Ricorda che sei polvere: d’accordo.
Se però posso scegliere di cosa:
non dell’oro, non della conchiglia,
ma polvere di gesso
di una parola appena cancellata
dalla superficie di lavagna.
E intorno un’aula di scolari applaude
la fine della scuola
(Erri De Luca)

La scuola può fare la differenza. L’incontro con insegnanti, compagni di classe, materie ed inclinazioni può cambiare il destino di tante giovani donne e di tanti giovani uomini. Ma la scuola potrà riaprire a settembre? Il mondo dell’Istruzione sarà in grado di aggiornarsi alle esigenze di questo folle 2020? Sono domande che si stanno facendo milioni di persone in questi giorni. Domande che presuppongono un rapporto con il mondo scolastico, con quella sfera così importante di ruoli e abitudini che hanno una forza psicologica immensa, fatta di significati e funzioni. La scuola è un mondo a sé, almeno all’apparenza. E l’errore può risiedere proprio nel considerare la scuola come un pianeta lontano dalla vita di tutti noi. Non può esistere crescita, individuale, psicologica e di società senza la scuola. Ci sono radici psicologiche per provare a comprendere questo fenomeno.

Il tempo nella scuola

Il mondo può essere salvato solo dal soffio della scuola (Talmud)

Passato il Ferragosto, ragazze e ragazzi di ogni età, in anni privi di pandemie e crisi globali, iniziavano a sentire avvicinarsi il giorno del ritorno sui banchi. Ed arrivava il momento di riprendere in mano libri e quaderni. Arrivava il momento di darsi da fare con i compiti per le vacanze. Arrivava il momento di iniziare ad ordinare i libri, comprare zaino e diario ecc. Per gli insegnanti, agosto è il periodo del carburare. Si stilano i primi programmi, si inizia a pensare alle riunioni, all’organizzazione dell’anno. Per i cosiddetti precari della scuola è il periodo dell’attesa sulla nomina nel plesso x piuttosto che y; sulla città w piuttosto che z. In questa folle estate 2020 la domanda ci troviamo di fronte a un’ulteriore domanda, ancora più radicale: riaprirà la scuola a settembre?

In questi giorni abbiamo assistito a scambi di vedute più o meno corrette su chi vuole riaprire la scuola ad ogni costo, su chi vede nei sindacati gli oppositori alla riapertura. Abbiamo ascoltato il pensiero di chi nella riapertura della scuola vede la prova del nove sull’esistenza del Covid, sulla capacità di gestire una pandemia. Molti sanno che le strutture fisiche di molte scuole d’Italia impreparate anche a situazioni di normalità. Spazi spesso angusti, con le cosiddette “classi pollaio”, strumenti di didattica che possono essere funzionali solo grazie alla buona coscienza del personale scolastico. Molti sanno che anche il personale scolastico non ha numeri e contratti adeguati a dare un’armonia perfetta all’istruzione. E poi c’è il macrocapitolo del rapporto fra genitori, insegnanti e alunni, il rapporto fra scuola e mondo esterno, su cui non si potrà mai trovare una quadra definitiva. Insomma, quello della scuola è un mondo in continua evoluzione. Oggi ancora di più.

La scuola è un sistema in evoluzione, per definizione. L’assunto fondamentale è che i principali fruitori del sistema sono giovani, per loro stessa natura in evoluzione. Un bambino che entra in prima elementare oggi, fra 5 anni sarà un bambino cresciuto, che inizierà a caratterizzarsi. Gli adolescenti fra scuole medie e scuole superiori vivono modifiche fisiche, caratteriali, di inclinazioni e passioni in un numero indefinibile. Le peculiarità delle generazioni si evolvono rapidamente. E un intero sistema deve tenere il passo. Una sfida a cui poche multinazionali sarebbero in grado di rispondere. Ecco la prima caratteristica psicologica che fa sembrare la scuola un mondo a sé: il rapporto con le evoluzioni. I tempi della scuola sono scanditi a trimestri, a quadrimestri, a semestri o a cicli. In un mondo basato sulle reazioni informatiche in millisecondi, la scuola è un sistema dai tempi dilatati. A scuola, se un’interrogazione o un compito in classe va male, hai spesso una seconda possibilità: solo a fine anno si tirano le somme.

Un insegnante ritenuto “moderno” quando è entrato in servizio 10 anni fa, oggi può sentire una distanza siderale con il modo di pensare e di comunicare degli alunni che incontrerà a settembre.

Il tempo della scuola sembra essere separato dal tempo della vita di tutti i giorni.

Tornare a scuola

La mia casa è tutta sgarrupata, i soffitti sono sgarrupati, i mobili sgarrupati, le sedie sgarrupate, il pavimento sgarrupato, i muri sgarrupati, il bagnio sgarrupato…mi sento sgarrupato anch’io! (da Io speriamo che me la cavo)

Ci sono ragazzi diventati ormai adulti che hanno ancora incubi sull’esame di maturità o sull’andare impreparati a un’interrogazione. Ci sono ragazzi diventati ormai adulti che desidererebbero ardentemente poter tornare tra i banchi di scuola. Sono due facce della stessa medaglia. La scuola, di ogni ordine e grado, è stato il primo terreno di interazione con il mondo, esterno alle mura domestiche. Nelle aule di scuola, molti di noi hanno scelto che tipo di adulti voler diventare. Molti di noi hanno immaginato il proprio lavoro futuro. Abbiamo fatto esercizi inconsapevoli di proiezione. Nelle mura di scuola, abbiamo sperimentato gli schemi di relazione con gli altri. Nessun bambino, nessun adolescente, nessun ragazzo dovrebbe rinunciare a questa esperienza. E ancora, a scuola si ha il primo incontro con le Istituzioni. I giovani incontrano lo Stato.

“Io speriamo che me la cavo”, uno splendido film di inizio anni ’90, dà il polso di cosa può voler dire psicologicamente il ritorno a scuola. Una scuola fatta di persone, storie, convenzioni. Una scuola in grado di dare la spinta per una rivoluzione interiore. Non importa a cosa porterà. Entrando a scuola si va comunque incontro a un cambiamento. Ed ecco il secondo punto chiave del rapporto fra scuola e mondo esterno: l’accettazione del cambiamento.

C’è chi vede la scuola come un sistema fatto di banchi e libri. C’è chi vede la scuola come una palestra per il mondo del lavoro. C’è chi vede la scuola come un luogo di incontri e di crescita. C’è chi della scuola farebbe volentieri a meno. Soprattutto in questo periodo. Perché la scuola può essere vista come un luogo pericoloso, un luogo di contagio, un sistema impreparato a gestire il cambiamento. E c’è chi si chiede se vale la pena riaprire le scuole, senza affidarsi alla “teledidattica”, con il rischio di dover chiudere un Paese.

C’è chi ha sottolineato l’antagonismo fra discoteche e luoghi d’istruzione. C’è chi ha sottolineato che ci sono gradazioni di importanza nei luoghi e nei rischi. Il rischio insito in questa dicotomia è ancora una volta vedere la scuola come un ambiente separato dal mondo. Come un luogo fisico, delimitato da mura e banchi. La scuola è molto di più, è molto di più complesso.

È importante tornare a scuola. È importante farlo in sicurezza. È indispensabile, però, considerare la scuola come un sistema in perenne evoluzione, con caratteristiche di funzione e di funzionamento totalmente particolari. La scuola è un luogo di cambiamento. È un luogo d’interazione dell’anima.

Conclusioni

Non curare la scuola è come dimenticare di annaffiare l’orto o di rifare il letto, è una forma di sciatteria depressiva, un torto che si fa al presente e un sabotaggio in piena regola del futuro (Michele Serra)

Non so se a settembre le scuole riapriranno. Non so se l’istituzione scuola sarà in grado di rispondere alla sfida da coronavirus. So, però, che non può esistere “normalità” senza la scuola. Far crescere una generazione con un anno in meno di interazione scolastica avrà conseguenze che non possiamo ancora valutare. La scuola dovrà cogliere la sfida di considerarsi un luogo dell’anima e non solo un luogo fisico. E ancora una volta si farà affidamento sulle persone. Su insegnanti, genitori, alunni, su tutto il personale del mondo scuola… Si farà affidamento sulle persone più che sulla istituzione in sé. Un rischio e un’opportunità. La scuola riaprirà a settembre?

P.S. CLICCA QUI per leggere L’educastrazione a scuole: intervista a Paolo Mottana

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Info sull'autore

Teresa Di Matteo

Psicologa, Psicoterapeuta in formazione

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