Elogio del dolore in Psicoanalisi

Se esiste un archetipo del cambiamento, questo è traûma.

La paura di soffrire è al tempo stesso una tutela e la più grande forza conservativa dell’essere umano: ciò che maggiormente previene il cambiamento. La psicoanalisi ha dato al mondo numerosi insegnamenti, dall’importanza della dimensione soggettiva, alla centralità dell’eros, il recupero dell’inconscio e della realtà onirica, ed è stata la scintilla che ha scatenato numerose rivoluzioni culturali e sociali.

Nata e cresciuta parallelamente alla psicoanalisi, l’antropoanalisi fenomenologica, in costante confronto dialettico con l’opera freudiana e post-freudiana, è ciò che ha dato i natali a pensatori del calibro di Basaglia, che in Italia hanno permesso leggi e primati rivoluzionari come la chiusura dei manicomi. Questi due movimenti hanno in comune la volontà di porre al centro la soggettività dell’individuo, sebbene in forme diverse. Ma se c’è una cosa su cui concordano è un certo elogio del trauma. Il termine greco traûma indica una ferita o un danno.

Chiaramente nessuno vuole soffrire, e gli analisti sanno meglio di chiunque altro quanto un’esperienza traumatica sia condizionante per l’individuo, ma il punto è proprio questo.

Il trauma va compreso e curato, ma di certo non rifuggito, non evitato. Il trauma va accolto e vissuto, e posso dare una sola grande buona ragione a sostegno di questa ipotesi. È quello che notava Freud fin dai suoi primi pazienti, e che poi Jung riconoscerà come vero e proprio percorso iniziatico. La psicoanalisi è l’arte di trasformare il dolore in forza evolutiva, ed è dunque inevitabile che riconsideri la sofferenza non tanto come una disgrazia, ma piuttosto come una grande opportunità.

La forza della sofferenza

La forza propulsiva più potente dell’essere umano non è la felicità, ma il dolore. Immaginate un percorso tra un punto di partenza ed un punto di arrivo. Colui che non troverà alcun ostacolo al suo percorso farà un tragitto lineare e sereno, ma al tempo stesso giungerà all’arrivo così come era partito. Chi invece trova portoni sbarrati e rifiuti soffrirà per il muro che gli si para davanti, ma se vuole continuare dovrà prendere il suo dolore e trasformarlo in forza per cambiare strada. E così ad ogni ostacolo migliorerà il suo tragitto, ogni volta che impatterà si farà male, ma se trova la forza di rialzarsi e proseguire perfezionerà il suo viaggio. All’arrivo, colui che ha affrontato e superato più ostacoli sarà cambiato, evoluto.

Un esempio dalla biologia

Cosa ci insegna la biologia?

Che l’organismo più adatto all’ambiente è quello che sopravvive, ma al tempo stesso, chi trova nel suo ambiente una calma costante, rimane sempre uguale nel corso dei milioni di anni. In altre parole, è vero che non affronterà delle sfide, ma nemmeno cambierà. Una interessante teoria interna all’evoluzionismo è infatti proprio basata sulla centralità dei disastri e delle sfide biologiche. L’evoluzione è scatenata dall’esigenza di cambiamento che consegue un cataclisma, un trauma dell’ambiente. Solo quando un organismo è costretto a fronteggiare una sfida che distruggerebbe il suo ambiente, allora cambia sé stesso, si adatta all’ambiente, cambia.

Elogio del dolore

Nel suo saggio sul suicidio e l’anima Hillman recitava parole potenti: “to hope for nothing, to expect nothing, to demand nothing. This is analytical despair”.

È incredibile come l’assenza di aspettative e di cambiamento sia una forza distruttiva. In questo contesto il dolore del depresso non è affatto da intendersi come imposto da un trauma, ma piuttosto dall’angoscia derivante da una condizione in cui gli è impossibile il cambiamento. Quando l’ostacolo è troppo grande, non ci si può adattare, ma se si resta uguali allora, si soffre dell’indeterminazione della nostra anima, la quale ha bisogno di emergere costantemente.

La paradossale situazione inversa è quella di chi invece potrebbe affrontare gli ostacoli della sua vita, ma è troppo spaventato dal trauma che ne conseguirebbe, e dunque fugge dal cambiamento rifugiandosi nella stasi, desiderando l’indeterminazione. Può esistere una via di mezzo tra questi due estremi, ed il compito della psicoanalisi dev’essere quello di insegnare ad accogliere il trauma, ad apprezzare l’essenza contraddittoria della disgrazia che, pur essendo disgrazia, è anche benedizione, è anche un dono.

Tutti i più grandi artisti e menti brillanti possiedono una biografia costellata di sventure, difficoltà, traumi e sofferenze, è questo il “dono” della sofferenza, perché il dolore non è mai soltanto una disgrazia.

Bisogna solo imparare a trasformarlo.

P.S. CLICCA QUI per leggere I traumi sono bugie della psiche?

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Info sull'autore

Federico Divino

Antropologo e Linguista, specializzato in Antropologia della salute mentale (etnopsichiatria). Ha compiuto un percorso di formazione personale in psicoanalisi.

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