Anima, onde cerebrali e pesci

 

Di notte pian piano i sensi si ovattano. Sprofondiamo nel nostro letto abbandonandoci al mondo onirico e il cervello, come l’acqua, s’increspa di onde. In questo oceano primordiale lo scontrarsi dei flutti dà origine lentamente a ombre, luci, suoni, sensazioni, fino al coagularsi di immagini guizzanti che appaiono, scompaiono e a volte persistono tenaci fino all’alba.

Per vedere quanto l’Anima ami vestirsi di metafore liquide basta osservare quante storie e leggende vengono narrate su ciò che c’è dall’altra parte dello specchio d’acqua. Mostri preistorici, capodogli albini e calamari giganti ne sono solo la superficie letteraria. E non è impresa facile venirne a capo perché l’Anima resiste all’esplorazione tanto quanto gli oceani.

Il linguaggio dell’acqua è ricco e particolarmente adatto alla rêverie metaforica. (J., Hillman, Il sogno e il mondo infero, Adelphi, Milano, 2003, p.189)

Per differenziare gli immaginari del pesce e dell’acqua non vorrei rivolgermi a grandi miti o grandi leggende perché noi tutti facciamo esperienza dell’essere immersi in una sostanza appunto come un pesce.

Forse Jung aveva in mente questa pisciforme metafora originaria quando affermava che siamo noi ad essere nella psiche. E Hillman, che fa della visione in trasparenza il metodo della Psicologia Archetipica, suggerisce costantemente di vedere e distinguere la sostanza in cui siamo immersi. Il pesce dunque si porta dietro l’idea dell’essere inabissati nell’Anima e che questa abbia una sua consistenza.

Lo scrittore americano Foster Wallace ci racconta una breve storia che ci è d’aiuto per comprendere la difficoltà che abbiamo di riconoscere quanto siamo circondati da liquidi trasparenti:

Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?” I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “Ma cosa diavolo è l’acqua?”

 

Anima e acqua

Quando un’immagine onirica viene inumidita, vuol dire che sta iniziando il processo della dissolutio e comincia a diventare più psichizzata, nel senso di Bachelard, a trasformarsi in anima, perché l’acqua è l’elemento precipuo della rêverie, l’elemento delle immagini riflessive e del loro incessante, inafferrabile flusso. (J., Hillman, Il sogno e il mondo infero, Adelphi, Milano, 2003, p.189)

 

Sappiamo che l’acqua penetra la terra, la feconda e ne rinasce in forma di sorgente. Questa capacità di inumidire rimanda alla facoltà che le metafore acquatiche hanno di sciogliere le fissità, ammorbidire ciò che è indurito e di rinverdire di vita ciò che è morto. Se ne erano accorti anche gli alchimisti che a proposito parlavano dell’operazione alchemica della solutio. Far penetrare l’acqua in ciò che è fisso gli restituisce la fluidità del movimento, anima il corpo morto.

Un’altra qualità dell’acqua è la sua capacità di riflettere la luce. Da questa prospettiva acqua e Luna sono affini poiché entrambe riflettono la luce del Sole e gli oggetti sotto il suo fulgido dominio. La loro umidità e la loro capacità di assorbimento corrompono ciò che è netto e splendente e ne smorzano la forza abbagliante. In virtù di tale imperfezione l’acqua dona lentezza, inerzia, profondità, e ovatta ciò che di sfolgorante c’è nella luce. L’acqua (ri)fraziona, fa in parti, spezza la luce diretta e rende possibile la riflessione dell’analisi.

Freud, che immaginava la Psiche anche secondo metafore idrauliche, vedeva nel lavorio onirico un affaccendato bricoleur che costantemente scomponeva e riassemblava creativamente le memorie del giorno. Un lavoro creativo, lunare, notturno. Guai a intendere le vicende oniriche come se fossero diurne! Esse sono riflessi deformati, dice lo psicoanalista. “Sono solo ombre” dice Ermes ad Eracle disceso negli Inferi.

Così l’Anima, come un maestoso pesce, liquefa nel suo acquoso ventre le fissità diurne, le fa a pezzi, e creativa e profonda come il mare dà origine alle più fantasiose creature: i pesci.

I pesci e l’essenza dell’acqua

Abbiamo tessuto le lodi delle proprietà dell’acqua, ma non dimentichiamo che Eraclito, un estimatore del fuoco, diceva che “è morte per le anime diventare acqua”. In questa focosa affermazione ritroviamo gli echi pensierosi dello Jung che associava l’insorgere della psicosi all’allagamento totale. Un’acqua che orribilmente si riprendeva la terra conquistata dalla coscienza col fuoco della conoscenza.

Umilmente assorbiamo a mo’ di spugne i moniti di Jung ed Eraclito che ci chiamano a coagulare tutto questo liquido e formuliamo la seguente domanda: “ma dell’acqua che non ha forma, colore e odore qual è l’essenza?”

Quando parliamo dell’essenza immaginiamo qualcosa che possiamo afferrare: un centro, un concetto chiave, un solido perno su cui poggiare la proverbiale leva. L’idea di essenza rimanda al classico scoglio che solo dà certezze in mezzo a un mare che non offre appigli.

Se provassimo a prendere l’acqua ci bagneremmo le mani, ma i pesci, le sue creature, sono meno impersonali di un elemento eterno e nella loro finitezza possono essere afferrati.

Dall’alba dei tempi l’uomo rastrella le acque allo scopo di pescare. Ma dev’essere impresa ardua trovare un solido pesce in un mare di liquido!

Le reti da pesca feriscono l’acqua, la rastrellano e la mortificano. Lo chiamiamo pescare, ma ricorda da vicino la zangolatura della ricotta o del burro che ha lo scopo di separare e coagulare. Il pescato è ciò che di essenziale si estrae dalla massa d’acqua, un corpo di vitalità guizzante.

È forse per questo che guardiamo alla pesca come mortificazione del mare, perché ne estrae l’essenza e abbiamo timore che ne muoia dissanguato. Capiamo ora che i mostri marini sono gli spiriti dei rispettivi mari, i vari Nessie lo sono dei rispettivi laghi, e gli Scilla e Cariddi lo sono delle strettoie che presiedono. E comprendiamo anche che la fantasia faccia mutevoli mostri pinnati per afferrare ciò che di essenziale c’è nel liquido. Così le capricciose forme dei pesci sono l’essenza vitale e creativa dell’acqua.

Lo spirito dell’acqua lo chiamiamo pesce.

Conclusioni

Quando l’Anima esprime la sua creatività attraverso metafore d’acqua appare come una madre generativa che nel buio del suo ventre sperimenta nuove forme. L’oceano psichico è il luogo della creazione della vita e di nuovi stili di coscienza. “Occhi luminosi di pesce” diceva Jung per indicare altre coscienze.

Il linguaggio di uso comune spesso non rende giustizia alle ricercate forme della fauna ittica. Pescecane, pesce gatto, pesce palla, pesce luna, pesce chitarra, pesce martello, pesce pilota, pesce spada, pesce violino sono solo alcuni dei nomi terrestri che abbiamo prestato al mondo sommerso. Sembra che l’apporre il prefisso pesce liberi la parola dal suo oggetto concreto e la renda immagine guizzante. Sotto la superficie dell’acqua, agli oggetti quotidiani che vengono rapiti, il mare gli mette le pinne e con la sua fantasia perversa li muta in forme fluide di coscienza.

P.S. Se ti è piaciuto l’articolo CLICCA QUI per leggere gli articoli della categoria Archetipi, miti e psicologia