Paolo Mottana

In occasione del n.18 della Rivista di Psicologia L’Anima Fa Arte – STELLE, abbiamo avuto l’onore di poter intervistare Paolo Mottana. [CLICCA QUI per scaricare gratuitamente la rivista]

Paolo Mottana è professore di filosofia dell’educazione e di Ermeneutica della formazione e pratiche immaginali presso l’Università di Milano Bicocca. È autore di numerose pubblicazioni.

Ha fondato la pedagogia immaginale.

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Pedagogia immaginale

Paolo Mottana ha costruito, in collaborazione con il suo gruppo di ricerca e in particolare con Marina Barioglio, la pedagogia immaginale.

Essa può essere sintetizzata come un approccio di ricerca e di formazione che intende valorizzare il contributo che l’immaginazione, con particolare riguardo all’immaginazione creatrice, e l’immagine, e in particolare le immagini simboliche, le immagini cioè non riducibili alla mera illustrazione o codificazione di un concetto o di un fatto ma aperte alla più ampia e irriducibile possibilità di significazione, possano offrire alle teorie e alle pratiche educative. Nello specifico, la pedagogia immaginale appella l’educazione a rivolgersi, come fonte di sapere, al sapere simbolico, non rinvenibile nelle discipline altamente concettualizzate ma nelle espressioni dell’operatività simbolica, cioè nelle arti (pittura, musica, cinema ecc.) e nella narrazione poetica e mitica. [estratto dalla sua biografia]

Intervista a Paolo Mottana
a cura di Valentina Marroni


Valentina Marroni:
La scuola è appena iniziata. Lo è anche per mio nipote di tre anni che ha fatto il suo ingresso nella scuola dell’infanzia. La madre che ieri è andata a prenderlo, l’ha ritrovato in lacrime. Lui, appena l’ha vista, l’ha rimproverata: “Dove sei stata tutto questo tempo? Perché mi hai lasciato qui?”. Molti pedagogisti e psicologi penserebbero ad un attaccamento insicuro. Una parte di me però è reticente ad avvallare questa spiegazione. Partendo dal presupposto che Lei non conosce i soggetti del mio racconto, cosa Le viene in mente a riguardo?

Paolo Mottana: Naturalmente l’ingresso così precoce dei bambini in una struttura radicalmente diversa da quella familiare, dove gli elementi di intimità, protezione, affetto diffuso, contenimento e libero gioco sono ribaltati completamente, è un trauma non irrilevante. In generale, l’educazione nella nostra civiltà è fondata sul principio della demolizione dei legami di attaccamento e sull’enfasi nei confronti dell’autonomia, dell’indipendenza e dell’individualismo, quindi procede per traumi progressivi fino dalla più tenera età, il che a me pare quantomeno violento.
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Valentina Marroni: Come vede la scuola oggi? Se la dovesse disegnare, come la disegnerebbe?

Paolo Mottana: Personalmente vorrei non doverla ridisegnare. Vorrei pensare a luoghi accoglienti, a tane, campi base, spazi dove bambini e ragazzi si trovano con adulti preparati a relazionarsi in modo significativo con essi e da lì partono per conoscere il mondo, sperimentarlo, esplorarlo, contribuirvi nella realtà sociale e territoriale di riferimento.
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Valentina Marroni: Che cos’è l’educazione?

Paolo Mottana: L’educazione è aiutare le soggettività nascenti a divenire ciò che sono più intimamente, a esprimere e riconoscere il proprio daimon.
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Valentina Marroni: La scuola educa?

Paolo Mottana: La scuola, come la conosciamo oggi, disciplina e soggioga. Imprime il proprio sigillo normativo sulle giovani generazioni che attraverso di essa, accanto ad uno scarso apprendimento culturale (poiché nei fatti non è studiata per produrre autentico apprendimento culturale), si adopera per far introiettare ai più giovani le regole dell’obbedienza, della sudditanza, dell’immobilità e del silenzio, della passività, del dominio del corpo e delle emozioni e così via.

Valentina Marroni: Spesso gli studenti quando si trovano davanti ai programmi scolastici dicono: “Ma a che mi serve questo nella vita?!”. Gli adulti rispondono sapienti che prima o poi lo scopriranno. Io sono diventata adulta e ancora non ho scoperto a cosa servissero. È un fallimento dell’educazione o sono fallita io?

Paolo Mottana: L’educazione scolastica intercetta solo casualmente le autentiche esigenze formative dei bambini e dei ragazzi, per merito di qualche insegnante più umano o semplicemente più autorevole. Ma non è in grado di insegnare davvero perché propone cose non richieste in maniera non idonea. Che cosa ci si attende che produca? Solo i ragazzi e i bambini già normati e educastrati, come li chiamo io, possono ricavarne qualcosa. E cioè la conferma della loro educastrazione.
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Valentina Marroni: Da insegnante, all’interno del sistema scolastico, ho sentito violenza da più parti: gli insegnanti nei confronti degli alunni, gli alunni verso gli insegnanti, i genitori nei confronti degli insegnanti e viceversa. Non so però dove questa si generi. È il sistema scolastico che crea violenza?

Paolo Mottana: Assolutamente sì. La scuola è un dispositivo coercitivo artificioso e violento, fondato sull’obbligo e la continua valutazione, che strappa i ragazzi alla loro vita e al loro tessuto vitale per tenerli in cattività per anni e anni. La violenza ingiustificabile di questo dispositivo non può che generare altra violenza (più o meno soffocata, manipolata e fatta sopportare con motivazioni del tutto ideologiche). Una volta la violenza era diffusa anche nelle famiglie e i bambini e i ragazzi contavano meno di zero ovunque. Oggi alcune famiglie sono cambiate e per la scuola diventa più difficile mantenere il suo ordine repressivo.
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Valentina Marroni: Ci troviamo in un’epoca storica in cui la sessualità oscilla tra il bigottismo e youporn. Dai social so che sta lavorando ad un “docuvideo”, un progetto di documentario collaborativo intitolato “Making Of Love”. Di cosa si tratta?

Paolo Mottana: Del tentativo di mostrare che la sessualità può essere uno dei più straordinari territori di vita, di affermazione del diritto di vivere pienamente, di provare piacere insieme ad altri senza allarmismi, complessi o, peggio, modelli performativi del tutto inadeguati a questa materia così delicata e complessa. E anche di mostrare che la sessualità non è solo una faccenda di corpi e di umori ma anche un grande mondo culturale e simbolico, di cui arte, letteratura, cinema, teatro, danza, miti, leggende e narrazioni iniziatiche possono fornire una mappa ricca e inesauribile.
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Valentina Marroni: Questo numero della rivista tematica di psicologia è dedicata al simbolismo delle stelle. Può regalarci – per concludere l’intervista – un suo pensiero su di esse?

Paolo Mottana: Il cielo stellato, il firmamento, sono sempre stati grandi simboli di ciò che rimane ad onta del passare del tempo, una sorta di assicurazione sulla permanenza della vita. Oggi che la scienza ci ha spiegato che si tratta di bagliori di qualcosa che è scomparso in tempi remoti, la nostra visione si è certamente immelanconita. Ma io voglio pensarle ancora come il soffitto che tappezza la notte degli amanti e come il reticolo dei legami che ad uno sguardo sensibile ricordano che la vita è in fondo un bellissimo e inafferrabile gioco di figurazioni.

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