Il complesso di inferiorità

Nel 1907 lo psicoanalista Alfred Adler pubblicava “Studies of organ inferiority and its psychical compensation” dove gettava la bozza teorica di quello che oggi è comunemente conosciuto come il complesso di inferiorità. Anche se il termine complesso di inferiorità non è propriamente la terminologia originale rende bene l’idea dell’esperienza di inadeguatezza che tenta di descrivere.

Per inferiorità d’organo Adler intendeva un’imperfezione attorno alla quale la psiche si sviluppa allo scopo di colmare ciò che è difettoso. Basti pensare al daltonismo di Van Ghog, alla sordità di Beethoven, alla disabilità motoria del filosofo Feyerabend o alla sordità, daltonismo, dislessia, e disabilità da poliomielite di Milton Erickson il grande ipnoterapeuta.

Ci chiediamo come abbiano fatto a fiorire queste personalità fuori dal comune nonostante il fato avverso. E ci chiediamo anche cosa possiamo imparare da questi esempi.

Possiamo riuscire a superare l’inferiorità e il complesso di inferiorità?

Adler ci dice che la risposta è affermativa e si chiama compensazione. È esperienza comune quella di diventare più che esperti laddove ci sono delle difficoltà.

Noi cresciamo attorno ai nostri punti deboli, e a partire da essi viviamo (J., Hillman, Le storie che curano, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1984, p.132)

Eppure questa risposta non ci soddisfa pienamente, noi quel difetto che ci fa sentire inadeguati vorremmo eliminarlo.

Forse la modalità adleriana di immaginare la psiche è diventata per noi troppo familiare, talmente familiare che la sua terminologia si è folklorizzata. Ritroviamo questo stile che immagina attraverso le categorie di inferiore, superiore e compensazione anche tra i personaggi che incontriamo per strada, quasi fossero un omaggio alla stravagante biografia del grande psicoanalista.

Quando l’intelletto degli uomini non basta a gettare luce sul problema ci rivolgiamo alla mitologia che conserva in sé le radici dell’immaginazione. Ritorniamo quindi alla fonte dei punti di vista per cambiare il nostro.

Efesto: divino ma non troppo

Diciamocelo: Efesto è sempre l’ultimo dei dodici olimpi che ricordiamo. Sarà che zoppicando arriva in coda. O forse è perché è brutto, storpio, “cornuto”, e lavora tutto il giorno a tutte le ore come fabbro. È per noi molto sconveniente identificarci con queste qualità perché quando ne siamo posseduti ci fanno sentire inferiori.

È talmente inopportuna la presenza del dio che lo trattiamo come Era quando, per nasconderne la maternità, lo scaraventò appena nato giù dall’Olimpo. Venne riconosciuto come figlio solo quando la madre vide che era capace di produrre meravigliosi gioielli d’oro. Lo riportò allora sul sacro monte dove fece installare una magnifica fucina affinché ci lavorasse. Le qualità creative del figlio andavano così a genio ad Era che volle dargli in sposa Afrodite che però non lo voleva come marito.

Quando sembrava che Efesto fosse pienamente degno di far parte dei dodici olimpi ecco che, per un diverbio, Zeus lo scagliò nuovamente giù dall’Olimpo e, come se non bastasse, si scoprì che Afrodite lo tradiva da sempre con Ares. Efesto provò anche ad accoppiarsi con Atena, ma questa lo rifiutò malamente.

Poiché Jung e Hillman ci dicono che la mitologia è la psicologia degli antichi facciamo uno sforzo e rendiamo psicologici i racconti sul dio fabbro nella speranza che ci dicano come superare il complesso di inferiorità

Inferiorità Vs superiorità

Nei vari miti non si fa riferimento al sentimento d’inferiorità di Efesto, ma sono gli altri dei che non lo vogliono e lo vedono inferiore. Questo ci dà il primo indizio per iniziare a comprendere una particolare sfumatura del complesso di inferiorità: non riguarda l’inadeguatezza di un difetto, ma ha a che fare con l’elitarismo dei residenti sull’Olimpo.

Quante volte lo Zeus interiore ha tuonato rimproverandoci e maltrattandoci? E noi ci siamo vergognati perché segretamente stiamo bene sotto la sua ala. Così per non uscire dalle grazie degli Olimpi iniziamo a scaraventare giù per la rupe le parti di noi che non rientrano nel canone della perfezione divina. Scaraventiamo giù Efesto ed è così che il complesso di inferiorità svela l’altra faccia: il complesso di superiorità, che ci tiene attaccati a Zeus.

Ciò spiega come mai aderiamo tenacemente all’idea di guarire ciò che è inferiore. In tale idea si nasconde l’intima connessione tra noi e il modello divino di potenza e perfezione, che non vogliamo abbandonare. Rinunciare a guarire quella nostra paura, timidezza o dente storto vorrebbe dire ammettere che quello è ciò che siamo: sbilenchi, umani e terrestri.

Finché siamo capaci di vedere ciò che è brutto come qualcosa da correggere stiamo guardando da una prospettiva di superiorità sulla quale siamo appollaiati, distanti come le regali aquile di Zeus. Abbiamo separato da noi ciò che è storpio e l’abbiamo rifiutato in un maldestro tentativo di copertura.

Ma Efesto continua ogni volta a risalire quella montagna e i simmetrici tentativi di rimozione aggravano la separazione e continuano ad ingrassare l’inconscio fino alla creazione di coppie in opposizione: bello/brutto, superiore/inferiore, conscio/inconscio.

Produciamo inconscietà continuamente quando ci difendiamo dal sentirci inferiori (J., Hillman, Le storie che curano, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1984, p.133)

La separazione a cui contribuiamo è profonda tanto quanto la distanza che c’è tra la cima dell’Olimpo e la grotta sottomarina dentro cui si rifugiò Efesto dopo la prima caduta.

Conclusioni

Come superare dunque il complesso di inferiorità?

Dopo aver appurato che all’olfatto di Efesto “migliorare” puzza tanto di “nascondere”, o come direbbe Adler “compensare”, abbiamo visto che il complesso di inferiorità non è un problema che possiamo correggere senza che noi rinunciamo all’Olimpo. Per sollevare ciò che è basso dobbiamo prima scendere.

Una volta scesi nell’interiorità della montagna la fucina diventa il luogo interno dove superiore e inferiore possono fondersi, ma per farlo dobbiamo elevare Efesto alla stessa dignità che riconosciamo a chi vive sul sacro monte. Solo così il dio, nel forno sotto la montagna, nascosto a tutti, potrà avvicinare ciò che è separato, portarlo a temperatura e saldarlo. Con la segreta arte della metallurgia unirà leghe diverse come se fossero amanti.

P.S. CLICCA QUI per leggere la descrizione dell’archetipo Efesto. Che tipo di uomo sei?