Il Re Leone: sul diventare ciò che si è

 

Simba, il Re Leone, dopo 25 anni, torna a ruggire e sembra che per lui il tempo non sia passato. Proprio in questi giorni, infatti, le sale cinematografiche stanno proiettando il nuovo live action firmato Walt Disney Company.

E come 25 anni fa sono andata al cinema a salutare il leoncino. È un film densamente carico di significati per chi sta scrivendo. È il primo film che abbia mai visto al cinema. Eravamo io, mio padre e mio fratello. Lì è nata la mia passione cinematografica, lì ho scoperto il primo punto di contatto con mio padre, trovando la nostra prima similitudine che andava oltre il cognome condiviso.

Come si è più volte ribadito, ogni prodotto umano – letterario, musicale, architettonico – può essere letto psicologicamente perché ogni contenuto parla di psiche. E parlando di psiche, parla di noi.

Non sfuggono a questa regola i film che incantano le platee a partire dalla potenza evocativa delle immagini che essi trasmettono. Già la scelta di dare attenzione ad un film piuttosto che un altro è un’operazione psicologica, tanto più sentirsi rapiti da quella storia e dalla forza dei personaggi. James Hillman sottolinea come gli umani siano esseri affamati di storie e si va al cinema, o ci si siede comodi sul divano, per saziare questa fame archetipica. È una fame che richiede una dieta variegata a mo’ di dieta mediterranea: a volte un libro, a volte una mostra d’arte, a volte una canzone, altre un film.

Il film

Il Re Leone si incentra sulla vita di Simba, principe delle terre del branco, legittimo erede alla corona. Simba, per i primi anni, cresce sotto lo sguardo attento e amorevole del padre, Re Mufasa. Come tutti i bambini è spinto dalla voglia di conoscere e di dimostrarsi più grande delle sue dimensioni, così si mette nei guai ed ecco il padre pronto a tirarlo in salvo. Si scoprirà che era un piano ardito contro il Re da suo fratello Scar, il quale vuole usurparne il trono. Mufasa muore. Simba, sentendosi colpevole per la morte del padre, scappa dalla savana fino ad incontrare una coppia sgangherata di amici, Timon e Pumba. Crescerà con loro fino a riconquistare il suo regno.

Il film è un remake della prima pellicola del 1994. L’originale sarà il primo Classico Disney ad essere realizzato a partire da una storia inedita, ideato da sceneggiatori e non una rivisitazione, addolcita per bambini, di antiche leggende e fiabe. Ciò non toglie fascino alla storia creata – e numerose volte corretta – nell’arco di cinque anni. Si raccontano, comunque, di influenze bibliche e amletiche.

 

La lettura immaginale

Il leone

Adesso proveremo a fare una lettura immaginale del live action. È ambientato nella savana, in Africa, habitat prediletto da creature selvagge. Situarsi in territori selvaggi non contaminati dall’uomo – in cui non compare affatto e non sembra nemmeno essere conosciuto dai protagonisti – è come situarsi in luoghi inesplorati dentro di noi dove le regole convenzionali dell’uomo civile non valgono. Lì dominano le leggi della natura stessa. In tale ambiente il leone ne è il Re indiscusso. L’animale ha un bagaglio simbolico molto ricco che ne esalta la potenza, la sovranità, la regalità e, in diverse mitologie, il leone corrisponde al sole stesso come astro che domina con la propria luce il cielo. Qui il leone si mostra in quattro forme: il leone sovrano giusto che si sacrifica; il leone cattivo usurpatore del trono; il giovane leone destinato a crescere; la leonessa Nala promessa sposa, nonché amica, del principe. Pare utile sottolineare che questi aspetti del leone siano presenti in ognuno di noi

Ricordati chi sei

Più in alto ho accennato ad influenze amletiche della pellicola. Nel dramma shakespeariano il Re assassinato si rivela ad Amleto come fantasma e chiede al figlio vendetta per la sua morte di cui è responsabile il fratello, adesso Re Claudio. Re Amleto e Re Mufasa, oltre a lasciare in eredità il regno, lasciano ai rispettivi figli un messaggio pressappoco simile: “Ricordati di me, ricordati chi sei”.

Trovare una risposta alla domanda “Chi sono?” è un’impresa ardua per ognuno di noi. Il Re Leone, pur nei suoi colori sgargianti e nelle sue canzoni iconiche, ci mette di fronte questa immensa domanda. Se dare una risposta appare difficoltoso, si può accennare a come si può provare la ricerca della risposta. Jung parla di processo di individuazione:

Il processo d’individuazione è quel processo biologico, semplice e complesso a seconda dei casi, attraverso il quale ogni essere vivente diventa quello che è destinato a diventare fin dal principio (Jung, Opere vol 11, p. 294)

 

Il processo di individuazione di Simba è inscritto nel suo nome che, tradotto dalla lingua Swahili, significa appunto leone. Sembra che la sua conformazione animale coincida con quella etimologica e che tutte e due vadano nella stessa direzione che, unitariamente, indicano quale sarà il posto che andrà ad occupare nel grande cerchio della vita. A noi sudditi non è stato concesso lo stesso privilegio e la meta la dobbiamo scoprire da noi.

Inoltre Hillman, riferendosi a Jung:

Egli afferma risolutamente che questo impulso alla autorealizzazione opera con la coattività di un istinto. Siamo spinti ad essere noi stessi. Il processo di individuazione è una dynamis, non una questione di scelta o riguardante pochi individui (Hillman, Il mito dell’analisi, p. 48)

 

La ricerca di individuazione ci agisce e compare nelle scelte che affrontiamo ogni giorno, sia quelle consapevoli che quelle inconsce. Non dobbiamo, però, confondere la meta del processo con il mestiere che andremo a svolgere e neppure con il posto che occuperemo nella scala sociale. Questo processo mira a riunire la propria individualità con la collettività. Mira a creare una coscienza comunitaria in cui l’uomo si unisce a sé stesso e al resto dell’umanità perché ne è parte. Siamo nel grande cerchio della vita.

Conclusione

Essere individuali significa essere peculiari, quindi strani, essere peculiarmente ciò che si è, con i propri strani modelli di reazione archetipica. (J. Hillman, Il mito dell’analisi, p. 18)

Scovare la propria individualità equivale a trovare la propria dose di stranezza, accettarla e non soffocarla. Al contempo è accettare la stranezza che alberga nell’altro, fuori e dentro di noi. La psicologia dovrebbe accettare queste stranezze come fonte di individualità e non ricondurle unilateralmente a patologie da curare. La psicologia dovrebbe aspirare a ballare assieme alla scimmia Rafiki, amico in Swuahili, il quale indica a Simba la strada del ritorno ma poi lascia che sia lui stesso a percorrerlo. È un monito: ti lascio diventare ciò che sei, anche se questo significa diventa ciò che non mi piace.

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Info sull'autore

Barbara Mazzetti

Psicologa e Specializzanda in psicoterapia ad indirizzo analitico; Collaboratrice presso il Centro di Rieti dell’Associazione Comunità Emmanuel onlus; Autrice di saggi e articoli storico-psicologici.

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