma che ha raccontato al mondo lampi di impareggiabile luce.

CLICCA QUI per leggere Kobe Bryant: il daimon

Taggato in:

Info sull'autore

Teresa Di Matteo

Psicologa, Psicoterapeuta in formazione

Vedi tutti gli articoli