Psicologo privato o pubblico?

Lo psicologo privato è migliore di quello pubblico! Lo psicologo pubblico non si fa pagare così tanto! Quante frasi come queste avrete sentito o detto. Ma qui, concedetevi due minuti, vi rivelerò qualcosa che generalmente non vi viene detto.

Prima di farlo passiamo in rassegna gli aspetti che differenziano i professionisti del servizio pubblico e quelli privati. Vero è che lo stesso psicologo, posto nel suo studio privato, o in un ambulatorio del Centro di Salute Mentale, non può assolutamente lavorare allo stesso modo.

La formazione dello psicologo e dello psicoterapeuta: differenze tra pubblico e privato

La prima cosa da dire è che non ci sono differenze nella formazione, o meglio che l’accesso ai posti nei servizi sanitari nazionali, richiedono i medesimi titoli che deve avere uno psicologo nel privato. Anzi potremmo dire che tutte le questioni concorsuali obbligano a cumulare titoli in più per lavorare in un servizio pubblico. Ma potremmo anche dire che sostanzialmente non è nei titoli di studio che troveremo particolari differenze. Uno psicologo e psicoterapeuta è un laureato in Psicologia che ha sostenuto l’esame di Stato ed ha effettuato ulteriori anni di specializzazione, non meno di 4, in Psicoterapia.

Non è uno Psichiatra che è medico e è specializzato in Psichiatria. Questo da diritto allo psichiatra al titolo di Psicoterapeuta, anche se non abbia frequentato una scuola specifica di Psicoterapia.

Differenze tra pubblico e privato?

Se non è nei titoli che troviamo grandi differenze, non altrettanto potremmo dire in merito alla logistica. Per accedere a un servizio pubblico il percorso è, infatti, irto di ostacoli. Come per qualsiasi altro esame clinico è necessaria la ricetta del medico di base che prevede, generalmente in ogni regione d’Italia, una prima visita dal medico psichiatra del Centro di Salute Mentale. Sarà poi lo psichiatra a smistare la richiesta agli psicoterapeuti del servizio che, secondo urgenza e disponibilità, effettueranno un ciclo di colloqui.

Il costo dei colloqui non è mai più di un quarto di quelli di un privato, ma se si ha un reddito molto basso, non si pagherà nulla. Il punto è che i tempi di attesa sono quelli che tutti noi sperimentiamo quando prenotiamo una visita clinica di qualsiasi tipo, quindi varieranno di Regione in Regione ma saranno tendenzialmente molto lunghi. Inoltre il comfort dello studio terapeutico risentirà certamente dei limiti del servizio pubblico.

Quanto dura una terapia nel servizio pubblico?

Sembra evidente che uno stesso psicoterapeuta ragionerà in modo differente a seconda che si trovi nel pubblico o nel privato. Nel primo caso dovrà sbrigarsi più che può poiché l’azienda gli richiede questo, ossia di spendere il meno possibile. Nel caso sia un privato si sbrigherà perché è il paziente a chiederlo, oppure non si sbrigherà perché non ha fretta di congedare i pazienti.

Dunque la vera differenza sta proprio nella “Azienda”. Mentre nel servizio pubblico lo Psicoterapeuta deve rispondere alla sua “Azienda”, nello spazio privato deve rispondere solo a se medesimo rispondendo in prima persona. Questo aspetto cambia in modo sostanziale l’assetto terapeutico. Infatti subentra quello che potremmo definire “Transfert Istituzionale” ossia il ruolo degli immaginari e delle responsabilità dell’”Azienda” nel percorso terapeutico.

Un ritardo, una mancata risposta, una certa insoddisfazione verso la terapia andranno a riversarsi sull’azienda sanitaria anche quando questo dovesse riguardare esclusivamente il terapeuta. E questa è una variabile molto complessa perché i motivi che ci irritano della malasanità, irritano anche chi ci lavora. Quindi paziente e terapeuta saranno irritati insieme per gli stessi motivi. Ma mentre il paziente li attribuirà al terapeuta, costui rischierà di riferirli all’Azienda. Il terapeuta vivrà la rabbia nei confronti dell’Azienda che non ha creato le condizioni per una buona terapia.

Il rischio nel servizio pubblico

Paziente e terapeuta potrebbero incastrarsi nel resistere, potrebbero vivere un’inconsapevole collusione che li vede trovare nella ASL un nemico comune. Quindi lo psicoterapeuta che sceglie di lavorare nel servizio pubblico deve fare uno sforzo in più, quello di farsi carico delle inadempienze dell’Azienda come fossero le proprie. Un paziente deve fare altrettanto, sforzarsi di vivere le conflittualità con l’Azienda come una proiezione della propria costellazione psichica interna.

Un paziente che ha una infiammazione al crociato sinistro non dirà mai che quella infiammazione è dovuta al ritardo nel fare una risonanza. L’infiammazione era il motivo per cui aveva richiesto quell’esame. Similmente dovrebbe succedere in psicoterapia. Ma la psicoterapia è una prestazione che si rivolge a chi ha sofferenza nelle relazioni, sia essa perché si è depressi, ansiosi, bipolari o altro.

La psicoterapia è soprattutto relazione

La psicoterapia è un percorso in cui si mette in scena il proprio prototipo relazionale e si cerca di trovare una via per una felice convivenza col mondo e col proprio prototipo relazionale.

Il terapeuta svolge soprattutto questa funzione di specchio e di partner di quel prototipo. Se si giunge in un servizio pubblico si insinua un “Terzo” nella relazione che richiede uno sforzo molto più corposo nella gestione della dinamica terapeutica. Non tutti i terapeuti sono in grado di gestire questa complessità e spesso questo conduce alla cronicizzazione.

Conclusioni

Chi più spende meno spende. Spesso ci nascondiamo dietro l’assenza di risorse per non andare in terapia ma a volte è una carenza effettiva. Quindi se vogliamo usufruire dei servizi pubblici dobbiamo armarci di:

-Pazienza per l’attesa. Potrebbero passare anche mesi prima di vedersi prendere in carico.

-Pazienza nella possibilità di decidere la durata. Spesso non si va oltre sei mesi e sentirsi dire che non si è gravi, o che si deve iniziare a pagare il ticket perché non lo si è abbastanza è certamente un pelino disorientante.

-Di lucidità col terapeuta e, laddove si dovesse scusare per il ritardo, o per altre questioni rinviando al CUP, al DSM, al CSM, al collega o a chiunque altro, chiedere lui di metterci la faccia perché noi siamo andati da lui.

Un terapeuta del servizio pubblico si deve identificare con l’azienda facendosi carico di ciò che non va in prima persona, oppure potrebbe lavorare privatamente.

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Info sull'autore

Luca Urbano Blasetti

Psicologo e Psicoterapeuta; Dottore di Ricerca in Psicologia Dinamica sul tema Creatività e sue componenti dinamiche; Responsabile del Centro Emmanuel per Tossicodipendenti di Rieti presso cui cura diversi progetti regionali; autore di diverse pubblicazioni psicologiche; lavora nel suo studio.

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