Capire tu non puoi, tu chiamale se vuoi emozioni

Se è questa la premessa allora alzo le mani, scherzo!

Ti sei mai rispecchiato nelle sue parole? Io sì!

Per questo motivo sono rimasto attratto da un turgido pensiero: Quali sono le emozioni che attraversano Battisti? Scopriamolo insieme attraverso una riflessione immaginale, ma prima facciamo una breve premessa allo scopo dell’articolo.

James Hillman afferma che tutte le immagini hanno una connotazione archetipica, in quanto ogni immagine è un simbolo che al suo interno raccoglie più espressioni e significati condivisibili e le emozioni non sono altro che immagini che si esprimono con una forma.

Detto ciò, vediamo quelle di Battisti cosa comunicano.

Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi

Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi
Ritrovarsi a volare
E sdraiarsi felice sopra l'erba ad ascoltare
Un sottile dispiacere
E di notte passare con lo sguardo la collina per scoprire
Dove il sole va a dormire
Domandarsi perché quando cade la tristezza in fondo al cuore
Come la neve non fa rumore
E guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere
Se poi è tanto difficile morire
E stringere le mani per fermare qualcosa che è dentro me
Ma nella mente tua non c'è
Capire tu non puoi
Tu chiamale se vuoi emozioni

Nella prima strofa le immagini proposte sono simboli di passaggio. Ad emergere è l’airone, uccello migratore, ma anche stanziale che vola al di sopra di un fiume. Emozioni feconde migrano come l’airone e scorrono come un fiume, facendo il loro corso in un ciclo quasi uruborico che si ripete come le stagioni, così come fa il sole che nel testo, dietro la collina va a dormire per poi ritornare.

Altre immagini nascono dall’utilizzo dei verbi ascoltare e vedere, che Battisti acutizza sia esprimendo il sottile dispiacere che si prova mentre si immagina steso sull’erba sia quando immagina la tristezza come neve che si deposita all’interno del suo cuore senza far rumore. Il messaggio che passa è quello che nessuno ascolta ed accoglie la tristezza che porta nel cuore. Una sofferenza che in apparenza è candida nell’aspetto come la neve, ma che porta il peso di essa come un macigno che non ha intenzione di sciogliersi, che appesantisce il gelo nel cuore del cantautore. Il gelo della neve per un po’ può anestetizzare il dolore, ma con il tempo lascia una sensazione di bruciore simili a quella di un’ustione.

Nel frattempo cala la notte, dopo che il sole che è tramontato dietro la collina ed è predominante un paesaggio buio. L’artista in preda alle emozioni utilizza un’auto, veicolo psicopompico di queste ultime, per scorgere se queste e la sofferenza che ne deriva possano condurlo alla morte, perché ne vive a pieno la forza bruta creatrice, ma anche distruttiva. La morte in quanto cessazione dell’esistenza può addurre ad un duplice risultato: il primo è la cessazione del dolore che però consegue anche l’annientamento.

Cosa vuol fermare stringendo le mani? Questo flusso emotivo, che come sottolinea non può essere compreso dal suo interlocutore perché le emozioni sono qualcosa di profondamente personale ed è forse questo che lo strugge. Tu chiamale se vuoi emozioni: dai un senso a quello che non ti so spiegare.

Uscir dalla brughiera per ritrovar se stesso

Uscir dalla brughiera di mattina dove non si vede ad un passo
Per ritrovar se stesso
Parlar del più e del meno con un pescatore per ore ed ore
Per non sentir che dentro qualcosa muore
E ricoprir di terra una piantina verde sperando possa
Nascere un giorno una rosa rossa
E prendere a pugni un uomo solo perché è stato un po’ scortese
Sapendo che quel che brucia non son le offese
E chiudere gli occhi per fermare qualcosa che
È dentro me
Ma nella mente tua non c’è
Capire tu non puoi
Tu chiamale se vuoi emozioni
Tu chiamale se vuoi emozioni

È mattino, la notte è passata, ma quello stato di confusione permane, difatti esce dalla brughiera, un terreno argilloso, sabbioso dove attecchiscono solo arbusti, all’interno del quale non riesce a vedere ad un passo. È quasi come se si fosse catapultato da un luogo infero ad uno purgatoriale in viaggio verso sé stesso, così come afferma nel testo.

Si ferma a parlare con un pescatore per ore e ore, ingannando l’attesa come farebbe in purgatorio ed è lì per accettare, nonostante non voglia, che qualcosa dentro di lui sta cambiando. Il purgatorio rimanda non solo però ad un luogo di attesa, ma anche al luogo in cui vengono scontati i peccati in attesa di giungere finalmente in paradiso.

Nel contesto psichico potremmo azzardare al fatto che Battisti attraverso le parole del testo stia compiendo quello che in psicologia analitica è definita come la prima fase della terapia, la confessione.

Confessare il proprio stato d’animo è come alleggerire la giara che portiamo sulle spalle, utile se vogliamo ascendere ad una condizione di benessere/”paradisiaca”. Battisti lo evidenzia con la scelta speranzosa di far nascere una piantina che darà vita ad una rosa, simbolo d’amore e di rinascita. La rosa è un simbolo che rievoca nel mito la figura di Afrodite, la quale quando toccò terra, dopo esser uscita dal mare, fece fiorire tutta la terra.

Nel frattempo che coltiva la speranza della rinascita avviene lo scontro che ha con l’uomo scortese, questo è frutto di una sua proiezione, lo riconosce, sa che le emozioni che prova ardono l’animo ed è per questo che chiude gli occhi, quasi come gli bruciassero, non volendosi rendere partecipe, ancora una volta, dello spettacolo delle sue emozioni.

Conclusioni

Le emozioni indicano fasi di passaggio, di crescita, regressione, annientamento e lotta che si manifestano nel ciclo del testo, quasi a testimonianza di un percorso di consapevolezza.

Credo che questo testo sia servito a Battisti come testamento delle sue emozioni, probabilmente quelle che lo contraddistinguevano di più in quel suo periodo di vita, condividendole con noi, nonostante non potessimo capirle a pieno perché profondamente personali.

P.S. CLICCA QUI per leggere La Cura di Franco Battiato

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Info sull'autore

Gerardo Iannaci

Laurea magistrale Psicologia Clinica e della Salute. "Creare è vivere due volte". Albert Camus

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