Cosa vede e sente il paziente oltre il confine dello schermo e delle cuffie?

In questo periodo d’isolamento stiamo traendo beneficio dalla tecnologia informatica usando Internet per colmare le distanze dando nuova linfa al dialogo online. La consulenza psicologica in videochat e la psicoterapia online hanno impedito l’interruzione di un servizio ora più che mai utile valorizzando le sue potenzialità. Il rapporto tra psicologo e paziente non subisce particolari menomazioni con il setting online, cambiano piuttosto gli elementi sui quali si possono applicare le stesse attenzioni di un setting reale. Anzi, per certi versi alcuni potrebbero aver rilevato un’atmosfera più favorevole all’apertura come se l’interfaccia digitale generasse nel paziente un maggior grado di riservatezza. Un aspetto imprevisto e nuovo che mi ha portato a fare ulteriori e più ampie riflessioni.

Chi è cosa o cosa potrebbe essere uno psicoterapeuta?

È possibile che in un futuro non troppo lontano i trattamenti psicologici non solo saranno fatti online ma potranno essere effettuati da intelligenze artificiali? Al di là del fatto se un’AI possa a tutti gli effetti sostituire uno psicologo nelle sue funzioni di consulente e terapeuta, sicuramente potremmo pensare che per alcuni aspetti essa potrebbe supplire o costituire uno strumento di complemento se non una forma diversa di approccio psicologico. Vediamo come.

Eliza

L’idea non è affatto originale, già a partire negli anni sessanta se ne discuteva con un ottimismo molto più entusiasta di oggi. Nel 1966, Joseph Weizembaum, un informatico del Massachusets Institute of Technology elaborò un programma che chiamò ELIZA. Lo scopo del programma era quello di simulare un interlocutore artificiale prendendo a modello la tecnica di dialogo di uno psicoterapeuta rogersiano.  La scelta fu dettata dal modo in cui Carl Rogers suggeriva di accogliere il paziente. Attraverso un atteggiamento in apparenza ingenuo e ignorante del mondo il terapeuta rimandava al paziente frasi che ripetevano in modo meccanico quello che il paziente diceva. Ciò favoriva un’apertura del paziente che lo rendeva meno suscettibile al giudizio e più libero di esprimersi. Una tecnica adoperata anche da Milton Erickson  chiamata truismo: condividere contenuti ovvi e luoghi comuni per lasciare emergere i contenuti inconsci.

Il programma ELIZA dava la possibilità di poter mantenere una conversazione che in effetti forniva all’interlocutore l’idea di approfondire il discorso e di entrare in una confidenza più profonda al punto da attivare il fattore terapeutico, una riflessione rivelatrice di un’intuizione creativa. Il programma ebbe enorme successo al punto che tre insigni psichiatri del tempo scrissero sul Journal of Nervous and Mental Disease: “ELIZA poteva diventare uno strumento terapeutico largamente utilizzato nelle cliniche psichiatriche in caso di carenza di personale. Un sistema informatico di questo tipo potrebbe arrivare a gestire varie centinaia di pazienti all’ora (in N. Carr, Internet ci rende stupidi? Raffaello Cortina Ed., Milano, 2011, p. 243)”. Il fascino che produceva ELIZA non perdeva potere neanche quando si palesava all’utente il modo mediante cui il programma elaborava le risposte. Sembrava che questo non inficiava le riflessioni tanto che Weizenbaum prese ad esempio la sua segretaria. Benché conoscesse il programma una volta fu spinta a chiedere all’informatico di essere lasciata sola con il computer perché aveva bisogno di parlare con lei/lui in intimità. Cosa accadde poi? Siamo ai primordi dell’informatica e questi programmi con il tempo si persero nell’evoluzione del computer verso le strade che conosciamo oggi, ELIZA finì per essere ridotta ad un giochetto verbale e non fu più implementata.

Cosa era ELIZA?

Oggi sappiamo bene che nome darle: è un chatbot, un programma di AI che risponde a domande specifiche. I più famosi chatbot oggi li vediamo sul nostro pc, Cortana, oppure con la più nota Alexa. Ne esistono anche di psicologici come l’app Woebot e tantissime altre applicazioni di dubbio valore ma comunque esempio di una strada ormai aperta.

Perché ELIZA era così affascinante?

E aggiungo, perché oggi l’idea di uno psicologo sintetico ci appare così limitata e ripugnante? Penso che ai tempi di ELIZA, il rapporto con le macchine era ancora colmato da un’attrazione misteriosa e inquietante al punto che questo permetteva di vedere la presenza di qualcosa di realmente psichico.

Il potere di ELIZA e di qualunque chatbot non sta nella complessità della programmazione ma nel contesto in cui viene applicata e nel meccanismo psichico che scatena. Sembra strano, ma queste tecniche psicologiche erano usate già da molto tempo prima dell’invenzione dei computer. ELIZA già esisteva da secoli!

La psiche si rivela tramite le proiezioni

Ricordiamo Wilson, il pallone che Tom Hanks trasforma in amico per sopportare l’isolamento sull’isola sui cui naufraga nel film Cast Away (2000, Regia di R. Zemekis)? Coprendolo con il suo sangue e dandogli un volto, il pallone da volley della nota marca si trasforma in un idolo con il quale il protagonista stabilisce un rapporto al punto che quando se lo perde nel mare ci sembra di assistere veramente alla separazione di due amici.

L’attività psichica ha bisogno di un supporto su cui proiettarsi.

Fin dall’antichità preistorica gli esseri umani hanno usato statue e feticci per stabilire un dialogo psicologico con se stessi. Tramite i riti di divinazione e tramite le scienze religiose, tutte le civiltà hanno elaborato dei sistemi per creare un dialogo con le parti psichiche inconsce. Infatti possiamo trattare con le immagini solo attraverso dei sistemi proiettivi che ci permettano di creare una dissociazione tra l’Io cosciente e il mondo immaginale.

ELIZA e Wilson sono la stessa cosa

 Senza rendersene conto Weizembaum aveva messo in atto con ELIZA un processo psichico di autoconoscenza non tanto diverso dai metodi oracolari praticati nei santuari di Delfi nell’antica Grecia. L’intuizione di usare una tecnica psicoterapeutica si è rivelata geniale ma probabilmente non sarebbe stata sufficiente per sviluppare il progetto come oggi non è sufficiente creare un chatbot per fare una seduta di psicoterapia. Si aggiunge poi l’attenzione diversamente orientata nei riguardi dell’AI. Le ricerche hanno dato più importanza all’idea di creare un’intelligenza sintetica più che di approfondire la relazione psicologica con l’utente. Per cui si è più interessati a vedere se un’AI pensa come un essere umano invece di  sviluppare l’AI per esplorare la psiche. Un aspetto questo che è stato spostato sulle  ricerche fatte con la realtà virtuale anch’esse poi oscurate dall’avvento della cultura social.

Conclusioni. Lo psicologo come uno specchio

Le funzioni che assolve uno psicologo sono numerose. Ci siamo qui concentrati sulla funzione esplorativa e rappresentativa dell’attività psichica. Un psicologo aiuta a vedere e leggere il dato psichico del paziente. Attività che lo rende simile ad uno strumento ottico a metà tra un telescopio/microscopio e uno specchio. L’AI nella sua forma d’interlocutore digitale potrebbe assumere queste funzioni, aiutare e favorire una migliore rappresentazione del dato psichico. Essa permetterebbe di favorire il processo del dialogo interiore in una condizione esteriorizzata e attiva al punto da diventare come una reale seduta. Opportunamente sfruttata, non di certo lasciata in mano dell’utente in modo sconsiderato, potrebbe aprirci a nuovi scenari non troppo diversi da quelli dei sogni o di altri strumenti già consolidati come il gioco della sabbia o le tecniche d’immaginazione attiva.