Gli specchi

Lo specchio non capta altro se non altri specchi, e questo infinito riflettere è il vuoto stesso.
(Roland Barthes)

Essere o non essere, questo è il problema. Questa frase, come contenuto psichico autonomo, è sorta alla mia coscienza, attraverso l’immagine di un uomo che si specchia nell’acqua. Vi è una particella comune a tutti gli uomini, quella dell’assonanza tra l’essere e lo specchiarsi, che riflette il dilemma che l’uomo porta con sé nel corso dei millenni, esistente ancor prima degli specchi: chi sono?

Oggi accompagnerò il lettore di fronte allo specchio, attraverso una progressiva analisi di contenuti riconducibili alla sfera di Psiche e lasciando che sia lui a trarne il significato poiché ogni specchio riflette ciò che appare.

Etimologia del termine

Specchio deriva dal termine latino specŭlum, derivazione di specĕre, ossia guardare. Se il termine specchio è importante altrettanto lo è il riflettere (la sua funzione), che deriva dal termine latino reflectĕre, dalla composizione di re– e flectĕre, piegare e volgere indietro. La natura dello specchio è quella di riflettere, di rimandare indietro ciò che viene proiettato.

Lo specchio come acqua

Cos’era lo specchio prima di divenire specchio? Acqua.

Come uno specchio d’acqua, è così che si dice, ed in effetti questa è stata per millenni lo specchio attraverso il quale l’uomo poteva riflettere la propria immagine. Non è un caso che l’acqua sia stata la prima fonte da cui poter attingere la propria immagine; perché dico questo? L’etimologia della parola acqua si rifà sia al significato di piegare (secondo la sua radice indoeuropea) che ad umore secondo la lingua avestica, appartenente alle lingue di origine indoeuropea.

Entrambi i significati calzano a pennello con quelle che sono gli aspetti dello specchio.  Il primo, in particolare, per la sua funzionalità mentre il secondo ne definisce una conseguenza secondaria. Piegare e volgere indietro sono le funzioni principali dello specchio e così dell’acqua; riflettono la possibilità di rimandare al soggetto ciò che è la sua immagine. Dalla lingua avestica l’etimologia del termine riporta al significato di umore e questo è un altro aspetto – secondario – del riflesso che lo specchio (d’acqua) offre al soggetto che gli si pone dinanzi. Se quindi l’acqua da un latovriflette l’immagine, dall’altro ne evidenzia anche l’umore.

Mi viene in mente una frase che qualche tempo fa ho letto e che pressappoco diceva che noi siamo come la luna che si riflette nell’acqua: anche se quest’ultima è in agitazione non bisogna identificarsi con essa e i suoi moti (le proiezioni), poiché la nostra essenza è rappresentata dalla luna che è lì immobile.

Questa frase permette di porre un’attenta riflessione su quelli che sono gli aspetti proiettivi che l’uomo porta davanti lo specchio. Cosa intendo con questo? Lo specchio offre alla persona l’opportunità di poter accentuare o confutare una falsa percezione di sé, dovuta da un bisogno di conferma che solo la proiezione allo specchio può ridefinire o distruggere, la cui polarità è evidenziata dalla qualità e dall’intensità dei contenuti del soggetto.

Un esempio di questo fenomeno è riconducibile alla favola di Biancaneve in cui la regina, repentinamente allo specchio, fa questa domanda:

Specchio, oh servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?

Cosa sta chiedendo allo specchio? Una conferma di quella che è la sua percezione, questa però viene respinta. La regina non accetta ciò che le è stato detto dallo specchio, che lascia la sua convinzione/proiezione andare in frantumi, così ella ricorre ad una pozione per mutare il suo aspetto in strega, prima di berla, però, si specchia un’ultima volta attraverso il vetro del bicchiere che contiene la pozione. Da qui in poi, schiava della sua proiezione, abbandona il suo aspetto regale per mutarsi in quello che psicologicamente può esser definito come l’archetipo dell’ombra, che prende il sopravvento.

La regina si è fatta schiava degli elementi della sua proiezione, ne è stata posseduta, producendo così esiti negativi generati dall’intensità del contenuto psichico proiettato.

Un’altra particolarità che nasce dalla funzione del riflesso è il capovolgimento dell’immagine. Quando l’uomo si pone davanti allo specchio l’immagine riflessa è capovolta, la destra corrisponde alla sinistra e viceversa, la prospettiva è invertita e crea un’immagine identica alla nostra ma opposta.

Il capovolgimento d’immagine cos’è se non un cambio di prospettiva? Di fronte ho un altro, identico a me, che emula ogni mia mossa, ma in senso opposto. Parla, ma non ha voce ed è questa una delle cose che ho notato di più riflettendo sull’immagine riflessa. Lo specchio, che sia d’acqua o di vetro, riflette e funge in quanto strumento meditativo, lo stesso significato del verbo riflettere può essere esposto in ambito psicologico, io rifletto equivale al “ci sto meditando su”.

Cosa c’entra quel capovolgimento, che non ha voce? Quella immagine sono io, sei tu! L’impressione che fa è quella di una parte che vorrebbe essere riconosciuta, ma che non può, perché non ha voce, allora andiamo di fronte ad uno specchio per ricordarci che lei esiste, per dar “voce” a quella condizione che tanto affligge, ma che non vediamo se non con un capovolgimento d’immagine. Lì, davanti allo specchio, dove apparentemente c’è una scissione tra me e l’altro che abita lo specchio, può avvenire una comunione poiché la voce non è lì, imprigionata nello specchio, ma parte da me per ritornare. Attraverso il capovolgimento comprendo che lo specchio è il mezzo con il quale posso dar coscienza ad una parte di me inascoltata.

Questo concetto ha suscitato un’associazione con il quadro di Magritte, “il falso specchio” che però crea una dissonanza (ma non completamente) con il resto, ma è quello che desidero suscitare nell’articolo.

Il dipinto rappresenta un occhio che si specchia nel cielo, la pupilla è spenta e l’impressione che lascia è quella di un occhio indagatore. Il cielo è dentro o fuori Magritte? Il titolo del quadro può esser d’aiuto e suggerisce che questo potrebbe essere un cielo che desidera il pittore e non il cielo che effettivamente l’occhio vede. È un falso specchio perché probabilmente non riflette ciò che è all’esterno, ma potrebbe essere un desiderio oppure rappresentare la ricerca di uno stato interiore più profondo. Con quest’ultima ipotesi l’occhio “indagatore” volge il suo sguardo verso l’interno ed è anche per questo che forse la pupilla è scura, perché rivolta verso la profondità. Il quadro a livello immaginale può suggerirci l’idea che il vero specchio è quello interiore, che ogni specchio esteriore sia unicamente un falso specchio e che l’unico autentico è quello dentro di noi.

Il regno di Dio è nel cuore dell’uomo (Vangelo secondo Luca)

Conclusioni

Recentemente ho ascoltato una pubblicità su Youtube in cui un tassista recitava il passo di un audiolibro e questo tratta proprio degli specchi, pressappoco si narra dell’esistenza di uno specchio magico che ha grandi poteri, ma la cui funzione torna ad essere quella di un semplice specchio se è l’uomo più felice del mondo a doversi specchiare, e perché? Perché non gli serve.

All’interno dell’articolo il tema dello specchio è stato affrontato verificando alcune delle sue sfaccettature, prima con l’acqua poi con la fiaba e infine attraverso la tela si è cercato di fornire uno spunto di riflessione.

Lo specchio come afferma il tassista della pubblicità può esercitare un potere magico, può ledere la percezione dell’immagine come nel caso della regina, può essere uno stimolo per dar voce a quegli aspetti che non vengono espressi o può essere una metafora per guardarsi dentro. In tutti e tre i casi lo specchio fa il suo dovere come sempre, riflettere o meglio volge indietro ciò che viene proiettato. È uno strumento che restituisce e a volte quello che torna indietro può arricchire ed altre volte ledere, ciò che chiedo al lettore è di porsi dinanzi il proprio specchio e vedere cosa accade, magari restituirà l’attenzione che gli stai dando in quel momento.

Essere o non essere, questo è il problema (Amleto)

P.S. CLICCA QUI per leggere Selfie: viviamo riflessi negli schermi

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Info sull'autore

Gerardo Iannaci

Laurea magistrale Psicologia Clinica e della Salute. "Creare è vivere due volte". Albert Camus

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