Il Natale, Usener e i Social

Una parola nuova è sempre un Natale.

Jung nelle opere cita Usener e molti di noi non si accorgono di questa citazione. Usener è un filologo tedesco che tra i suoi scritti ha qualcosa che suona come “Religionsgeschichte” (Storia delle religioni), meno citato da parte di Jung è “Der gotternamen”, opera sempre di Usener in cui troviamo la sintesi di quanto Hillman afferma in tutta la sua produzione ossia quando invoca una nuova angeologia delle parole, affermando che le parole sono persone. Ora vogliamo proporre un elogio proprio delle parole. Vogliamo farlo celebrando la nascita di nuove parole, come angeli o dèi.

È natale ogni volta che nasce una parola e Usener ci spiega mirabilmente come avvenga.

La creazione di una parola è il riflesso di un’emozione provata dall’anima che viene messa in movimento dalla percezione di qualcosa di esteriore o da una rappresentazione interiore. Nella misura in cui una rappresentazione si fa sentire più volte… essa sarà anche occasione per una ripetuta creazione linguistica… Mentre, però, i fenomeni del mondo esterno con la loro frequente o regolare ripetizione perdono un po’ alla volta qualcosa della loro forza emozionale, le impressioni che nella mente umana risvegliano le rappresentazioni delle potenze divine conservano in larga misura la piena vitalità della loro efficacia emotiva… Tutte le più importanti manifestazioni divine hanno indotto ad una più fervida invenzione e fusione linguistica e le parole cambiano rinnovandosi spontaneamente [Usener: 1896: Gotternamen, Morcelliana, Brescia, pag. 99]

In tutto Usener, comprese le Storie del Diluvio, in nuce, vi è spiegata la nascita di una parola e di un Dio e se Jung afferma che “gli dèi sono diventati malattie” non manca di citare Usener nelle sue opere mentre Hillman non lo evidenzia. Se questa sia disattenzione non lo sappiamo, ci interessa solo porre l’accento sul fatto che la psicologia, come spesso abbiamo affermato, sia una scienza “ladra”, come peschi argomentazioni da se stessa mentre non si accorga di aver plagiato altre discipline che vanno dalla filologia alla filosofia.

Ma torniamo al tema Natale.

Stiamo mettendo alla vostra attenzione il fatto che il tema della nascita ci riguarda in ogni istante.

In ogni istante nasce il qui e ora, in ogni istante noi siamo testimoni della nascita del cosmo in quel dato momento. Ma non vogliamo certo invitare ad un’analisi così ampia e complessa, vogliamo semplicemente annoverare tra le nascite anche le parole, i neologismi. La nascita di una nuova parola è, infatti, testimonianza, osservando questo evento con la lente di Usener e di Hillman, della nascita di un Dio.

Quindi potremmo dire che per il vocabolario è sempre il 25 dicembre. Ogni parola nuova è un Dio, ogni Dio, è un archetipo, ogni archetipo è una condotta-istinto. Questa catena associativa ci suggerisce che un neologismo è un elemento tutt’altro che di poco conto. Usener in tutto il testo fa esempi su come sia sufficiente un suffisso o un prefisso ad annunciare la nascita di un nuovo Dio. Noi qui faremo riferimento, a livello linguistico, ad un macroevento rispetto a quello che prevede le microvariazioni tramite suffissi o altri elementi linguistici di base. Il macroevento è l’impiego di termini stranieri italianizzati all’interno dei social.

Like, Troll e Clickbaiting

E siccome non vogliamo limitarci ad un solo dio perché è nelle nostre intenzioni evitare monoteismi, sono due le parole-dèi che sono nate. Sono due gli dèi perché Maria è un femminile molto prolifico e sarebbe stato interessante se avesse partorito due gemelli. Vi presentiamo, dunque, Trollare & Clickbaiting. Di queste azioni sono stato additato personalmente all’interno dei gruppi su Jung e su Hillman. Ma mentre la prima è una falsa nascita poiché il trollare è una riedizione del giullaresco trickster, la seconda è effettivamente meno nota.

In rete, inoltre, assistiamo a nascite continue. Alcune parole, come ci diceva Usener, hanno il destino di trovare diffusione, nella reiterazione, si affinano, cambiano, si strutturano fino a diventare vere e proprie emozioni, condotte, archetipi. Un caso evidente è la parola “like” che trova nell’italianizzazione “likkare” una variante.

Tutti siamo ormai abituati a sentire o affermare qualcosa come “farei pazzie per un like”, oppure in molti ci interroghiamo su quanti followers abbiamo.

Insomma ricevere un “mi piace” non è semplicemente ricevere un apprezzamento. Si tratta di qualcosa di diverso dal fare qualcosa di bello e essere apprezzati per questo. Un apprezzamento ha una durata maggiore mentre un “like” è molto effimero. Scriviamo una frase a effetto, oppure postiamo una frase famosa e poi ricontrolliamo quanti “like”. Non è il singolo like ma il loro numero complessivo a fare la differenza.

In un illusione di fama, il numero dei like rischia di divenire un’esigenza quotidiana perché tende ad equivalere a qualcosa del tipo “ti ho visto” oppure “tu esisti”.

Insomma il dio “Like” è nato nei social e indica una esigenza di visibilità. L’equivalente in età adulta del piccolo fanciullo che si dimena al parco nella speranza che i genitori si accorgano di lui. Allora ci ritorna alla mente il quadro di Durer il PAEDOGERON di Durer del 1527, ci ritorna come sintesi tra puer e senex. Una sintesi che costituisce sia un ritrovato equilibrio, ma che porta con se anche paradossali contraddizioni. Questo dio, che nei social si chiama Like, ci viene a trovare quando vogliamo da adulti le medesime attenzioni del puer.

Trollare

Ora torniamo ai nostri due gemellini Trollare e Clickbaiting. Quando in un gruppo su un social si parla di un certo argomento generalmente tutti i partecipanti a quel gruppo tendono a rispettare le regole del gruppo. Con regole ci riferiamo a quelle epistemologiche. Ci sono infatti gruppi tematici in cui si parla di calcio, di cucina, di moda oppure, come nel caso del sottoscritto, di psicologia e filosofia. All’interno del gruppo tutti hanno una competenza comune di base. Tutti hanno una conoscenza di fondo, o meglio questo è vero almeno per i partecipanti attivi. Ad un tratto può capitare che un partecipante, anonimo o con uno pseudonimo, intervenga dissacrando il tema trattato, oppure commentando sarcasticamente. L’intervento si configura come un tentativo di introdurre una rottura nelle norme epistemologiche. Il Troll è personaggio della mitologia norrena che corrisponde all’Orco, ma quello sui social dovrebbe derivare più che altro dal verbo inglese To Troll. Questo verbo rimanda alla pesca e più in generale all’agitare l’esca sulla superficie per attirare i pesci.

Certamente in questo senso il telos, ossia lo scopo del troll, non è tanto quello di divorare gli innocenti come un orco, nutrirsi di bambini ossia di idee nascenti, quanto quello di attirare l’attenzione sulla sua esca per potere attrarre conversatori. Più probabilmente le cose vanno un po’ insieme. Se il Troll, ossia l’Orco, mangia i bambini ossia, leggendo in trasparenza e simbolicamente, si nutre di immaginari nuovi, di idee nuove (i bambini), quelle che all’interno di un gruppo risultano nascenti e stimolanti, al tempo stesso divora questi bambini per riattirare l’attenzione su di se. Nel fare questo soddisfa il puer ma allo stesso tempo, come il puer, come il giullare dissacra e distrugge lo status quo obbligando a ripensarsi. Interessante parlare della nascita di un troll (pesca-orco) quando questo dio (e con dio ricordiamo che ci stiamo riferendo a una condotta, a un emozione, a un archetipo) è proprio un divoratore di nuovi dèi. Un azione di troll saggio potrebbe prevedere proprio il dissacrare parole come “trollare” o “like” mettendone in discussione il senso, ridicolizzandole come inutili, stupide o insensate. Un troll che incontra se stesso si trollerebbe. Se sono posseduto da un troll, se la sua condotta mi domina, vivo l’esigenza di dissacrare perché non appartengo, vivo l’esigenza di essere visto. Ma soprattutto vivo un gap enorme tra le competenze percepite degli altri e mie. Vivo anche una certa esclusione e ho bisogno di mettere a ferro e fuoco la terra che mi tratta da clandestino. Non c’è la conoscenza della verità come nel caso del giullare. C’è l’esperienza dell’esilio, reale o immaginario. Un troll si opporrà alla sua stessa inclusione perché la vivrebbe come perdita di senso. Certamente una parola di questo tipo sembra connotare in modo sempre più preciso una condotta contemporanea, un tratto di personalità tipico della cultura di questo tempo. E’ nato quindi un Troll. E questo significa che viviamo in tempi in cui l’esperienza del troll, di esclusione e non appartenenza e la conseguente volontà di dissacrare e di ridicolizzare è crescente. Se nasce un figlio significa che lo si è voluto, in un modo o nell’altro.

Se nasce la parola trollare ci dobbiamo chiedere che genitori siamo, come mai abbiamo voluto questo figlio.

Clickbaiting

La seconda parola è di nuovo un dio che ha a che fare con la pesca.

Sarà un caso che l’immaginario del pescare troni così spesso in rete? Del resto è facile accorgersi che, come con l’esca si spera che abbocchi un pesce di cui non si conosce forma, colore ne tantomento l’esistenza, così sui social abbiamo un’esperienza di pesca che anima la nostra immaginazione. Non possiamo avere certezza di chi vi sia a parlare con noi. L’Altro costituisce il crogiuolo di proiezioni e fantasie che ci parlano di noi. Dunque la metafora della pesca in rete è una metafora dello specchio.

Clickbaiting è il dio nato per trarre in inganno. È un Mercurio della rete. E’ truffaldino nel voler attirare l’attenzione con un esca (bait), per poter poi catturare l’ignaro e affamato internauta nella rete delle informazioni o delle pubblicità.

Ho postato sul gruppo di James Hillman La Valle del fare Anima, una riflessione su Raffaele Morelli e non pensavo certo di riscuotere tante attenzioni.

Vi riporto il testo e il post data la sua brevità:

Quando mi fu commentato e contestato il fatto di fare clickbaiting, corsi a verificare il significato della parola. Non conoscevo quel dio e, se mi avesse mai posseduto non lo avrei riconosciuto. Avrei usato il nome di Morelli per attirare l’attenzione su di me a fini pubblicitari? No! Lungi da me! Mi risposi. Ma in verità mi sembra piuttosto evidente. Del resto lo stesso Morelli è ben felice dell’effetto clickbaiting. Insomma ho adescato internauti nel numero di 60 “like” (un record per il sottoscritto). Ora potremmo, alla maniera greca, ricondurre questo dio a Ermes, al truffaldino Mercurio dei Romani. Oppure cercare di approcciare a questo dio alla maniera dei Romani prima che mutuassero dall’Olimpo Greco la loro mitologia. Prima di generare le corrispondenze Zeus-Giove, Era-Giunone, Ermes-Mercurio ecc. i Romani avevano i cosiddetti Indigitamenta, formulari relativi all’invocazione del singolo dio in genere corrispondente alla singola parola. Quindi per preparare il terreno lavorandolo con la zappa per poter seminare, si sarebbero invocati in sequenza:

La madre Terra per il terreno

Il dio lavoro

Il dio Zappa e con lui Vulcano

Il dio della possibilità

Il dio della semina.

In tal senso la religione romana è una religione delle parole più di quanto non sia quella greca. Dunque ogni parola nuova era un Natale. Dunque il dio Clickbaiting è un dio composto da Click e bait e costituisce una variazione dei due dei.

Il dio Click sarebbe l’appetito, la voglia di saggiare, l’interesse, la spinta verso, la libido per.

Il dio Bait è l’Esca, è l’oggetto della libido, dell’interesse, dell’appetito. Ma non si tratta dell’oggetto in sé, quanto di un simulacro atto a ingannare il Click, ossia l’appetito.

Il dio Clickbaiting è dunque quel dio, condotta, emozione, bisogno, archetipo che vuole attivare l’appetito per qualcosa, è il dio che vuole attivare la libido dell’internauta pur non avendo il cibo di cui si nutre l’internauta. Il click dell’internauta è il cibo del dio Clickbaiting. Dunque questo dio si nutre di libido. Ogni click è nutrimento per questo dio che sembra cercare il desiderio come alimento principale. Gli impieghi principali sono stati sia commerciali che politici ma sembra che questo dio stia divenendo un archetipo collettivo. E’ la ricerca di followers e di like che costituisce la vera novità. Un bisogno esistenziale, un bisogno di essere visti che si configura come il nutrirsi del desiderare. Si desiderano i desideri.

Quando mio figlio sta giocando con qualcosa ed è particolarmente preso dal gioco, ecco spuntare sua sorella che inizia a infastidirlo. Inizia a distrarlo a chiedergli di poter giocare lei con quell’oggetto. Lo esaspera fino al punto che lui, più cedevole, non accontenta la sorella. A quel punto lei prende l’oggetto e mio figlio ne trova un altro. La sorella torna dal fratello abbandonando l’agognato oggetto e ricomincia la giostra. Ora, così letta, ci dice poco se non l’ovvio. Ma se andiamo a chiederci cosa cerchi mia figlia dal fratello, la risposta risulta evidente. Mia figlia desidera essere il desiderio del fratello. Desidera essere desiderata come è desiderato quell’oggetto. Ma si confonde. Pensa che il desiderio sia contenuto nell’oggetto e non che sia una energia del soggetto.

Il dio clickbaiting gioca proprio su questo confondersi e si muove per ottenere il desiderio e porlo su di se. Qui ci interessa mettere alla vostra attenzione che, come internauti, noi siamo portatori di un bene che si chiama desiderio. Possiamo desiderare, anelare, volere. Tutte queste azioni sono la merce di cui va ghiotto il clickbaiter, ma è anche la merce di cui andiamo ghiotti noi stessi in quanto internauti.

Quindi mi sembra evidente che nel post di Morelli io stessi cercando soltanto di nutrirmi del desiderio, cosa che sto facendo anche con questo articolo.

Conclusioni

Leggendo le conversazioni di Hillman e Shamdasani nel libro “Il lamento dei morti” sono incappato in questa considerazione:

Per esempio, nell’incontro con Ammonio, il buon anacoreta che sono arrivato a conoscere piuttosto bene lavorando sul testo, Jung ricostruisce il passaggio dalla filosofia greca al cristianesimo, o l’unione delle due cose, con una riflessione sull’importanza del Logos, la Parola [p.41]

Si tratta qui di Shamdasani che parla del Libro Rosso di Jung. Immancabilmente sono andato a rileggere il passo di Ammonio e sono incappato su considerazioni relative alla parola come elemento che non deve essere divinizzato. Ammonio ammonisce di non divinizzare le parole. Difficile dunque comprendere cosa sia opportuno fare. Penso che Jung, facendo parlare ammonio voglia dire di non credersi dio perché si è capaci di generare le parole. Le parole in se sono, in estrema sintesi una proiezione di psiche. Dal “Cratilo” di Platone, al “Der gotter namen” di Usener, passando per il “Libro Rosso” fino a Hillman [senza considerare tutti coloro che si sono occupati di parole], ci troviamo di fronte al tentativo di psiche di descrivere come nascano nuovi immaginari dentro di lei.

I social sono un’opportunità in tal senso, perché ci permettono di assistere a un processo, che in natura richiede un tempo lungo e mutazioni a volte impercettibili, magari solo in un accento, condensato in un periodo molto breve. Come nei documentari vediamo a volte in pochi secondi una pianta fiorire, o un animale partorire, o un rettile ingerire una preda, come in questi casi usiamo la tecnologia per rendere a noi visibile un processo altrimenti imperscrutabile, così con la tecnologia dei social noi possiamo assistere alla nascita di parole che richiederebbero secoli di sedimentazione.

Siamo lì nella capanna, tra il bue e l’asinello a osservare il parto gemellare di Trollare e Clickbaiting. Due dèi che sembrano dominare la psiche individuale e collettiva. Due dèi che ci descrivono i tratti di personalità emergenti nell’epoca del cosiddetto villaggio globale.

Eppure mi sorge un dubbio. Come un tempo l’assistere al parto non era cosa per tutti, oggi non possiamo escludere che la possibilità di assistere a questi processi psicologici sia sempre e solo una fortuna. La tecnologia sta ampliando le nostre capacità percettive e concettuali ma non sempre siamo pronti a stare al passo. Ci vuole forza nel convivere con un fiore che sboccia in un secondo poiché la fortuna di assistere alla sua vita va mano nella mano con il suo carattere effimero. E rischiamo di non avere il tempo di poterne afferrare il profumo. Ma non ci si deve preoccupare Psiche fa solo ciò che è pronta a fare.

Ora arriviamo all’Epifania. Quando il dio si rende noto, quando appare al pubblico, allora i Magi gli portano doni. Oro, Incenso e Mirra. Cosa potremmo portare a questi due dèi? L’oro è simbolo della regalità del dio, l’incenso della sua divinità e la mirra è usata nel culto dei morti. Io sarei dell’idea di non portare questi doni. Porterei pane, fave o altri simboli di trasformazione. Mentre tenderei a presentare oro, incenso e mirra in chiave alchemica ossia come conquiste parallele alla trasformazione. Ma questo tema richiede un’amplificazione a sé.

La Scrittura sta davanti a te e dice sempre le stesse cose, se dai credito alle parole. Se invece credi alle cose, al cui posto sono messe solo parole, non arriverai mai alla fine. E tuttavia devi percorrere la strada infinita, poiché la vita non scorre su una via definita, ma su una strada illimitata. La mancanza di limiti ti fa però paura perché è spaventosa e la tua umanità vi si ribella; perciò cerchi limiti e restrizioni, per non perderti barcollando nell’infinito. Una delimitazione diviene per te indispensabile. Per sottrarti alla sconfinata molteplicità di significati, reclami a gran voce la parola dotata di un unico significato e di quello soltanto. La parola diventa il tuo dio, perché ti protegge dalle innumerevoli possibilità d’interpretazione. La parola è una magia protettiva contro i demoni dell’infinito, che vogliono lacerare la tua anima e disperderla ai quattro venti. Sei salvo se puoi esclamare infine: questo è questo e soltanto questo. Pronunci la parola magica, e ciò che è sconfinato viene fissato nella sfera di ciò che è finito. Per questo gli uomini cercano e creano parole. [C.G.Jung, Il libro rosso, p.136]

Certamente l’ammonimento di Ammonio risulta più che plausibile visto nell’ottica di Jung. Hillman vede nell’angeologia delle parole, nella loro personizzazione, non tanto un’opera dell’uomo, ma della divinità stessa. Così come lo spirito Santo rese gravida Maria, così le parole sono figlie degli dèì. Per Hillman mentre parliamo non stiamo usando le parole in funzione dell’ego ma sono le parole, che figlie di dèì, e dee a loro volta ci usano. Questo è lateralizzare.

Noi dobbiamo dare il benvenuto ad una nuova parola poiché è la manifestazione di un dio e non il tentativo di ingabbiare quel dio.

Buone Natalità.

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Info sull'autore

Luca Urbano Blasetti

Psicologo e Psicoterapeuta; Dottore di Ricerca in Psicologia Dinamica sul tema Creatività e sue componenti dinamiche; Responsabile del Centro Emmanuel per Tossicodipendenti di Rieti presso cui cura diversi progetti regionali; autore di diverse pubblicazioni psicologiche; lavora nel suo studio.

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