Quale sarà la fase 2

In questi giorni si sta molto parlando della fase 2. È lo stesso presidente Conte che affaccia l’ipotesi di questa successiva fase a partire dal 4 maggio e ne farà annuncio ufficiale questo fine settimana. La fase di convivenza col virus sembra diventare più una realtà piuttosto che un’utopia. Vi starete chiedendo però di quale fase 2 si andrà parlando se ancora non si conoscono le specifiche e le modalità organizzative? Innanzitutto di una fase 2 psicologica che inevitabilmente tutta la popolazione dovrà affrontare e che va oltre la mera organizzazione economica e politica. Ciò che gli esperti e le innumerevoli task-force opereranno è già nell’aria e viene trasportato dalle medesime goccioline che contengono il virus. La fase 2 è preludio di una convivenza ma sarà una semplice convivenza solo col virus stesso? Oppure sarà una convivenza di altra natura?

Il racconto di queste fasi di pandemia si offre a innumerevoli linguaggi e in questo scritto useremo metafore del mondo medico, abbandonando quindi l’epopea guerresca. Possiamo immaginare questo periodo al pari di una caduta. Siamo inciampati, consapevolmente o meno, e qualcosa di noi nell’urto si è rotto. Come accade in questi casi, l’arto è stato medicato, ingessato ed ora inizia il tempo della riabilitazione. Proviamo a seguire, nel dettaglio, questo racconto.

Fase 1: dalla caduta alla medicazione

L’umanità si è ritrovata impreparata alla pandemia. Si è vista scoperta e vulnerabile. Una frattura rientra nell’ordine dell’inatteso, il non programmato e non programmabile. È una rottura col passato. La frattura rompe un flusso di continuità. Divide il tempo. Crea un attimo diverso da tutti gli altri che si eleva, per questo, a momento essenziale. Da quell’attimo in poi esiste un prima e un dopo. Diciamo un punto zero da cui ripartire con la conta del calendario. È quello che facciamo tutti i giorni, in continuazione. “Come ero” contrapposto a “come sono oggi”. Un lavoro continuo di rimembrare, rieditare, ricordare per non dimenticare. Sempre vivo nella testa, per averlo vivo anche nelle membra. Si piomba a terra, scontrandosi con il proprio ideale di onnipotenza e indistruttibilità.

Tutti doloranti, abbiamo avuto bisogno di una medicazione. Siamo andati in ospedale emaciati, seduti vicino a coloro che hanno ricevuto la stessa sorte dal destino. Quando è arrivato il nostro turno, il medico prima ha ricomposto i pezzi fratturati insieme, li ha sistemati nella giusta posizione per fa si che tornino a saldarsi correttamente e li ha ingessati. Più e più bende imbevute sono state abilmente posizionate fino ad assumere una forma vagamente anatomica. Il gesso è una protezione che riduce dolore e gonfiore mitigando i possibili spasmi muscolari che potrebbero generarsi. Fatto di creta, contiene, immobilizza, gli spostamenti sono limitati. È ciò che è accaduto dalle misure di quarantena. Siamo tutti più immobili confinati nelle nostre case che ritornano ad essere gli antichi luoghi di protezione. Gli spostamenti nel mondo esterno sono stati limitati ai soli casi necessari e indispensabili e anche quei pochi movimenti sono diventati terribilmente più pesanti, più goffi, con la mente che si riempie di stimoli provenienti dall’ambiente esterno sentito terribilmente pericoloso.

La fase 2 come riabilitazione

La fase 2, invece, sarà una mediazione ragionata tra riapertura delle attività produttive e attento monitoraggio del rischio contagio. Una mediazione ancora infarcita di mascherine, guanti, gel disinfettante e rispetto delle distanze di sicurezza. Ciò che è stato messo in pieni online, funzionale o meno che sia, rimarrà in remoto e quello differibile continuerà ad essere differito. Ciò che non può essere rimandato però è il nostro atteggiamento nei confronti della fase 2. Il mondo che ci ritroveremo ad abitare non sarà lo stesso che rieditiamo nei nostri ricordi perché il dolore della frattura porta inevitabilmente ad un cambiamento di postura.

All’avvio della fase 2 sarà il momento per il nostro metaforico racconto di togliere quella barriera protettiva e controllare se l’osso si è risaldato correttamente. Se così fosse si lavorerà sullo sciogliere l’articolazione per tempo tenuta legata, altrimenti l’unica maniera è quella di rompere nuovamente la saldatura errata. Chi ha indossato per diverso tempo del gesso per risanare un osso, sa che tolto il gesso rimane la paura di utilizzare l’arto menomato. I movimenti sono perlopiù traballanti, spauriti e ci si muove a tentoni sempre vicini a piani d’appoggio per non incombere in un’ennesima caduta. Questo sarà il nostro approccio alla fase 2. Un approccio pregno di paura nell’esplorare un mondo che stentiamo a riconoscere. La postura che andremo ad assumere sarà ancora rigida. Desidereremo ancora di indossare almeno un tutore o qualche altra forma di protezione possibile. Già stiamo allestendo tutti i luoghi di incontro e scambio al pari di sterili sale operatorie con distanziatori, plexiglass, gel distribuiti all’ingresso e all’uscita. Affoghiamo il nostro senso di insicurezza nelle disposizioni di sicurezza diramate dai governatori così dettagliate da essere ossessive e ci affidiamo speranzosi alle cronache della protezione civile pregando che i numeri non cessino di calare.

Conclusioni

Qui si è parlato per metafore, similitudini. La psiche è il regno dell’immaginale, del “come se”, la psiche parla poeticamente e viene scossa nelle poesie ricercandone, lì, dove sembra non se ne possano proprio trovare. Allentata la rigida quarantena, sarà da ritrovare la poesia nella desolazione che ci circonda e nella paura che questa infonde.

Si perché in un mondo che elogia il coraggio, qui si esalta la sua controparte ritenuta meno nobile. La paura, pur non essendo piacevole, è un’emozione vitale. Un sentimento ancestrale, il cui fine è la sopravvivenza, universale a tutti gli umani e così fondamentale da aver spinto il popolo dei Pintupi dell’Australia occidentale a coniare quindici termini per identificare tutte le sue possibili sfaccettature. Attraverso la paura tastiamo il terreno (il termine paura rimanda sia a spavento che a pavimento) per sentire se la terra sotto di noi è in grado di reggere il nostro peso e se quel luogo è esente da pericoli. Permette al nostro corpo di essere in allerta, pronto alla difesa.

La paura può essere il nostro più grande alleato e salvarci da pericoli mortali, eppure parliamo di lei come di una nemica, che arriva come un ladro, fa deragliare il pensiero razionale, infiamma le ansie latenti, impedisce le azioni risolute. (T. Watt Smith, Atlante delle emozioni umane)

La paura che dovremo cullare e tenere stretta è quella di cadere di nuovo nella pandemia, che sarà la stessa che ci farà dubitare della sanità dell’amico e che continueremo a tenere a distanza perché vedremo in lui tracce dei più antichi untori pestilenziali. Il medesimo sguardo persecutorio sarà rivolto anche verso di noi giacché potremmo, noi stessi, indossare la medesima maschera medioevale. La convivenza è vedere il nemico nell’amico e vedersi nella medesima maniera. Seppur siamo continuamente mossi dalla scissione del bene dal male, solo l’atto di metterli insieme qualifica l’essere umano.

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Info sull'autore

Barbara Mazzetti

Psicologa e Specializzanda in psicoterapia ad indirizzo analitico; Collaboratrice presso il Centro di Rieti dell’Associazione Comunità Emmanuel onlus; Autrice di saggi e articoli storico-psicologici.

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