Perché la Sirenetta non può essere nera? Tra polemiche e psicologia




I colossi Disney e i live action, ossia la versione reale con attori in carne ed ossa di classici animati, sono da sempre terreno di confronto, discussione e perché no anche scontro. Ad ogni nuova uscita il film viene commentato nei singoli fotogrammi del solo trailer e bocciato o promosso a partire da questo. Bene o male purché se ne parli e la Disney ha sempre saputo far parlare di sé.

In questi giorni è uscito il volto dell’attrice che andrà a personificare la Sirenetta Ariel… ed è una splendida ragazza di colore. Da qui migliaia di polemiche per la scelta non condivisa dalla casa di produzione, fan in rivolta e fanatici che, cavalcando l’onda, hanno ribadito la loro posizione su come il mondo stia andando sempre più alla rovina.

Qui non si vuol parlare della bontà o meno della scelta, se il film avrà successo o sarà un flop colossale ma quale è lo scopo di tali proteste perché in cuor loro tutti i bastiancontrario sanno che la scelta è stata fatta e non si tornerà indietro. La Sirenetta diventerà nera punto e basta.

Qui si vuole indagare l’immaginario che sta dietro queste proteste perché non è un fatto isolato ma un copione che si ripete ad ogni nuovo film, ad ogni nuova uscita che osa intaccare l’immaginario collettivo occidentale. Perché quando si toccano mostri sacri cinematografici, quei film che hanno fatto la storia, le polemiche sono all’ordine del giorno quasi un corollario stesso del film come i titoli di coda, la colonna sonora e gli effetti speciali.

Ariel avrà il volto di Halle Bailey, attrice diciannovenne americana scelta “Dopo una ricerca approfondita, è stato ampiamente chiaro che Halle possiede quella rara combinazione di spirito, cuore, giovinezza, innocenza e sostanza – oltre a una gloriosa voce come cantante – tutte qualità intrinseche necessarie per interpretare questo ruolo iconico” dalle parole del regista Rob Marshall.

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Lettura in trasparenza

Il cinema è immagine, dà volto voce e fisionomia a fiabe, racconti, libri e questo fin dalla sua nascita. Lì, sul grande schermo, le parole scritte prendono vita e se, toccano le corde dell’anima, diventano parte della propria vita. Ci sono scene che rimangono nella memoria quando la proiezione è finita e te le porti via con te per ricercarle nel mondo, o recitarle, o solo per sperare che anche tu sia degno di quella dichiarazione d’amore. Alcuni film non li vedi, li vivi. E come ci si sente attore principale della propria vita così ci si sente attore di quell’altra vita che sta al di là.

Quando un immaginario conosciuto viene attaccato da una nuova possibile visione ecco la difesa estrema di quello che già conosciamo a discapito del nuovo. E il vecchio immaginario il più delle volte ci riporta ai tempi passati che sono sempre più felici di quelli presenti. Ci riporta all’infanzia, richiama quel bambino che è dentro di noi che vuole la storia raccontata sempre con le stesse parole, che si arrabbia quando scopre che la storia può andare diversamente e che nei buoni c’è una parte cattiva e che nei cattivi può esserci anche del buono. Non è il colore della pelle dell’attrice ad essere realmente attaccato, quanto la sua immagine rea di non essere perfettamente aderente all’originale.

Tutti anelano al cambiamento ma si combatte per non mutare.

È l’ignoto a spaventare.

 

Conclusioni

Ma il bambino e l’infanzia non sono reali: sono termini per indicare una modalità di esistenza, di percezione ed emozioni che noi ancora oggi insistiamo ad attribuire ai bambini reali, talché costruiamo per loro un mondo assecondando il nostro bisogno di situare questa fantasia in qualche luogo della realtà. […] se si chiamasse l’infanzia con il suo vero nome: il regno della rimemorazione archetipica, allora non avremmo il bisogno di diventare inconsci per scoprire il mitico. Abbiamo confuso a livello psicologico il riaffiorare di eventi dall’inconscio con il «ritorno» di reminescenze archetpiche. [James Hillman, Figure del mito, pp. 72, 85]

Il motivo del fanciullo non soltanto rappresenta qualcosa che è stato e che è passato da molto tempo, ma anche qualcosa di attuale … non soltanto un residuo, ma anche un sistema che funziona nel presente ed è destinato a compensare e rispettivamente rettificare in maniera significativa le inevitabili unilateralità e stravaganze della coscienza. [Jung, Gli archetipi e l’inconsci collettivo, Opere volume IX/1, p. 156]

Un film è un racconto e come tale composto da parole che possono dargli corpo ma talvolta possono imprigionarlo sempre sulle stesse immagini. La storia crea struttura – inizio, corpo e conclusione – ma crea anche la gabbia all’interno della quale i personaggi sono costretti sempre a ripetere le stesse azioni e le stesse battute. Il finale è conosciuto ed è questo ad essere rassicurante. La principessa sposerà sempre il principe qualunque cosa le succeda, il lieto fine è sempre dietro l’angolo.

Una Ariel nera invece spiazza perché rompe gli schemi, rischia di spezzare la struttura. E se poi alla fine neanche lo sposerà il principe?

La Disney farà il film al meglio delle proprie possibilità, i fan grandi e piccini andranno nelle sale, ma mentre per i piccoli sarà quella la loro Ariel, per i grandi quella visione sarà un tradimento al bambino che è dentro di loro. Non avranno paura che il film non gli piaccia, quella sarà una conferma della loro tesi. Piuttosto avranno paura che il film gli piaccia e che ci sarà una seconda Ariel dentro di loro e che magari quella gli piacerà più della prima.

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P.S. CLICCA QUI per leggere Cinema e psicologia: spiegare sé stessi attraverso i le immagini cinematografiche

Info sull'autore

Barbara Mazzetti

Psicologa e Specializzanda in psicoterapia ad indirizzo analitico; Collaboratrice presso il Centro di Rieti dell’Associazione Comunità Emmanuel onlus; Autrice di saggi e articoli storico-psicologici.

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