La riproduzione di un quadro mi è più che sufficiente, non mi interessa vedere gli originali più di quanto mi interessi leggere libri sui manoscritti dei loro autori (Magritte)

Per salvare Banksy dalla bancarotta vorrei raccontarvi delle annose ricerche che feci all’Università. Vorrei raccontarvi come, quasi disperato, iniziai a cercare l’evidenza del fatto che l’opera d’arte originale susciti ed evochi un vissuto estetico più denso e intenso di quanto non faccia una riproduzione digitale. Di come la firma la valorizzi. Vorrei ma questa non è la storia gloriosa del valore delle firme sulle opere originali di noti artisti, piuttosto è la triste, ma democratica, storia di un’immagine che, se non ha firma, allora si rende disponibile gratuitamente a tutti noi. E dalle mie ricerche tornai, d’accordo con Renè, sul fatto che l’originale non nutre l’estetica ma l’etica o la moda… ora vi dico

I difensori di Banksy e della firma sulle opere

Quanti hanno scritto su questo. Sono tanti e li cito in volo planato… Benjamin nel 1955 affermava che ogni opera possiede un “aura” nella sua versione originale che manca in qualsiasi riproduzione. Battin e Currie aprirono un dibattito negli anni 80’ in merito a quanto affermato dallo stesso Magritte, ossia che non abbiamo bisogno del manoscritto originale per apprezzare un’opera. Gombrich negli anni 60’ e Mulas negli anni 70’ si sono prodigati nel diffondere l’idea che fotografare un’opera significa modificarla poiché il fotografo non osserva con occhio neutro e le lenti ne risentono. Hall nel 1966 difendeva il diritto a un rapporto intimo con l’originale mentre Wharol, denunciando la massificazione dell’arte, evidenziava come la riproduzione incidesse sella densità estetica del pezzo unico… Ah quanto si potrebbe andare avanti. Ma alla fine, l’anonimato di Banksy cosa ci suggerisce?

Perché Banksy non ha firmato le opere

Direi che due sono le anime di questo artista. Una è quella del mercuriale venditore che intuisce come la firma avrebbe forse lasciato realmente anonime le sue opere mentre, in vero, l’anonimato le ha consacrate. L’altro è il filosofo, l’artista, l’esteta, il saggio che rispetta l’autonomia delle immagini e che intuisce come la firma le avrebbe rese indisponibili a tutti. Poi forse c’è un terzo Banksy, quello che cede alle lusinghe del denaro e si rode dentro perché poteva essere ricco e invece, per liberare le immagini, si ritrova con un pugno di mosche, mentre qualcuno vende banane da 120mila euro. Insomma sembra che il mistero dell’anonimato non solo renda disponibili le immagini, ma ci ponga maggiormente nella condizione di appropriarcene. Ma, sia chiaro, per appropriarci di qualcosa dobbiamo prima proiettarci sopra una parte di noi. Insomma la firma sulle opere elude, esclude le nostre proiezioni e, così facendo, impedisce che quell’immagine si evolva con il contributo corale di chi osserva.

Effetti della firma in Banksy

La firma cristallizza l’opera. è come un bollo pontificio, un sigillo che sancisce l’intoccabilità dell’opera. Similmente facciamo con i sogni. “Ho sognato che…” Siamo abituati a porre il sigillo sulla proprietà delle immagini che sono venute in sogno. Invece, da Corbin a Hillman in poi, si è proposto il capovolgimento dei rapporti di proprietà. Non sogniamo ma siamo sognati, non siamo noi a usare le immagini ma le immagini a usare noi. Allora, similmente, potremmo dire che non è Banksy a dipingere le sue opere ma sono loro a generare Banksy. Prima gli si concedono e poi lo usano per poter circolare e lui, rispettoso, si pone come artigiano, come mero esecutore e non autore. Ah, quanta bellezza e quanta saggezza in questo anonimato.

Ogni osservazione è un’interpretazione

Questo mi trovavo a scrivere sulla tesi di laurea. E La firma sull’opera ci ammonisce come meschini che interpretiamo distorcendo e modificando l’opera. Mentre la sua assenza, l’assenza della firma ritraduce questa frase in una forma propositiva, quasi ecologica. Noi che osserviamo, se la firma manca, abbiamo il permesso di appropriarci e modificare l’opera osservandola e così facendo, contribuiamo alla sopravvivenza e all’evoluzione di quella immagine e, con lei, di tutte le immagini, se non di tutto il Mundus immaginalis.

Il regalo di Banksy: l’anonimato e l’assenza

Banksy rendendosi anonimo ci ha regalato qualcosa che generalmente sottovalutiamo: l’assenza. Un Padre assente, una fidanzata o un fidanzato che ci lasciano, l’esclusione dalle graduatorie per l’insegnamento, non vincere alla lotteria… quanti “non eventi” ci rendono liberi di ridisegnare la nostra esistenza mentre nel loro accadere, prendiamo ad esempio la vincita alla lotteria, ci avrebbero vincolato a scelte obbligate. Zoja, Hillman, ma lo stesso Jung sottolineavano la fondamentale funzione paterna intesa come assenza, sottolineavano come la sostanziale assenza del padre costituisca il presupposto fondamentale per generare il proprio “Altrove”. Allora Banksy con la sua assenza, celando la firma, rendendosi anonimo ci dona le opere e ci stimola a cercare il nostro “altrove”. E i migliaia di altrove che sono nati da questa spinta sono quelli in cui le sue opere sono state trasferite.

Ognuno è autore di ciò che cita

Quando leggendo un libro, una frase… il tempo rallenta. Nella lentezza dell’anima si osserva, come Afrodite, dalla finestra, l’ipercinesi del mondo. Nella lentezza si fissa, lì nella Valle, quella frase che non scopriamo ma riconosciamo. Nella lentezza intravediamo quella parte di noi allo specchio. Ci riconosciamo e poi, sempre lentamente, la riscriviamo e, con pudore e rispetto, indichiamo l’autore senza accorgerci che l’autore è sempre chi sta davanti allo specchio e non lo specchio stesso. Rimpiango i tempi in cui le opere d’arte non avevano firma. Tempi di saggezza in cui l’artista era il fortunato che era stato scelto dall’immagine per farsi di nuovo materia. La terapia recita: “se ti colpisce è tuo”.

Non è Banksy l’autore

“L’autore non è una fonte attendibile” Così risponde Wikipedia al celebre scrittore Philipp Roth che contestava i contenuti inseriti sulla pagina dell’enciclopedia globale che portava il suo nome. Quanta saggezza nella corale risposta. Si perché non è il Sig.Wikipedia che risponde no, secondo me quella è la risposta di tutta l’umanità che dice allo scrittore che l’autore del romanzo è ogni singolo lettore. Ascoltavo un breve video di Alessio Cuffaro, scrittore, che ricordava come le opere vanno protette dai loro autori. Similmente fa la psicoterapia che protegge i pazienti e la loro vita dai racconti che ne fanno e, similmente direi, Banksy ha protetto le sue opere da se stesso. L’anonimato esclude la paternità e sancisce la libertà dell’immagine. Grazie Banksy

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Info sull'autore

Luca Urbano Blasetti

Psicologo e Psicoterapeuta; Dottore di Ricerca in Psicologia Dinamica sul tema Creatività e sue componenti dinamiche; Responsabile del Centro Emmanuel per Tossicodipendenti di Rieti presso cui cura diversi progetti regionali; autore di diverse pubblicazioni psicologiche; lavora nel suo studio.

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