Catcalling: l’azione per chiamare un gatto

Questo è il nome con cui oggi si indicano i fischi, le battute ad alta voce, i “richiami” che alcuni uomini rivolgono a donne sconosciute, poco conosciute, non individualizzate. Perché un fischio oggi può fare tanto rumore? Perché un suono che in alcune zone del mondo viene usato per sussurrare frasi d’amore può avere le sembianze di un rumore disarmante sia per un individuo che per una collettività?

Il catcalling può essere ascoltato e tradotto, da onde sonore non identificate a parole di psiche e di anima. Proviamo a guardare insieme il potere psicologico del catcalling.

Azioni in movimento

Molte delle azioni a cui attribuiamo un significato simbolico sono costituite da processi, da azioni in movimento e mai puntuali. Non è il fischio in sé a caratterizzare e a causare un rumore psicologico. Il catcalling è la manifestazione sonora di un pensiero complesso.

Psicologicamente, il catcalling è una manifestazione di deumanizzazione. Proprio per questo nel nome del fenomeno c’è il termine “cat”, gatto. De-umanizzare significa privare di umanità un umano. È sempre una questione di narrazione: è sempre ridurre un’entità a qualcosa di ritenuto inferiore. Una degradazione.

Chiamare uno scolaro “somaro” è un atto di deumanizzazione. Valutare una persona come un agglomerato di parti fisiche (mani, sedere, seni ecc.) senza considerare l’essere umano nella sua complessità è deumanizzazione. Badate bene, c’è una differenza sostanziale fra deumanizzazione e atto di deumanizzazione. Un fischio, estrapolato da un contesto, rimane un fischio. Cercare piacere in una relazione attraverso il contatto con una precisa parte del corpo del partner non è deumanizzazione. In una dinamica consensuale di coppia, anche un fischio, anche il catcalling per assurdo, se consensuale, non è deumanizzazione.

E allora perché il catcalling è un’azione in movimento? Perché il catcalling è un campanello di allarme per il benessere di una collettività?

Perché è un’azione in movimento. Non è il fischio il problema. Non è il corpo della donna il fulcro dell’attenzione. Non è responsabilità dei vestiti più o meno attillati che si possono indossare. Udite udite, anche una donna vestita con un burqa può essere vittima di catcalling. Il catcalling è un’azione in movimento, come in movimento sono i pensieri e i simboli che richiama in chi fischia e in chi subisce il fischio.

Tra corpi e persone

Tante e tanti ricorrono alla chirurgia estetica per modificare il proprio corpo. Tante e tanti intraprendono diete, allenamenti, strategie di comportamento per raggiungere un obiettivo di fisicità. Si è parlato molto dei modelli di bellezza fisica a cui siamo tutte e tutti sottoposti ogni giorno. E in qualche modo, con diverse intensità e diversa consapevolezza, ciascuno di noi ha integrato questi modelli. E in qualche modo ciascuno di noi deve confrontarsi con questi modelli. L’esito del confronto, con la gestione narrativa che ne consegue, ha psicologicamente il potere di modificare la nostra vita.

Esistono comportamenti per avere un’assonanza con riti, schemi e modelli sociali di comportamento. E fin qui nulla di male. La storia dell’umanità è piena di codici da seguire. La differenza risiede nell’interpretazione che segue questi comportamenti. Nel vissuto psicologico che consegue alla preparazione, all’adesione o al rifiuto di detti schemi.

Ed ecco che prende forma la differenza sostanziale fra corpi e persone. Esiste un dress-code per guardare a noi stessi? Narciso si perderebbe nella sua immagine solo se rispettasse un preciso schema di apparenza? Sorprendentemente, la risposta è sì.

Spesso, ciascuno di noi è il giudice più severo e crudele di se stesso. E, spesso, ciascuno di noi perde l’identificazione di sé come entità complessa, per concentrarsi sul singolo dettaglio. Siamo i primi a deumanizzarci, a degradarci da persone a parti del corpo. Ciascuno di noi ha la prima responsabilità verso di sé, per la difesa e valutazione come persona e non come agglomerato di parti.

Il catcalling è una conseguenza del processo che vede la scomposizione dell’individuo. È una manifestazione esterna di un fenomeno che, spesso, ciascuno di noi, applica verso di sé. Ma questa non può e non deve essere una giustificazione, ma un elemento in più per tentare di comprendere il catcalling nella sua complessità. Il rischio psicologico più impattante è quello di scordarsi dell’identità, a favore di stereotipi, per interpretare il funzionamento del mondo psichico.

Quello che le donne non dicono

Nel 1988 Fiorella Mannoia ha regalato al mondo “Quello che le donne non dicono”. E in questo brano c’è una frase che può lasciare perplessi: “E dalle macchine per noi, i complimenti del playboy, ma non li sentiamo più se c’è chi non ce li fa più”. Una frase estrapolata dal contesto. Presa così sembra dire che ci possano essere persone che cerchino il catcalling, che senza il catcalling possano sperimentare una sofferenza. Stereotipi sulla potenza psicologica dell’apparire.

E in questo principio, nell’estrapolare una parte dal tutto, c’è il meccanismo di funzionamento del catcalling: sostenere che il fischio, la battuta, la frase di presunto apprezzamento, siano complimenti rivolti alla persona e non una manifestazione di de-umanizzazione. Non è così. Perché dietro al fenomeno c’è esattamente quello che Mannoia racconta in “Quello che le donne non dicono”: l’evoluzione della persona. Da bambina ad adulta. Da parti a tutto. Da caratteristiche singole a identità complessa.

Badate bene, lo stesso rischio risiede nella deumanizzazione dell’uomo. Banalmente, l’uomo valutato per la sua capacità di produrre utili (macchina sportiva vs. utilitaria) o per la sua fisicità (addominali scolpiti vs. pancetta), piuttosto per il suo essere persona. La differenza è che l’uomo è molto più raramente oggetto di catcalling. Riceve fischi su un campo di calcio. Riceve fischi per essere richiamato dal coach. È raro che venga richiamato da donne che sostengono di apprezzare una parte del suo corpo. Assume raramente la fatica di dover modificare gli stereotipi che subisce. Lotta con i pregiudizi, ma con una differenza sottile e disarmante: il diritto di scegliere.

Conclusioni

Possiamo schematizzare un fenomeno in due termini: narrazione e scelta.

Il catcalling è la narrazione di un fenomeno, che vede la donna troppo spesso ridotta come una parte e non un tutto. Una massa di cellule che cammina. Seni, sedere, gambe, piuttosto che Silvia, Alessandra, Margherita ecc.

E il fischio? Il fischio è prodotto da qualcuno. Qualcuno che più o meno consapevolmente aderisce a tale narrazione. La soluzione risiede sempre nella scelta consapevole. La scelta di non essere noi i primi deumanizzatori di noi stessi. La scelta di lavorare per conoscere le persone, di rompere gli schemi di attribuzione di senso a favore della conoscenza. La scelta di ribellarsi sia come vittime dirette e indirette della deumanizzazione, sotto qualsiasi forma, catcalling o altra manifestazione che sia.

P.S. CLICCA QUI per leggere La verità sull’Effetto Trigger

Info sull'autore

Teresa Di Matteo

Psicologa, Psicoterapeuta in formazione

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