Cristòbal Jodorowsky: l’intervista 

“In una tiepida giornata autunnale partiamo alla volta di Roma per intervistare Cristòbal Jodorwsky, psicosciamano e figlio d’arte (il padre è Alejandro Jodorowsky), esperto di atti psicomagici, autore del libro autobiografico Il collare della tigre.

Incuriositi ci presentiamo nell’hotel in cui alloggia. Dopo una breve attesa, sufficiente a creare suspense, si presenta a noi in maniera accogliente e ben disposta. Di comune accordo, decidiamo di iniziare l’intervista, che si svolgerà nella hall, e ci apprestiamo a mostrare le foto e i dipinti della nostra consueta intervista per immagini.”

L’intervista è a cura di MICHELE MEZZANOTTE, FRANCESCA BELLINI e GIANNI D’ARCANGELO

M.Mezzanotte: Salvador Dalì si trova nell’uovo in attesa della nascita. Le proponiamo questa immagine perché sappiamo che il Suo lavoro è stato focalizzato sul Trauma della Nascita e sugli psicorituali della nascita.

C.Jodorowsky: Io non vedo questa immagine come una nascita. Vedo un essere vulnerabile alla coscienza. Non la vedo come un uovo di gallina. La vedo come l’immagine di una vibrazione luminosa che protegge il processo trasformativo costante dell’essere che si rigenera. Un’anima in movimento. Dunque la vedo non come un uscire. Per me nascere non vuol dire uscire, ma essere capaci di percepirsi in un processo trasformativo costante. Nascere: già l’ho fatto nella pancia di mia madre e già sono nato una volta, e ciò mi basta. Successivamente è tutto un processo di iniziazione che vivo costantemente, morendo e rinascendo in un processo trasformativo. Questo è quello che vedo, questo è ciò che mi ispira l’immagine.

M.Mezzanotte: Si può parlare di rinascita o solo di trasformazione?

C.Jodorowsky: Rinascere è come ritornare, non è un rinascere nel senso letterario. Io già sono nato una volta. Io voglio percepirmi nel mio processo trasformativo per quello che sono.

Rinascere veramente sarebbe troppo noioso. Rinascere è essere in un processo costante di trasformazione. È necessario essere vulnerabili al proprio sentire. Se ci si pone come un uovo che non può essere toccato internamente, non ci si permette il processo trasformativo. Si rimane chiusi in una costruzione gotica. È importante rivedere il concetto di rinascita.

F.Bellini: Secondo lei la trasformazione è sempre accompagnata dal dolore?

C.Jodorowsky: La trasformazione è sempre accompagnata dal dolore. Nel mio caso sì, in realtà non so per le altre persone. Credo che il dolore della trasformazione sia un dolore sano. In generale si evita la trasformazione proprio per evitare il dolore. Una buona analisi ti porta proprio lì dove senti il tuo dolore, alla ferita che è celata dietro il dolore. Bisogna disidentificarsi con il dolore per entrare nel processo trasformativo. La vita ha sempre un aspetto doloroso, in ogni parte del mondo c’è qualcuno che muore, che soffre. È tutto un dolore, ma allo stesso tempo è tutto una grande festa.

F.Bellini: Come si fa a disidentificarsi con il dolore?

C.Jodorowsky: Disidentificarsi è ricollocare, minimizzare il dolore. Se si ha dolore, lo si avrà in un punto, non ovunque. Ricordo una storia di un uomo che andava dal dottore lamentando numerosi dolori, indicava ogni parte del proprio corpo lamentandosi, ma il dolore era unicamente collocato nel dito.

Bisogna vedere dove è collocato il dolore, discernerlo e minimizzarlo. Io mi sono specializzato interiormente a non soffrire. Ho imparato ad avere male ma non a soffrire. È importante capire qual è la struttura della sofferenza. Essa non è un concetto, ma una pratica.

M.Mezzanotte: Quindi cos’è il soffrire?

C.Jodorowsky: Stiamo facendo ora dei seminari della durata di cinque giorni in cui si lavora proprio sul soffrire. Non è semplice comprenderlo, è una questione di assetto psicologico. È necessario coltivare una distanza tra ciò che si sente e ciò che si osserva. Soffrire è un processo emozionale e, ad un certo punto, strutturando una psicologia adulta, è necessario tenerlo, bloccarlo e creare un confine interno poderoso.

La sofferenza è “non osservare se stessi”, rilasciando un’energia emozionale verso il passato.

Esistono due tipi di ferite: l’essere aggrediti o colpiti, e subire una perdita. L’essere colpiti crea rabbia, mentre la perdita crea ansia costante. Ogni volta che si ha una perdita questa va a risvegliare le perdite originali. In questo modo si rivolge l’energia al passato perché non si sta reagendo alla situazione presente.

Dunque, il futuro diviene unicamente una proiezione narcisistica di sé stessi, di quello che si dovrebbe essere. E così si ha dispersione di energia.

G.D’Arcangelo: Nel processo di iniziazione, di trasformazione, che ruolo ha il corpo?

C.Jodorowsky: Noi possediamo quattro tipologie di energie: una fisica, una sessuale, una creativa-emotiva ed un’altra intellettuale. Ci sono dunque quattro archetipi fondamentali. Necessario nel processo trasformativo è integrare questi quattro aspetti, che sono quattro pilastri per la vita. Io lavoro molto sul mio corpo, la mia disciplina è lo Yoga ed è la mia forma meditativa. Credo che ogni essere umano debba trovare la sua forma meditativa in modo da essere in contatto con la propria forma originale, con il divino. Chi vuole fare un lavoro psicologico deve integrare la propria parte divina, che può spaventare, in quanto credo sia paragonabile all’incontro del vuoto metafisico interiore. Ci sono molte resistenze. Nonostante nella mia vita abbia avuto la fede e la certezza verso questa dimensione, riconosco che non è sempre semplice. È una pratica, bisogna praticare ed essere in contatto con questa parte divina. Se voglio conoscere sempre più me stesso, devo praticare questa dimensione divina per le mie relazioni affettive, per la mia salute fisica, per la mia sessualità, per la creatività e per tutto.

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M.Mezzanotte: Questo è un dipinto di Antonio Ligabue dal titolo “Testa di Tigre” del 1955.

C.Jodorowsky: Ho scritto un libro che si intitola “La collana della tigre”. La tigre è stata per me un archetipo importante e lo è ancora; da piccolo alla maniera zen mi avevano avvicinato alla conoscenza della realtà attraverso una modalità intuitiva e non razionale. A tredici anni, mio padre, con cui avevo un rapporto iniziatico, mi proponeva un Koan: “C’è una tigre nel bosco con una collana di diamanti. Toglila!”.

Ho trovato la risposta dopo trent’anni. La ricerca di una risposta è stata da guida al mio lavoro, alla mia esperienza di vita. Ho capito solo dopo che la collana rappresentava la sofferenza, il modo di pensare, i costumi, le abitudini e le ferite, che alcuni chiamano Falso Io, ma a me la parola “falso” non piace.

La tigre mi ha permesso di liberare l’energia istintiva che è in me. Io non devo liberarmi di nessuno, né di mia madre né di mio padre né di nessun familiare; io devo liberarmi da me stesso, perché tutto si trova dentro di me. Il collare è una costrizione ma anche una dote preziosa e attraverso il lavoro che si fa sulla collana, questa costrizione si trasforma in qualcosa di utile.

G.D’Arcangelo: Qual è il pantheon più rappresentativo della psiche occidentale?

C.Jodorowsky: Il tarocco di Marsiglia. Ne ho sempre uno con me. Io ho il mio pantheon portatile. Ho imparato a conoscerlo e usarlo fin da 3 anni. Il Tarocco è una struttura mandalica, dove le figure sono simboli di tutte le culture.

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M.Mezzanotte: Questo è il quadro di Gustav Klimt intitolato L’albero della vita (1905-1909).

C.Jodorowsky: Noi tutti siamo albero con radici e le foglie. Le radici sono aspetti inconsci con la loro condizione divina, mentre le foglie sono aspetti coscienti. Unendo i due aspetti, divento un individuo. L’albero è molto simbolico del processo di sviluppo di ognuno di noi dalle radici ai frutti. Possiamo parlare anche di albero genealogico. Io sono albero in quanto prodotto di un altro albero attraverso i suoi frutti. Siamo inevitabilmente parte di una famiglia. Se sono nato da un acero, sarò un acero.

F.Bellini: Spesso si usa dare i nomi degli antenati ai figli, che significato ha?

C.Jodorowsky: Penso che questo sia un pericolo tremendo, la potenza del nome è fortissima. Il nome è come un chip con migliaia di anni di informazione, è come una possessione. Tendiamo ad obbedire ciecamente al nostro nome. Un nome significa rendere immortale una persona. Il pericolo è di dare una personalità limitata, e di non poter gioire della vasta gamma di aspetti che ognuno di noi possiede. Il tuo nome potrebbe essere la tua unica possibilità di esistenza.

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M.Mezzanotte: Questa immagine La ritrae intento in un Atto Psicomagico.

C.Jodorowsky: Grazie al Tarocco le persone ti considerano una chiave e quindi ti mettono in contatto direttamente con il loro inconscio, si affidano a te come padre o come madre. È pericoloso, è una lama a doppio taglio. Tuttavia, attraverso l’etica bisogna riconoscere i pericoli e farne una risorsa preziosa. Quando fai un atto psicomagico accade la stessa cosa riuscendo ad entrare in contatto con una persona. In qualche modo ti identifichi con l’altro, è come entrare in un sogno. In questo modo puoi cercare di modificarne l’andamento della vita.

G.D’Arcangelo: Come si fa ad identificarsi con l’altro? Lo si immagina?

C.Jodorowsky: Vuoi che ti mostri come si fa?

G.D’Arcangelo: Si

C.Jodorowsky: Te lo farò vedere attraverso i tarocchi! Mescola le carte. Pensa ad una domanda importante per te, non riguardante il futuro, perché io non sono un veggente. Io faccio una lettura psicologica dei tarocchi, e se mi chiedi perché non trovi qualcosa, posso dirti solo perché non lo hai trovato fino ad adesso.

Gianni D’Arcangelo prende il mazzo dei tarocchi e mentre lo mescola:

G.D’Arcangelo: Sento, attualmente, di non avere intimità, con l’ambiente, con il mondo e nelle relazioni: questo mi pesa molto.

C.Jodorowsky: Prendi tre carte. Ti farò una lettura psicologica simbolica, pura e dura!

Gianni D’Arcangelo seleziona tre carte dal mazzo che vengono scoperte da Cristobal, il quale inizia a studiarle e posizionarle sul tavolo in ordine. Mentre le studia abbiamo la sensazione distinta che stia entrando in contatto con Gianni D’Arcangelo e con l’universalità dei tarocchi.

C.Jodorowsky: A volte le situazioni che ho vissuto nella mia infanzia si ripetono. La domanda è se nella mia infanzia ho percepito mia madre aggredire mio padre, o se ho visto che qualcosa di forte è successo tra mio padre e mia madre, che mi ha creato questa aggressività profonda e nascosta verso mio padre. Aggressività che non è mia, forse è di mia madre, ma che io ho ereditato e che rivolgo a mio padre. In questo modo ho una difficoltà emotiva a coinvolgermi nel mondo. Ti ritorna quello che dico?

G.D’Arcangelo: Si

C.Jodorowsky: Io ho una tendenza aggressiva, ma l’aggressività che io ho è in fondo la maniera migliore per non entrare in comunione con il mondo. In realtà non sono aggressivo. Se sono strutturato così è perché sono molto sensibile e credo che devo proteggere la mia sensibilità perché esiste questa ferita fondamentale in me. Al posto di usare la mia sensibilità, come forma di contatto con la vita che mi può trasformare, la utilizzo come scusa per rimanere nel mio guscio. Sono fedele, sono troppo fedele. E’ la mia migliore modalità per non muovermi da un posto che conosco molto bene, che è la mia sofferenza e la mia ferita d’infanzia. Dunque è la mia scusa per non trasformarmi. E’ un gioco che gioco a me stesso.

G.D’Arcangelo: Mi torna

C.Jodorowsky: Abbiamo risposto alla sua domanda, e abbiamo fatto una strada insieme, perché se avete visto come io gli ho parlato potete notare che non gli ho detto “tu” hai un problema con tuo padre, ma ho parlato in prima persona e ho viaggiato con lui e lui mi ha accettato, altrimenti avrebbe potuto non accettarmi. In questa maniera non ho da difendermi perché io sono te e tu sei me, e lavoro con te senza giudicare, senza definire. Lavoriamo insieme nella ricerca di una trasformazione. Non è qualcosa che abbiamo capito, ma che abbiamo fatto. Qualcosa è successo, energeticamente parlando qualcosa si è mosso.

G.D’Arcangelo: Attraverso la mediazione delle carte…

C.Jodorowsky: Certo, sì.

F.Bellini: Usare i tarocchi è pericoloso.

C.Jodorowsky: Sì, è un potere, e ci vuole responsabilità ed un’etica interna molto forte, perché può portarti in una follia egoica. Ho un tarocco tra le mani ma questo non mi rende un mago, il proposito è aiutarti davvero. Il tarocco serve a studiare profondamente per cercare un processo che ti sia utile e non per affermare la mia conoscenza.

F.Bellini: Posso essere invadente?

Francesca Bellini indica il mazzo di carte.

C.Jodorowsky: Sì, se vuoi. Pensa a una domanda e scegli tre carte.

F.Bellini: Perché nelle relazioni affettive mi annullo e, ad un certo punto, mi sento tutta nell’altro, di perdere me stessa, la mia forza e la mia sicurezza?

C.Jodorowsky: Questa relazione tra imperatore e imperatrice nei tarocchi è poderosa, è la possibilità di fare unione tra due persone che corrispondono. Non so in che relazione sei in questo momento e se corrisponde. Ma questa carta, l’eremita, nella sequenza viene prima e, non so se è il tuo caso, rappresenta un padre assente.

F.Bellini: Si

C.Jodorowsky: Se tuo padre è assente lo vai a proiettare: io proietto nell’uomo il padre che voglio, ma è uno sforzo perché vado a scegliere una persona che può corrispondere emotivamente a un padre che io non ho avuto. Dal momento che non ho un altro modello, andrò a cercare esattamente l’uomo assente emotivamente. La grande paura, come abbiamo visto prima, è dentro di noi. Identifico mio padre con l’assenza, per cui per me “essere in assenza” è “essere in relazione”. Questa frustrazione è la strada più comoda che conosco. Ho una tendenza a non sentirmi mai soddisfatto. Ti corrisponde?

F.Bellini: Si tantissimo

M.Mezzanotte: E a questo punto, sempre se non siamo troppo invadenti..

Michele Mezzanotte indica nuovamente il mazzo di carte.

C.Jodorowsky: Penso che è un buon incontro se facciamo questo: è una forma d’arte. Prendi per favore le tre carte! Quale è la tua domanda?

M.Mezzanotte: È come se in questo momento della vita stessi vivendo un periodo in cui le mie energie sono disperse, non riesco a capire se sia giusto andare avanti così, oppure incanalarle in una delle vie. È come se davanti a me ci fossero più vie e ognuna di queste mi desse qualcosa. Questa pluralità mi dilania.

C.Jodorowsky: Se mi permetti penso di capirti meglio di come credi. Ci sono anche aspetti umani, relazionali e non solo pratici di lavoro e della tua vita intima. Sono due aspetti della vita. In questo momento, secondo i tarocchi, stai vivendo due estremi. E’ come se dividi una donna in due. Devi trovare il modo di unire. Come? Questo è più complesso!

Prendi un’altra carta perché ho bisogno di fare questa unione.

C.Jodorowsky: Il diavolo è una carta che parla di energie inspiegabili, impulsi che vengono dal profondo. A volte, è il tempo per domarla e a volte è il tempo di viverla. Perché l’equilibrio è vivere nel cammino della mia vita. Nel cammino della mia vita, se non avessi vissuto aspetti della mia sessualità, oggi non starei tranquillo. Invece lo sono perché sento di aver vissuto ciò che andava vissuto. Penso che l’ossessione di voler guarire, come se questo pluralismo fosse una malattia, è un errore derivante da una visione morale. Ci siamo capiti?

M.Mezzanotte: Certo. Quello che mi stupisce della lettura dei tarocchi è sia l’entrare in connessione con l’altra persona, sia l’espressione dell’arte intesa come movimento. C’è proprio un movimento energetico in questa relazione. Ed è fantastico come attraverso queste immagini simboliche ci sia quest’arte, questo movimento.

C.Jodorowsky: Perché riconosci e vedi nei tarocchi quello che è astratto in te. Dunque, prende forma e quando prende forma lo riconosci, e lo puoi transitare e sistemare. Quando è astratto in te è impossibile.

M.Mezzanotte: Il verbo che si fa carne.

F.Bellini: Quindi la psicoanalisi è incentrata sul conoscere, sul sapere, sul chiarificare, sul rendere cosciente. Invece gli atti psicomagici vanno oltre perché modificano la realtà?

C.Jodorowsky: Quando la psicoanalisi è ben fatta è fantastica. L’analisi è fatta per capire e per muovere. Però c’è un nucleo intimo che non può essere raggiunto con il verbo. Nel nucleo non puoi entrare con la parola ma puoi entrare solamente con “l’atto”, ed è per questo che entriamo in un’altra dimensione dello psichismo. Attraverso l’atto creiamo una metafora, che è il linguaggio stesso del cervello, per la psiche; pura metafora come il sogno o un mito. Dunque, l’atto psicomagico ti permette di transitare il tuo mito e di raggiungere livelli che la parola non può penetrare.

M.Mezzanotte: L’abbiamo spremuto abbastanza?

G.D’Arcangelo: Si può avere un atto psicomagico?

C.Jodorowsky: Certo…

…tuttavia noi ci fermiamo qui.

Gli atti psicomagici sono estremamente personali. Se volete saperli, potete provare a contattare direttamente i protagonisti dell’intervista. Magari vi risponderanno 😉

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Info sull'autore

Michele Mezzanotte

Psicoterapeuta, Direttore Scientifico de L'Anima Fa Arte. Conferenziere e autore di diverse pubblicazioni.

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