Il Fare Anima

 

Il titolo di oggi ci mette di fronte ad un dilemma di non facile soluzione: lo psicologo a confronto con i problemi dei suoi pazienti si deve dedicare alla fede archetipica applicandosi nel fare anima o deve entrare nei panni del clinico e fare la psicoterapia?

Psicoterapia e fare anima sono due cose diverse?

L’argomento si capisce in pratica quando lo psicologo si trova a rispondere alle più disparate richieste di aiuto proponendo, quando necessario, un trattamento psicoterapeutico con l’obiettivo di risolvere un dato problema.

Scrive James Hillman: “L’atto del fare anima consiste nell’immaginare: le immagini sono infatti la psiche, la sua materia e la sua prospettiva (…). Il fare anima è quindi equiparato alla deletteralizzazione: quell’atteggiamento psicologico che respinge con diffidenza il livello ingenuo e dato per andare in cerca degli umbratili, metaforici significati ch’essi hanno per l’anima. (…) La psicologia archetipica concepisce la terapia e la psicopatologia come una messa in scena della fantasia (J., Hillman, 1981, Psicologia archetipica, Voce tratta dall’Enciclopedia italiana del ‘900, pp. 819-820-823).”

In sintesi sono delineati i punti su cui si fonda il processo psichico: l’immagine, il suo valore metaforico, la messa in scena come psicoterapia. L’esercizio del fare anima ci mette in condizione di essere in presa diretta con la psiche cercando di vederne i suoi contenuti e permettere che essi si raccontino. A parole è molto affascinante, il principio è semplice: l’immagine ha bisogno di rappresentarsi, quando questo non accade c’è patologia. Fare anima è il modo attraverso cui l’immagine si libera.

Ma funziona così? Questo è quello che accade durante una seduta?

Sarebbe molto bello ma in realtà non è proprio così facile ed immediato, anzi è raro e quasi ideale. Al punto che a volte viene da pensare se lo stesso Hillman abbia mai messo in pratica quello che c’è scritto nei suoi suggestivi libri. Non mi riferisco all’efficacia terapeutica che ritengo assolutamente valida ma alle caratteristiche della situazione terapeutica richieste affinché si possa fare anima nel senso più puro e contemporaneamente soddisfare l’esigenza di aiutare il paziente a stare meglio.

Il Fare Psicoterapia

Umberto Galimberti definisce così la psicoterapia: “Processo interpersonale, consapevole e pianificato, volto a influenzare disturbi del comportamento e situazioni di sofferenza con mezzi prettamente psicologici, per lo più verbali, ma anche non verbali, in vista di un fine elaborato in comune, che può essere la riduzione dei sintomi o la modificazione della struttura di personalità, per mezzo di tecniche che differiscono per il diverso orientamento teorico a cui si rifanno (U., Galimberti, Dizionario di Psicologia, Utet, Torino, 1992, p.780-781)”.

 

Consapevolezza e pianificazione in comune dei risultati, uso della parola, riduzione dei sintomi o cambiamento della personalità, questi i punti essenziali di una psicoterapia comuni a tutti gli orientamenti e metodi. Vediamo che due sono gli aspetti più importanti: obiettivi condivisi e riduzione dei sintomi.

Un paziente che viene in terapia chiede che gli vengano risolti dei problemi, dolori, sofferenze, difficoltà di relazione. Non chiede altro, non è interessato ai complessi processi di trasformazione psichica né ai simboli. Vuole star meglio, non sempre vuole capire perché o come e si affida alle conoscenze dello psicologo. Se non trova benefici si rivolge ad altre forme di cura. Insomma, del fare anima, delle immagini e di tanti altri aspetti della psiche non gliene importa niente. Per questo non possiamo fargliene una colpa né possiamo attribuire alla sua insensibilità la tara che giustifica il suo star male. A volte gli psicologi sono talmente innamorati del loro lavoro che vorrebbero tutti interessati all’interiorità umana ed al conosci te stesso dedicandosi a grandi opere di divulgazione più simili all’evangelizzazione che all’informazione.

In quanto psicoterapeuti e professionisti della salute siamo tenuti ad aiutare il paziente nei limiti del nostro campo di competenza e delle nostre possibilità ed io credo anche a rispettare la beata ignoranza del paziente. Lo dimostra che un buon psicoterapeuta con sufficiente esperienza confermerà che nella sua pratica si trova ad affrontare i problemi dei pazienti su diversi livelli, dal grado più elementare di psicoeducazione fino a sondare le più profonde dimensioni dell’inconscio collettivo, passando per momenti di cui deve favorire il grossolano disinnesco di abitudini o spiegare ed illuminare sulle sofisticate deformazioni dei pensieri automatici. Nella pratica della psicoterapia, quella reale, non esistono confini tra metodi ed orientamenti, ma gradi diversi di accesso alla relazione terapeutica per arrivare a riconoscere e favorire un certo cambiamento psichico. Sarà questo ad essere poi valutato dal paziente come indizio di una psicoterapia efficace.

Il Fare Anima in psicoterapia

Ed il fare anima? Dove risiederebbe? Ho avuto modo di notare che il fare anima emerge durante la psicoterapia. Non sempre. Esso traspare, quando nelle sedute ci si comincia a dimenticare il mondo concreto che esiste lì fuori e le parole di uso comune sono sufficienti a tenere vivo il dialogo. Non c’è più bisogno di ricorrere a strumenti interpretativi, a dizionari dei simboli o a digressioni alchemico-mitologiche. Il dialogo è a dir quasi banale, fisso sull’immediato valore di quello che si racconta ora. È un procedimento di purificazione del linguaggio che apre al rapporto umano ed emerge indipendentemente da chi si ha davanti e dal suo livello culturale. Quando accade s’intuisce con chiarezza che il dialogo psichico è un avvenimento speciale e diverso da tutti gli altri. Per questo se ne riconosce l’utilità e la necessità da cui ne conseguono anche i benefici.

Conclusioni

Espresso in questi termini fare anima non si oppone alla psicoterapia e non corrisponde neanche ad un particolare metodo della psicoterapia psicodinamica. Fare anima è il senso stesso della psicoterapia che può affiorare durante il difficile e duro lavoro di elaborazione di un problema psicologico indipendentemente dall’orientamento metodologico. Questo ci dovrebbe far pensare a quanto ancora poco conosciamo di quello che accade veramente in psicoterapia ed a quanto sia sciocco fare a gara su quale orientamento sia migliore di un altro quando il più delle volte non è chiaro neanche a che gioco stiamo giocando.

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