Joker e la chiamata del Daimon

Questo film mi ha travolto. La prova di Joaquin Phoenix come Joker è qualcosa da ricordare, un’emozione che rimarrà impressa per sempre nella mia memoria. Per questo motivo ho deciso di farne una lettura immaginale.

La vita di Arthur Fleck è un dipanarsi di eventi che portano a mostrare l’opera completa del maestro attraverso le due pennellate finali di mani, intrise di sangue, che disegnano un sorriso che consacrano Joker alla nostra memoria.

That’s life, questa è la vita, questo dice la gente, ma io so che posso cambiare questo ritornello.

Questa è la vita, ed è divertente come può sembrare, alcuni prendono a calci i sogni, ma io non mi abbatterò.

Sono stato un pupazzo, una marionetta ma mi rialzerò

Questa è la vita e ho pensato di farla finita, ma se non pensassi che vale la pena provarci un’altra volta mi sarei già buttato da un grosso uccello. (F.Sinatra)

Mi perdonerete se questa non è la versione letterale della canzone That’s life di Frank Sinatra, ma è quella parafrasata e canticchiata dal protagonista del film diretto da Todd Phillips.
Un primo piano sul viso potente di Joaquin Phoenix e il “cattivo seme” di Joker è dato alla luce.

Arthur è un clown fallito che sa di poter cambiare il ritornello della sua vita, ma non sa come. Una vita divertente durante la quale, nonostante i calci che riceve, il protagonista non si abbatte mai. Rimane vigile ad attendere la chiamata del Daimon. La simpatia che ispira fin da subito questo personaggio deriva proprio dal sentirci come lui: presi a calci dalla vita, senza abbatterci mai, cerchiamo di andare avanti a qualunque costo.

Arthur ci prova e ci riprova, fino a riuscirci, fino a che Joker emerge archetipicamente dalla sua personalità.

Joker racconta la chiamata del Daimon. Un film crudo e allo stesso tempo poetico che ci conduce all’interno della follia, una follia qualunque, e allo stesso tempo una follia di tutti.

La parte peggiore di avere una malattia mentale è che le persone si aspettano che ti comporti come se non l’avessi. (Joker)

Dal punto di vista immaginale tutti abbiamo una malattia mentale inascoltata o – più genericamente – una parte inascoltata di noi. Ed è proprio grazie ad essa che il film ci ha tenuti incollati alle poltrone della sala cinematografica con il magone nel petto e la sensazione di familiarità di quei sentimenti.

Dunque, se il film è il racconto della chiamata del destino, c’è una domanda che ci sorge subito spontanea…

Il cattivo seme

“Lei non mi ascolta. Sono soltanto negativi i miei pensieri”

La domanda è la stessa che si pone James Hillman: e se il nostro destino fosse quello di compiere atti malvagi?

La Psiche non è morale, non è karmica o cristiana, bensì è daimonica e immaginale; per l’Anima non esiste il bene o il male.
La psicologia soffre di innocentismo o di liberazione dalla malvagità, tuttavia non esiste una Psiche innocente. La Psiche è corrotta, malata, spietata come la natura, perché la Psiche è Natura e proprio per questo è poetica.

La ghianda si manifesta non soltanto come angelo che guida, ammonisce, protegge, consiglia, esorta e chiama. Si esprime anche con una violenza implacabile, come quando svegliò Hitler nel cuore della notte e lo fece tremare dal terrore, un terrore che non risulta in altre situazioni, in trincea, dopo l’attentato del luglio 1944, negli ultimi giorni nel bunker. Le uniche reazioni in qualche modo paragonabili sono le crisi isteriche che lo prendevano durante i comizi, quando si contorceva come un ossesso ammaliando le folle, e le sfuriate che faceva quando veniva contrastato. (J.Hillman, Il codice dell’anima, p.296)

Quando il daimon chiama è difficile resistere alla chiamata, anzi probabilmente non è possibile. Possiamo avvertire delle sensazioni di inadeguatezza quando non lo ascoltiamo e veniamo meno al daimon, possiamo aver paura di non essere all’altezza della chiamata e della sua compulsione maniacale.

Ciò nonostante, più il daimon non viene ascoltato più esso verrà fuori prepotentemente mostrandosi in modo archetipico coinvolgendo tante più persone quante ne sono possibili.

Nel caso di Joker è palese quanto la sua chiamata sia archetipica e coinvolga tante persone (i clown in rivolta) come se tutti stessero aspettando proprio l’emergere di quell’archetipo Clown e ne avessero bisogno.

Cosa vuole da noi l’immagine del Clown?

Il clown

“Mia madre mi diceva che avevo uno scopo: portare risate e gioia nel mondo”

Il mondo del clown è il mondo della baldoria quindi del rebellare ovvero della ribellione.

In Joker la ribellione è un’esigenza che traspare durante tutto il film e che aderisce perfettamente al simbolo che inconsapevolmente nasce. Il clown è quindi metafora di ribellione, sia personale, sia collettiva.

Agire concretamente il clown letteralizza la guida al mondo infero. Lo spirito comico ci può condurre laggiù, ma non siamo noi la guida: noi non siamo l’Arlecchino, il Briccone o Ermes Psicopompo e neppure il Clown. Lo spirito comico si mostra in maschera in tutte le cose che facciamo e diciamo; siamo noi stessi una burla e non c’è bisogno di infarinarci la faccia.
Non si tratta di diventare un clown ma di imparare la sua lezione: farne un’arte delle nostre insensate ripetizioni, dei nostri capitomboli e delle nostre patologizzazioni, indossare la maschera della morte che apre la porta al mondo onirico e osservare come esso trasforma in immagini sorprendenti gli oggetti quotidiani e in oggetto di risate la nostra persona pubblica.
Si segue il clown nel circo entrando in una prospettiva di ribellione contro l’ordine del mondo diurno; una ribellione senza causa e senza violenza. Mettendoci a testa in giù, deletteralizziamo, nelle più piccole cose che diamo per scontate, tutte le leggi della fisica e tutte le convenzioni della società. Attraverso il clown entriamo nella prospettiva dell’anima fantastica; il clown come psicologo del profondo. Pensate un po’: Freud e Jung, due vecchi clown. (J.Hillman, Il sogno e il mondo infero, p.223)

Nel film di Phillips, vediamo la letteralizzazione del Clown, la discesa concreta nel mondo infero. Tutti diventano clown.

Riusciamo ad ascoltare il messaggio del clown che è in noi? O siamo sordi ad esso e lo facciamo diventare un mostro?

Siamo tutti clown

“Per tutta la vita non ho mai saputo se esistevo veramente. Ma esisto e le persone iniziano a notarlo”

La malattia mentale è spesso inascoltate e noi stessi ripudiamo con forza il nostro essere folli. Ci può capitare di sentirci inautentici e incompleti ma, nonostante tutto, persistiamo nel rifiutare il matto che è in noi.

Quando ascoltiamo il Clown significa che ci affidiamo ad una guida infera che ci chiede ribellione.

Siamo in grado di ribellarci alla vita? Non la vita che ci è stata proposta, ma la vita che ci siamo imposti? Se la vita che ci siamo imposti ci fa soffrire, fino a che punto siamo disposti ad arrivare per essere felici e trovare noi stessi?

Il clown della DC è pronto a tutto pur di sentirsi felice.

Conclusioni

La risata di Joker

Murray un piccolo favore, quando mi fai entrare mi annunceresti come Joker?

Da Oscar è la risata di Joaquin Phoenix mentre interpreta il suo intenso Joker.

L’evoluzione del Cattivo seme viene raccontato proprio attraverso l’immagine acustica della risata, una risata che muta nel corso del film.

Il riso è un dono regalatoci dagli dei stessi per permetterci di scoprire improvvisamente l’altro lato delle cose.

La risata di Joker da drammatica si trasforma in divina e archetipica, simbolo della sprezzante distanza tra gli déi e la pochezza umana.

Mia madre diceva che avevo uno scopo nella vita: portare risate nella vita delle persone. Joker alla fine del film trova finalmente il suo scopo: portare l’essenza della risata nella vita degli altri. Quando Joker entra nella nostra vita, ci rivoluziona, ci scompone, ci sconvolge con il suo ridere folle.

Noi siamo pronti ad accogliere la sua follia? O la imprigioneremo con il guardiano notturno che è in noi?

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Info sull'autore

Michele Mezzanotte

Psicoterapeuta, Direttore Scientifico de L'Anima Fa Arte. Conferenziere e autore di diverse pubblicazioni.

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