Lo scandalo della prostituzione

Un fenomeno che la psicologia dovrà analizzare: molti, con le prostitute, “ci vogliono parlare”. (Antonio Castronuovo)

Nel 1865 un quadro diede scandalo. Un pittore francese scardinò dei pilastri dell’arte dell’epoca, per riportarne le fondamenta alla realtà del quotidiano.

Il tema centrale dell’opera è la nudità e con questa la contraddizione del rapporto fra prostituzione e pudore. Una contraddizione potente, che ha dominato e domina la nostra società. La prostituzione e la mercificazione del corpo. Uomini e donne che pagano per avere ciò che non hanno nelle loro relazioni. E magari sono le stesse persone che spesso si ergono a paladini e paladine del buon costume.

Si dice che la prostituzione sia il mestiere più vecchio del mondo. Se questo fosse vero, vorrebbe dire che da secoli l’umanità ha avvertito la necessità di portare fuori da una relazione sentimentale pulsioni sessuali di varia natura. Nell’arte la prostituzione è stata rivestita di tanti significati, a volte romantici, a volte di biasimo. In questa sede non mi soffermerò sulla tratta degli esseri umani, su quanti, donne, uomini, bambini vengono costretti alla schiavitù sessuale. Lo sfruttamento è e deve essere visto come un crimine.

La prostituzione è un fenomeno psicologico che ha degli attori, che, se liberi e consapevoli, ha sfumature psicologiche potenti. Manet e la sua Olympia ci guideranno nel ragionare sulla prostituzione e sui suoi significati archetipici.

La periferia della prostituzione

Famiglie in cui le lenzuola erano (in genere) pulite solo perché i maschi potevano sporcare quelle dei bordelli, dove peraltro imparavano a fare l’amore senza complessi e timidezze, i bordelli essendo le uniche istituzioni italiane in cui la tecnica venisse rispettata e la competenza riconosciuta.(Indro Montanelli)

Fabrizio de Andrè ha raccontato le storie di prostitute con sembianze angeliche, con capacità salvifiche. “Dai diamanti non nasce niente; dal letame nascono i fiori”. Basterebbe questo verso per riassumere il senso delle righe che state leggendo.

La prostituzione è stata sempre considerata un fenomeno delle periferie, qualcosa da tenere ai bordi della città. Uno dei tanti fenomeni da confinare lontano dagli occhi della coscienza. Non solo perché le pulsioni più nascoste di ciascuno di noi sono fonte di vergogna. Mercimoniare il proprio corpo è da sempre visto come un comportamento fuori norma, fuori dai costumi condivisi. Altrettanto, la prostituzione è associata al corpo delle donne, con l’uomo a esserne cliente. In realtà, nella prostituzione risiede l’assenza di differenza di genere. Uomini e donne sono egualmente oggetto del desiderio altrui. Un desiderio talmente viscerale e oscuro dal non poter essere espresso nelle relazioni di coppia.

In tempi passati, gli uomini venivano iniziati alla sessualità nelle case chiuse, in luoghi in cui il proibito diventava lecito. Erano luoghi di riti di iniziazione, riti di passaggio, che, troppo spesso, svilivano non solo la potenza sentimentale di un rapporto sessuale, ma anche la figura umana del partner. Ma erano luoghi da tenere chiusi, separati dal mondo esterno. Luoghi che lo Stato doveva regolamentare ed autorizzare, una sorta di zona grigia in cui la morale pubblica assumesse una tregua.

Le case chiuse diventavano così microcosmi per le pulsioni degli uomini, unici autorizzati a concedere spazio ai loro desideri sessuali. “Peccato di pantalone, pronta assoluzione” era la frase ripetuta ai soldati della Grande Guerra che potevano usufruire delle prestazioni delle prostitute autorizzate nelle periferie della donna. Una canzone degli alpini della Grande Guerra racconta di una prostituta che per gli uomini al fronte diventava “sorella, mamma e bocca canterina”, una donna che nella sua corporeità apriva uno spazio di accoglienza. Il Femminile benigno, attraente, confortante e intrigante. Doti e qualità da poter comprare pur di averle. Doti che comunque erano e sono relegate alla periferia.

Manet, Olympia e il gatto nero

Togli le prostitute dalla società e ogni cosa verrà sconvolta dalla libidine. (Sant’Agostino)

L’arte ci viene in aiuto nello scoprire una luce in un fenomeno che guardiamo con occhi perplessi, gli stessi occhi con cui il senso comune guarda alla sessualità.

Manet raffigura una donna del tutto nuda. Una donna che, seppure abituata a fare del proprio corpo la propria fonte di guadagno, copre con la mano l’organo genitale. Una donna che fissa lo spettatore: non si vergogna di sé e del suo lavoro. Ma, comprendo la sua vagina, copre i suoi sentimenti. Ci dice che lei, nel suo lavoro, non sta negando la sua persona, i suoi sentimenti. Fa la prostituta, ma ciò non la priva del suo essere Donna. Lo sguardo di Olympia è la fierezza della libertà.

Ai piedi del letto, possiamo scorgere distintamente un gatto nero, con la schiena dritta e la coda lievemente ondulata. Il gatto nero è un simbolo potente, troppo spesso associato al male e alla sfortuna. Nella simbologia medievale veniva associato alle streghe e ai loro malefici. Nella psicologia archeitpica, raffigura il femminile, con la potenza instintuale e attraente. In molte culture orientali è simbolo di benessere, di tranquillità. Nella cultura egizia, il gatto era visto come un animale in grado di attrarre su di sé la negatività, liberandone gli esseri umani. Ma perché Manet contrappone un gatto nero a una prostituta? È lo schiaffo principale dell’opera, una sberla ai benpensanti. Manet urla ai suoi spettatori: “Non vergognatevi della nudità, non vergognatevi delle vostre pulsioni. Accoglietele e trovate il modo per integrarle nella vostra vita, senza procurare danni ad altri”.

Le prostitute di De Andrè

Dai diamanti non nasce niente; dal letame nascono i fior (Fabrizio de Andrè)

De Andrè è l’artista che meglio di ogni altro ha colto la potenza psicologica della prostituzione.

Nel suo capolavoro Bocca di Rosa, ha colto ogni sfumatura possibile. Ha disegnato una donna libera che metteva il suo amore sopra cosa. Una donna che “senza pretese, portò l’amore nel paese”. Una donna che, costretta a lasciare la città per furto d’amore, si trasferisce in un luogo nuovo, dove “il parroco, che non disprezza, la vuole accanto in processione”. E se l’amore avesse bisogno di una corporeità? Se l’amore avesse bisogno di un luogo fisico per esprimere le proprie pulsioni? Se tutto ciò che rientra nell’unione di amore e sessualità fosse davvero esprimibile nelle nostre vite sentimentali, ecco che la prostituzione di de Andrè non avrebbe più fonte di vita. Bocca di Rosa ha messo a nudo l’incapacità che troppo spesso abbiamo di amare, di concederci alle nostre pulsioni, di dare alle nostre pulsioni uno spazio comunicativo, sano.

In Via del Campo, un altro capolavoro musicale, de Andrè fa un inno alla donna, al Femminile. La “puttana”, il disprezzo personificato, diventa terreno fertile per i fiori, diventa strada per il paradiso. Un altro schiaffo ai nostri tabù. Un ennesimo inno all’amore.

Conclusioni

Le prostitute sfruttano la stessa disposizione polimorfa, cioè infantile, ai fini della loro professione e, considerando l’immenso numero di donne che esercitano la prostituzione o che dobbiamo supporre in possesso di una tendenza alla prostituzione, senza tuttavia esercitarla diventa impossibile non riconoscere che questa stessa disposizione a perversioni di ogni genere è una caratteristica umana generale e fondamentale. (Sigmund Freud)

L’amore e la sessualità sono arti.

Sono arti psicologiche, colme di simboli, di significato. Sono ossigeno per la vita dell’anima. Possono avere un ruolo benefico solo se accompagnate dalla consapevolezza. Sono figli della libertà e della capacità di dialogare con il nostro Io, con la nostra Ombra.

Chiunque sfrutti la sofferenza dell’altro, perpetua la sofferenza e continua a far vivere l’oscurità. Tuttavia, essere consapevoli dei nostri tabù, dialogare con le nostre pulsioni, sono strategie indispensabili per raggiungere un equilibrio di benessere.

La prostituzione è un tabù che getta le sue radici nella incapacità di navigare nel mare profondo delle nostre relazioni sentimentali. Nel mare in tempesta delle nostre Ombre, possono ergersi fari di accoglienza. Fari che alcuni artisti hanno disegnato. Fari che possono essere nelle periferie del senso comune, ma che possono vivere nella sincerità delle nostre relazioni. La consapevole libertà sarà sempre il tratto decisivo.

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Info sull'autore

Teresa Di Matteo

Psicologa, Psicoterapeuta in formazione

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