Distanze emotive

I professori, che hanno preso le distanze dalle loro cattedre, sono quelli che si sono riavvicinati di più a i propri alunni e anche al ruolo originario a cui erano chiamati. Prendere le distanze, in alcuni casi, sembra fare bene. Permette di staccarsi dai problemi quotidiani che attanagliano, appesantiscono e sfumano quella passione iniziale con cui si è giunti ad intraprendere una determinata professione. Dona uno sguardo più distaccato che vede la globalità ma poi punta all’essenziale. La macchina burocratica della scuola pubblica italiana, dopo una brusca fermata di arresto, si è dovuta reinventare e nemmeno si trova più alla guida della stessa macchina. Per il momento proviamo a seguire questa metafora automobilistica.

Ti trovi, fin dal primo giorno di patente a guidare una macchina con il cambio manuale. Incespichi, tentenni ma poi capisci il meccanismo. E pure i tre pedali per due soli piedi non sembrano poi così tanto strani. Freno, acceleratore e la cara amica frizione l’alleata di tanti chilometri. Ma un giorno, d’improvviso, ti sequestrano la macchina e te ne lasciano un’altra più nuova priva del libretto di istruzione. Una Station Wagon bella capiente – perché la scuola è un grande carrozzone – ultramoderna, performante e dotata di tutti i comfort, peccato che te non sai dove mettere mani e piedi. È ciò che è successo al corpo docente. Si è visto privare dei propri strumenti collaudati negli anni e ha dovuto imparare, di nuovo, a guidare.

Guidare una macchina automatica

Ho avuto l’esperienza e il piacere di guidare una macchina col cambio automatico una sola volta, per un solo viaggio. Circa un’ottantina di chilometri tra andata e ritorno. Nonostante il percorso sia per me stracollaudato, quel giorno aveva tutta l’atmosfera che sarebbe stata un’esperienza unica. Tremante al posto di guida, non trovo le chiavi per accenderla e, imbarazzata anche solo per aver intrapreso la ricerca, inizio a maledirmi in molte lingue per aver accettato quella insana proposta. Passano dieci minuti tra la descrizione del funzionamento, i tasti da premere e non premere assolutamente, quella sottospecie di leva da spostare delicatamente senza una apparente logica e i miei rifiuti a sollevare il piede dall’unico pedale che teneva ferma la vettura. Chi di fianco a me si imbarcava in questa folle avventura con una calma e dolcezza, mai mostrata prima, sorridendo mi dice “si ok, ma stiamo ancora fermi. Così sarà un lungo viaggio”.

Si ride insieme e finalmente si parte. Lungo il tragitto più mi ostinavo a ricercare le similitudini con la mia vettura, più mi sentivo una guidatrice incompetente, più ricercavo il solito posto per i piedi, più le gambe diventavano rigide. Il segreto stava nella dimenticanza dei vecchi schemi, nel smettere di aggrapparsi al già noto e sperimentarsi, e si anche godersi, questa nuova guida.

Scuola chiuse, didattica aperta

I docenti, dal canto loro, non hanno avuto il privilegio di avere un calmo maestro a loro fianco e nemmeno la notte precedente per potersi immedesimare in nuove posizioni. Il Decreto di chiusura di tutte le scuole di ordine e grado è piombato quando la notte aveva già oscurato il cielo e gli edifici scolastici sono diventati off limits. Così al sorgere del primo sole, si è aperta la Didattica a distanza.

Ciò che prima pareva uno spettro e un upgrade, si affascinante ma alquanto superfluo, è diventato la colonna portante dell’intero sistema scolastico e formativo italiano. Più volte mi sono ritrovata a dire di non aver mai così tanto lavorato per la scuola, come da quando la scuola è stata dichiarata chiusa. Quello che gli studenti e i genitori non sanno è che i giorni seguenti alla sospensione sono stati giorni convulsi, frenetici, densi di chiamate alle armi educative, insegnati stretti tra di loro per cercare di capire qualcosa sul futuro. Motivati più per gli studenti che per lo stipendio, l’unica cosa che è sempre stata certa.

Frettolosamente si sono costruite le bozze di prime linee guida per seguire un comportamento uniforme, che desse almeno l’illusione di una continuità col passato, per non interrompere quel legame unico che si crea tra studente e insegnate, per assumersi un ruolo sentito troppo vacillante. E dopo un mese di sperimentazione, posso dire che gli insegnati prendendo distanza dalla scuola, si sono riavvicinati a loro stessi.

Insegnante e allievo, una coppia archetipica

Insegnare ed imparare sono membri di una coppia, complementari e naturalmente attratti l’uno dall’altro

Qualcosa quasi naturalmente vuole imparare, specialmente nell’infanzia. […] Qualcosa dentro di noi vuole sapere dove, come, quando, che cosa. Porre domande è innato alla psiche umana. […] In corrispondenza con questo desiderio d’imparare c’è un impulso a insegnare, egualmente innato. Qualcosa, di nuovo piuttosto naturalmente, vuole rispondere a una domanda, dimostrare, spiegare, correggere (J. Hillman, Lettera agli Insegnanti italiani)

Questa coppia naturale viene minacciata però da un terzo elemento che la domina e al contempo la ingabbia attraverso la creazione di programmi, metodi, sistemi di verifiche, codifiche e un apparato istituzione che ha una forte valenza economica: l’educazione. Un insegnate nel comparto della scuola diventa così un funzionario pubblico assoggettato più alle regole e alle scadenze che alla relazione con i propri alunni. Ad ogni inizio di anno scolastico c’è un programma didattico previsionale che dovrà poi corrispondere grossomodo a quello consuntivo finale.

Le verifiche devono essere almeno due per quadrimestre, meglio se tre, una tabella di marcia ben scandita, viaggi d’istruzione o visite didattiche che sono più un inghippo del meccanismo invece di occasioni di formazione. Gli studenti sempre meno individui con le loro particolari peculiarità e sempre più facenti parte del gruppo classe. E loro si ribellano come possono. Quando protestando e abbandonando le istituzioni, quando manifestando proprio disturbi nell’area dell’apprendimento.

Con la pandemia, il terzo elemento è venuto meno, la coppia archetipica può tornare a reincontrasi di nuovo e nutrirsi in se stessa.

Un nutrimento che scaturisce da un luogo inaspettato, quello che fino ad un mese fa veniva considerato la tomba delle relazioni e che oggi è diventato uno dei pochi strumenti che ancora riesce a tenerle vive. Si parla di computer, cellulari, tablet e qualsiasi altro dispositivo permetta una connessione ad internet. Attraverso gli schermi ci sono solo alunni ed insegnanti, la relazione torna ad essere privilegiata, una relazione duale favorita da i software di video riunioni in cui, coloro che parlano si vedono in prima persona. Tornano i sorrisi e le reciproche incursioni nella vita personale a dar sfumature ai dialoghi. Si sbirciano le pareti, il cane o il gatto a confortare per la mancanza di contatto, sempre di più a chiedersi come si sta vivendo, come sarà il futuro e la Buona Pasqua scambiata da un bacio virtuale.

L’imparare deve nascondersi all’interno dell’educazione […] dove una corrente erotica lega in modo sovversivo l’insegnante e lo studente. Marsilio Ficino, uno dei più autorevoli insegnanti d’Europa di sempre, si riferì a questo imparare nascosto e sovversivo come contro-educazione. […] La contro-educazione interiorizza e individualizza, come ha detto Ficino, le uniformità dell’educazione. Individualizzare l’educazione, cioè collocare l’imparare all’interno dell’anima di qualcuno, esige l’eros, non perché l’individualizzare favorisce uno studente a scapito di un altro, il cosiddetto “prediletto dell’insegnante”, ma perché l’eros incendia il particolare stile di desiderio di ogni persona (J. Hillman, Lettera agli Insegnanti italianià)

Cosa è bene imparare

Parafrasando una celebre fase di un film su i supereroi: la didattica a distanza non è ciò che ci meritiamo ma quello di cui abbiamo bisogno adesso. Sarebbe inopportunamente ottimista plaudere a questa nuova forma di didattica, perché zoppica terribilmente così come io non sono stata una buona guidatrice in quello sperimentale viaggio. Si deve avere il coraggio di implementarla in maniera seria e sostanziale e renderla realmente fruibile perché il futuro che ci attende è alquanto incerto. Sta agli insegnanti trattarla con rispetto, devozione, comprenderne le potenzialità insite e sta a loro non considerarla come una mera trasposizione on-line della tradizionale. È nostro il compito di dimenticare i vecchi schemi di guida e imbarcarsi in questa nuova macchina. Sta a noi soffermaci sulla poliedricità, sulla differenziazione. Sta a noi scrivere il libretto di istruzioni.

Mentre Vico propone le molteplici persone e storie e valori dei miti nella loro immensa differenziazione, Gardiner mina l’uniformità dimostrando che l’imparare dev’essere molteplice perché l’intelligenza è molteplice. L’imparare e l’insegnare devono seguire una varietà di pensieri. Una dimensione non va bene a tutto (J. Hillman, Lettera agli Insegnanti italiani)

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Info sull'autore

Barbara Mazzetti

Psicologa e Specializzanda in psicoterapia ad indirizzo analitico; Collaboratrice presso il Centro di Rieti dell’Associazione Comunità Emmanuel onlus; Autrice di saggi e articoli storico-psicologici.

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