Vergogna

Vergognarsi è vergognoso.

Ma senza vergogna non c’è crescita, senza di lei non c’è cambiamento. Se stai leggendo un articolo sulla vergogna significa che ancora senti il bisogno di chiarirti le idee su cosa sia questo sentimento tanto detestabile. Nessuno di noi si sognerebbe mai di vergognarsi, no. Non è come per l’amore o la malinconia o le altre emozioni ambivalenti. Lei, sua maestà la vergogna, non è mai la benvenuta. Per questo qui ti voglio spiegare quale sia la sua utilità, cosa viene a dirci questa emozione che, come tutte le altre, dovrà pur avere una sua funzione per la nostra anima.

Vergogna: etimologia

Sua maestà la signora “Verecundia” ha a che fare col “riverire” e col “nascondere”. La vergogna è direttamente connessa a un senso di sgradevole nudità rispetto a qualcosa che nascondevamo con pudica determinazione. Provate a mettervi nudi in mezzo al salotto di casa vostra e il gioco è fatto. Non c’è bisogno di avere un pubblico, è sufficiente essere nudi con se stessi per provare questa emozione. E siccome ogni emozione spinge a “movere” da e verso qualcosa, direi che la vergogna ci spinge a rivestirci, a coprirci, a mascherarci.

Qui l’invito è di leggere l’articolo nudi, perché questo è il vero invito della vergogna, l’invito a spogliarci perché lei esiste solo mentre siamo nudi.

La vergogna e la maschera

La maschera che i greci chiamavano “Persona”, oppure gli abiti che i latini chiamavano “Habitus”, abitudini appunto,  cadono. Ecco cosa succede quando sentiamo vergogna, succede che le maschere cadono e con loro le vesti, gli abiti, le abitudini. Sentirsi nudi significa anche non avere più abitudini, personaggi e, quando accade, non si può far altro che provare vergogna. Ecco una prima considerazione: non ci dobbiamo chiedere il perché ci vergogniamo ma  piuttosto perché ci siamo vestiti di maschere e abiti di cui non riusciamo più di fare a meno. Ma direi di più. Direi che, se ci capita di vergognarci, allora significa che va tutto bene. Significa che alla nostra anima capita di cambiare abitudini, di dismettere le maschere. Il vero veleno è non provare mai vergogna, non spogliarsi mai, non mostrarsi e non cambiare.

La vergogna e l’alchimia

Il processo alchemico spiega bene questa funzione della vergogna. L’alchimia, infatti, niente altro è che la descrizione simbolica di un percorso sapienziale, di un percorso di crescita psicologica e collettiva. E se gli alchimisti nel processo mettono al primo posto la nudità come primo passo significa che ci suggeriscono la funzione fondamentale che la vergogna potrebbe avere: quella di informarci che siamo nudi di fronte al mondo e di fronte a noi stessi. Ci dicono sempre gli alchimisti che dopo un nudo c’è sempre una coniunctio. E la coniunctio è, volgarmente detta, la copula, l’atto sessuale, la congiunzione tra uomo e donna. Senza ad entrarci troppo cerchiamo di avvicinarci al senso psicologico di tale concetto.  La coniunctio non è altro che l’attivazione di emozioni nuove, bisogni rinnovati, condotte evolute. Ciò detto, il gioco è fatto con la nostra cara signora la vergogna. Lei viene semplicemente a dirci che nuove emozioni stanno sorgendo, nuovi assetti vanno promossi, viene a dirci che qualcosa deve essere cambiato nel modo in cui siamo in relazione col mondo. Anzi ci dice che, in barba a noi, qualcosa sta già cambiando.

La vergogna e la terapia

E quale posto migliore della stanza d’analisi per far razzolare liberamente la protagonista di questo articolo. La vergogna è detestabile solo fuori dalla psicoterapia mentre lì, dentro lo studio dei terapeuti, diventa regina indiscussa. Verecundia che coglie chi non riesce a mascherarsi. Lei, nume tutelare di chi rinuncia al nascondimento, sembra una bimba che gioca con le bolle di sapone quando si trova in terapia. Invece fuori, nel mondo, quella stessa bimba si imbroncia di continuo perché viene perennemente redarguita. “Si senta libero di dire qualsiasi cosa” questo l’invito del terapeuta che tradotto potrebbe suonare: “si senta libero di vergognarsi”.

Vergogna, gaffe, grezze, figuracce

Sfugge un peto durante la messa? Il pene non si erge quando deve? Chiamo “Mamma” la Maestra? Freud li chiamava più semplicemente atti mancati o lapsus. Una parola sorniona prende il posto di un’altra: si dà qualche anno in più a una signora, si dice “patrimonio” al posto di “matrimonio” e così via. La vergogna che si prova è sempre un segno tangibile del nostro atavico bisogno di verità e di autenticità. La vergogna è la figlia del giullare dentro di noi che ci fa lo sgambetto invitandoci a scendere dalla fune da cui cerchiamo di dare quotidianamente il nostro spettacolo di funambolismo.  Ma se quello dentro di noi non riesce a farci cadere, allora, magari con un pizzico di sadismo, ci riuscirà la psicoterapia. Chiedete a lei che, come ogni professione sanitaria che si rispetti, vi inviterà alla maniera dei medici: “Si spogli e si stenda”.

Sogno di essere nudo: che vergogna!

“Dottore ho fatto un sogno in cui dovevo parlare in pubblico e improvvisamente la voce si è bloccata, non riuscivo a dire nulla. E alla fine mi sono accorto di essere nudo”. Ah che bel sogno. Benvenuta vergogna nel teatro dell’anima. La psiche è un teatro, ogni personaggio, ogni immagine è un’emozione, un bisogno, una condotta. Allora, se c’è un’emozione o un bisogno che lassù, sul palco, continua a voler restare al centro della scena, lei – la vergogna -la spoglia, la denuda, le chiede di scendere in platea, di fare amicizia con il pubblico e, magari far parlare qualcun altro. Si ecco: la vergogna è l’esperienza che viviamo quando, convinti di dovere proteggere la solita emozione o il solito bisogno, invece cediamo ad accoglierne di nuovi, quelli che ci aiuteranno a crescere.

Conclusioni

Vergognarsi quindi non va confuso come fosse la conseguenza di un fallimento, no. La vergogna è il segno tangibile del nostro successo nel diventare chi siamo.

Dunque direi di concludere, di cedere il microfono.

Sapete cosa mi fa vergognare qui? Il fatto che è la quarta volta che scrivo un articolo e poi lo rileggo e non va bene. No, non è vero, me lo leggono e mi dicono che non va bene. Che vergogna… non riesco a scrivere? No direi che per fortuna la vergogna mi sta suggerendo come scrivere, cosa cambiare. Lo dicevo all’inizio, senza vergogna non c’è crescita, non c’è cambiamento. Senza vergogna rischiamo di restare chi siamo, per sempre cristallizzati in un’identità idealizzata. Se escludiamo lei, stiamo escludendo la possibilità di trovare noi. Solo che per trovarci dobbiamo accettare di far vedere la nostra nudità a chi sta intorno a noi.

Insomma adesso ti puoi rivestire, tanto se avevi seguito il mio consiglio, dopo un po’ che sei nudo o nuda, non senti più freddo. Ma se non ti sei spogliato, allora direi che è giunto il momento di farlo.

P.S. CLICCA QUI per leggere L’ombra della sessualità

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Info sull'autore

Luca Urbano Blasetti

Psicologo e Psicoterapeuta; Dottore di Ricerca in Psicologia Dinamica sul tema Creatività e sue componenti dinamiche; Responsabile del Centro Emmanuel per Tossicodipendenti di Rieti presso cui cura diversi progetti regionali; autore di diverse pubblicazioni psicologiche; lavora nel suo studio.

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