La psicoterapia è finita?

La psicoterapia è finita?

Sei in terapia e vuoi smettere? Non sai se è finita la terapia? Queste domande attanagliano chiunque si trovi a intraprendere un percorso di psicoterapia.

Ti rispondo: la terapia finisce quando il terapeuta muore. Scopriamo cosa significa.

Non pensare, inoltre, che siano domande marginali, non pensare che sia questione di lana caprina perché, sull’inizio e sulla fine della terapia si è scritto molto e ancora è difficile mettere a fuoco le dinamiche. Per procedere a questa messa a fuoco che ci conduca alla morte del terapeuta, passeremo, a volo di gabbiano, per una serie di riflessioni. La prima si riferisce a quando inizia una terapia per poi passare a quanto dura una terapia. Quindi ci chiederemo se il terapeuta non abbia bisogno di pagare la rata del muto e allora ci chiede di andare avanti. Parleremo delle fughe dalla terapia, di chi ci porta in terapia, chi ci aiuta a restare in terapia e chi ci aiuta a chiuderla… direi di iniziare.

Quando inizia la terapia? Senza traumi

La terapia inizia, banale dirlo, quando si sta male.

E in genere si sta male nelle fasi di passaggio da un momento di vita a un altro. Dall’adolescenza all’età adulta, col primo figlio, cambiando città o lavoro, oppure andando in pensione. Si lo so non stiamo citando il buono e caro vecchio dio della terapia sua maestà il “Trauma”. Ma io partirei dall’idea che lui, il trauma è decisamente sopravvalutato.

L’80% dei pazienti giunge in terapia pensando di avere un trauma e pensando di averlo rimosso, per scoprire che non c’è nessun trauma. L’altro 20 % giunge in terapia in seguito a un trauma per scoprire che 9 volte su 10 lui, il trauma, non è così fondamentale nel proprio percorso individuativo.

Si inizia una terapia, quindi, quando si è in crisi ossia quando ci si deve separare (la parola crisi rinvia proprio alla separazione, o meglio significa “scelta” a cui la separazione fa da corollario) Separare da cosa? Semplicemente dal “me” della fase precedente. Scelgo, ad esempio, tra il me adolescente da cui separarmi e il me della prima età adulta. La Psicoterapia è diventata il luogo in cui si favoriscono questi passaggi e queste crisi. Ogni terapia è una preparazione alla separazione che, a volte, ha anche un corrispettivo nel nostro  mondo di relazione.

Quanto dura la terapia?

Se conoscessimo quanto dura una terapia sapremmo anche quando finisce. Ma qui dobbiamo essere onesti: troppi orientamenti, troppe strategie, troppe tecniche e mai, dico mai una volta che si abbia una data certa. Ma un bravo terapeuta un certo orizzonte temporale lo da. Per comprendere meglio direi di fare una distinzione tra due modalità che chiamerò, per comodità, “terapia” e “analisi”.

Con la prima ci riferiamo a interventi che puntano alla remissione del sintomo, mentre con i secondi a interventi che si alleano col sintomo. Nel primo caso, si lavora sul congedare, per fare un esempio, Pan che presiede al panico oppure il piombo depressivo, e per farlo si fa una terapia breve o media dai 3 ai 12 mesi. Nel secondo caso ci si allea col sintomo, si cerca in lui il messaggio, lo si tratta come un caro vecchio amico che ci viene a trovare dal futuro per dirci cosa è meglio per noi.

In questo caso parliamo di terapie che vanno dai 6 mesi a non meno dei 24. Ma in verità ogni terapia ha una sua durata, le sue sospensioni, interruzioni e, ve lo confido, non vi affannate a capire quale sia l’orientamento migliore poiché è sempre e solo l’intenzione ad essere terapeutica. Dunque affannatevi a cercare bravi terapeuti.

Fuga dalla terapia

Ma come possiamo fare a capire se stiamo fuggendo dal conoscerci, dal fare i conti con ciò che non può più essere procrastinato?

Il giorno in cui diciamo che stiamo meglio e il terapeuta non è del nostro stesso avviso, come facciamo a sapere se ha solo bisogno di pagare la bolletta a fine mese? Mi invita a continuare perché ne ho bisogno o perché ne ha bisogno?

Direi che ogni terapeuta ha le sue incombenze economiche ma direi anche che un bravo terapeuta non le pone mai come obiettivo terapeutico. La terapia, per il solo fatto di averla iniziata, anzi per il solo fatto di aver contattato solo telefonicamente il terapeuta, produce benefici immediati e rende meno incombente il sintomo. L’ansia, la depressione, l’umoralità, il bipolarismo, la psicosi… tutto si acquieta un po’ dopo aver chiamato. Questo produce l’illusione della guarigione e spinge a risparmiare soldi ed energie. Molto spesso, invece, specie se si è iniziato da poco, siamo ancora lontani dall’aver proceduto ad un restauro e a una ristrutturazione.

Dunque per capire se si tratta di una fuga ci si deve affidare al terapeuta. Ci si deve fidare.

Chi ci porta in terapia?

Due forze psichiche presiedono alla terapia: il Puer ed il Senex. Ci riferiamo all’energia fanciullesca, quella del bambino che salta sul letto e poi dal letto al divano. Ci riferiamo al bambino che sfida di impulso la vita e i genitori, del bambino che cade senza mai farsi male veramente. È questa energia che ci aiuta, a un certo punto, ad andare in terapia. Quando siamo provati dalla vita è sempre il puer che ci conduce nel luogo di cura. Il Senex, invece è la saggezza della senescenza, quella della libido erotica frenata o in discesa, è la posata osservazione di se’ e del mondo. Ecco questa saggezza è quella che ci tiene in terapia, che ci obbliga con pazienza a stagnare nelle complessità della nostra anima e tiene a bada il puer che, dopo averci portato nella stanza d’analisi scalpita sempre per andar via.  Il puer gioisce del gesso nel braccio rotto e il Senex ci aiuta a non levarlo dopo tre giorni e a pazientare. Del resto quando chiuderemo la terapia lo faremo, ancora una volta, con la sua energia, quella del puer.

Quando finisce la terapia

Quando finisce la terapia?

Tutti questi elementi vi avranno aiutato ma più di ogni altra cosa dobbiamo parlare della morte del terapeuta. Non mi riferisco al suo trapasso, no. Anche se è chiaro che è un’eventualità. Mi riferisco alla morte dell’immagine, dell’idea del terapeuta. Noi terapeuti, infatti, siamo visti nell’immaginario collettivo, come essere sovrumani, che non piangono, non gridano, non defecano né hanno piccole perversioni. E se per caso mostriamo questi aspetti lo facciamo come in un film, dolcemente, bonariamente, correttamente.

Questa idea poggia sul pensiero magico, sullo stesso pensiero che ci illude che esiste Babbo Natale e ci invita sempre a pensare a un lieto fine.  Quando si arriva in terapia si pensa che il terapeuta abbia tutte le risposte, tutte quelle che conducono alla totale e cosmica pace dei sensi. E lo si interroga così, come a dire “ma perché caspita tu che conosci il segreto della felicità non vuoi condividerlo con me!”. Poi un giorno si avverte il valore del tutto umano di quella persona di fronte a noi. Da pazienti, pazientemente,  incontriamo l’uomo o la donna che c’è sulla poltrona e comprendiamo che più che cristi, si tratta di poveri cristi.

Ecco quando le illusioni cadono, quando ci si rende conto che le grandi capacità che avevamo attribuito al terapeuta, in vero, erano soltanto la proiezione delle nostre capacità che abbiamo inizializzato  e affinato in terapia, ecco allora quello è il momento di chiudere la terapia. Che poi non si chiude mai. Una buona terapia inizia nella stanza d’analisi e continua da se. Si genera uno spazio fisico e temporale nel mondo e, quando quello spazio fisico diventa uno spazio psichico, allora è ora di chiudere.

Conclusioni

L’altra illusione è di chiudere col sorriso. E invece, cari pazienti, siate pronti alla chiusura perché, inaspettatamente, ripercorre le angosce che vi hanno spinto a iniziare la terapia. Quindi, una volta stabilita la data di chiusura, non vi spaventate se starete male, quasi come all’inizio, non tornate indietro perchè è semplicemente psiche che fa il riassunto ma ora siete voi a dialogare con quella angoscia e non più il defunto “terapeuta”

P.S. l’immagine

Come nell’oracolo dei Ching, un’immagine ci può aiutare a capire l’inizio e la fine. Psiche è fatta di immagini e tutte hanno il diritto e il dovere di dire la loro poiché ogni immagine è un bisogno o un’emozione. Allora la terapia inizia con noi dentro casa nostra, seduti a tavola, soli e solinghi e padroni. Poi sentiamo bussare alla porta e accogliamo un viandante, poi un altro e poi ancora un altro. Allora quella stessa tavola inizia a colorarsi di rumori e a riempirsi di colori. In quel vociare, d’un tratto ci accorgiamo che sono in molti gli ospiti e tra di loro ci siamo noi, non più padroni. Ecco la terapia finisce con una tavola imbandita di cui fatichiamo a scorgere la fine e in cui tutti banchettano, ognuno parla, la convivialità delle immagini è come nel sabato del villaggio e, similmente, è subito sera.

P.S. CLICCA QUI per leggere Lo psicologo non è tenuto a risolvere i problemi dei pazienti

Taggato in:

Info sull'autore

Luca Urbano Blasetti

Psicologo e Psicoterapeuta; Dottore di Ricerca in Psicologia Dinamica sul tema Creatività e sue componenti dinamiche; Responsabile del Centro Emmanuel per Tossicodipendenti di Rieti presso cui cura diversi progetti regionali; autore di diverse pubblicazioni psicologiche; lavora nel suo studio.

Vedi tutti gli articoli