Psicoterapia in remoto

Non ho iniziato le terapie online a causa del distanziamento sociale. Incontravo pazienti di altre città paesi e continenti già prima. Certo facendo lo sgambetto al mio narcisismo , confesso che una mano era più che sufficiente per contarli, ma una certa abitudine la avevo. Poi la Pandemia, che, è buffo, ma è anche un nome di Afrodite, mi ha obbligato a usare mani e piedi per la conta. Clausura, distanziamento fisico? Allora si va in remoto! Un lungo viaggio che sempre incipit di favole, perché le favole sono ambientate sempre molto molto lontano. E lì si scoprono terre remote, remoti accessi, ricordi remoti, idee remote, abissi remoti fino a utenti remoti e, finalmente anche i pazienti e i terapeuti diventano remoti. Ma non è la distanza che li rende tali. No perché, se usiamo la parola remoto, non ci riferiamo tanto alla lontananza, quanto alla profondità. Inaspettatamente i devices, freddamente, ci danno accesso a territori altrimenti negati alla terapia. Dunque nella stanza d’analisi, nella patria dell’autenticità, i territori privati del paziente e del terapeuta risultano reciprocamente remoti? Allora il quadro alle mie spalle o il disegno del figlio dicono qualcosa di me che magari non avrei svelato. E altrettanto accade ai pazienti che vogliono nasconderci anche quella fetta di muro bianco nella stanza da letto.

Indicazioni pratiche

Ma un po’ di indicazioni operative non guastano, e non sui device o sulle piattaforme come goffamente fa l’Ordine convinto che non si conoscano zoom, gotomeeting, skype whatsapp. Piuttosto su aspetti a cui non si pensa e dove non vi è pensiero lì si trova l’agito in luogo dell’azione. Dunque con alcuni pazienti si può fare una vera e propria formazione, prima in presenza, poi on line. Sono quei casi in cui l’età o una certa resistenza alla tecnologia, richiede una seduta on line in presenza. Si proprio così dentro lo studio, ma attraverso i telefoni, tanto per avere un piano b in caso di emergenza, malattia, viaggi o, che so io, magari venisse una pandemia che ci costringe al distanziamento fisico per un periodo indefinito. Ma nel più delle volte basta raccomandare ai pazienti che la cura dello spazio analitico non è più solo una responsabilità del terapeuta. Online il paziente è chiamato a mettere su uno studio in cui riceversi. E questo è di per se terapeutico e tremendamente hillmaniano e ora vi dico perché. Solo un attimo però.

Digressione sulla parcella: Si paga nello stesso modo e si pagano anche le assenze

Online si paga identicamente come de visu, dunque si paga la parcella anche per le assenze. Questo ha da sempre fatto incavolare la maggior parte di coloro che non vogliono fare la terapia. Mentre chi ha una motivazione alta accoglie senza indugi questa clausola terapeutica. Ma non crediate a chi vi dice che il motivo è squisitamente analitico, perché il primo motivo è biecamente logistico e economico. In soldoni, perché di soldi parliamo, se tutti i pazienti disdicono all’ultimo momento, nessuno studio può verosimilmente tenersi in piedi economicamente. E questo va detto, ha valore pedagogico e di autenticità, e invita all’autenticità più della prescrizione del “si senta libero di parlare di tutto”. Ma il secondo motivo è, si, terapeutico. Infatti, in assenza, quella ora resta del paziente, non viene occupata e il paziente ne dispone come vuole. Magari solo i primi 10 minuti e va via, o magari gli ultimi 5, magari al telefono. Quel luogo e quel tempo iniziano a esistere anche se il mondo intorno e dentro al paziente vogliono boicottarli. La terapia finisce quando quel luogo diventa un luogo interno psichico che ha il suo tempo per essere curato, senza che la tutela sia prerogativa o, peggio, delega al terapeuta. E lo spazio virtuale non può che favorire la nascita di questa stanza immaginale.

La poetica di questi aspetti analitici però, si perde, ahimè spesso, nel fatto che i terapeuti celano la loro ombra non dando come prima informazione proprio quella biecamente legata alla pecunia.

On line il paziente si fa terapeuta nell’allestimento del luogo fisico

Tornando ai remoti territori del cloud e della rete, si intuisce dunque come, allestendo, il paziente mette in atto quello che è terapeutico. Sceglie la stanza della casa, quella riservata, sceglie la sedia, quella comoda, la parete alle spalle, l’incidenza della luce, le foto o i quadri… insomma sceglie il suo studio e, agendo nel concretismo questo allestimento, sta, contemporaneamente costruendolo dentro di se. E questo è profondamente hillmaniano, non tanto perché si attiva una dinamica alchemica, quanto perché si sollecita l’autonomia del paziente. Gli si comunica che il terapeuta è solo una proiezione di una capacità intrapsichica che non viene agita. Gli si comunica l’inutilità della terapia. Per questo forse alcuni si declamano puristi della terapia in presenza.

“L’analisi protegge se stessa da vulneranti intuizioni sul proprio narcisismo, elaborando codici etici, forme di assicurazione  contro gli abusi professionali…il fatto che l’analisi stia invecchiando in una mediocrità… che probabilmente abbia perduto anni la sua anima in cambio del potere… questa vulnerabilità viene superata idealizzando la traslazione” (J. Hillman, “Dallo Specchio alla Finestra”)

Invece on line l’inconscio si rende sempre disponibile, la traslazione parte così come l’immaginazione.

Strane location

Ma poi in remoto si scoprono scelte remote secondo il punto di vista del terapeuta. Allora si scopre che la stanza scelta è di transito e che si è disturbati da terzi, magari si trova il paziente in bagno seduto su un water, magari la sedia è scomoda e la luce sparata sul device impedisce di scorgere alcunchè. Oppure Non si sceglie e allora foto, monili, mobili o altro diventano un patrimonio analitico che era stato sempre negato alla psicoterapia. Ma allora chiediamoci se l’invito, del nostro sempre caro Hillman, di passare dallo specchio alla finestra non possa essere ritradotto con la terapia che usa le finestre dei telefoni. Il passaggio alla finestra era inteso come il ritorno alla vita concreta, il ritorno della terapia alla vita vissuta. Dopo che per un secolo, si erano tenuti protetti pazienti nella stanza d’analisi, Hillman suggeriva di ritornare al mondo e riequilibrare intrapsichico e extrapsichico partendo dal fuori, iniziando a curare il mondo intorno a noi.

Telefoni rivelatori

Allora in remoto si incontrano contenuti remoti alla sola coppia terapeutica perché quei contenuti, in verità, sono disponibili a tutti. Sono nel mondo. Allora lo stato sul profilo di whatsapp o la sola immagine del profilo rivelano, inaspettatamente, dettagli che la regale e religiosa stanza d’analisi snobbava. Oppure le piastrelle del bagno, il poggiatesta liso dell’auto, gli occhiali che si indossano solo in casa, quel tremendo acquerello serigrafato o il vuoto delle pareti che pigramente vengono lasciate spoglie, insomma tutto diventa assolutamente denso di psiche e di anima. Si perché le piastrelle hanno un anima e ci dobbiamo chiedere come si sentono a ricoprire le pareti del paziente. O, ancora, quegli occhiali nascondono personalità negate alla terapia, personalità talmente remote da quelle condotte in terapia da mostrare la stessa distanza che c’è tra Clark Kent e Superman.  Allora siamo chiamati a prenderci cura di quelle immagine neglette e negate, relegate nelle case, recluse in quarantena. La psicoterapia ha messo in quarantena una parte delle immagini da più di un secolo, la terapia on line ce le restituisce… ma noi non eravamo pronti.

Il piano americano

Il piano americano è una inquadratura che va dalle ginocchia in su. Ecco questo generalmente si nega alla terapia on line, tanto meno la figura intera. Così, mentre il terapeuta è sapientemente seduto inquadrato quasi per intero, i pazienti diventano visi grandi che dominano lo schermo e il mezzobusto è l’unica visione alla quale si può anelare. Ma cosa c’è sotto? Mentre il terapeuta è sapientemente vestito, forse è nel suo studio, il paziente ha, magari, un pantalone del pigiama e delle ciabatte di peluche. Ma è lì che si dovrebbe andare. La psicoterapia mira proprio a quei pantaloni e a quelle ciabatte. La terapia vuole passare dal mondo supero del mezzobusto visibile, al mondo infero delle ciabatte, ed ecco che in remoto la analisi si fa metafora da casalinga o da casalingo. E il terapeuta vorrebbe sbirciare nella parte che l’inquadratura tralascia. Ecco la terapia online sollecita! Come in presenza, del resto, a osservare ciò che non è inquadrato.

E il terapeuta? Chi resiste è sempre lui

Chi resiste è sempre il terapeuta. Allora va in studio e lo fa vestito di tutto punto, in divisa e indiviso. Si rende, come sempre, tutt’uno col personaggio. Lascia nascosto il suo lato casalingo, le sue ciabatte, il suo pigiama. Ma perché se il terapeuta si nasconde il paziente dovrebbe rivelarsi? E qui ci ritorna l’invito all’autosvelamento di Yalom.

Stabilire una relazione autentica con i pazienti richiede di abbandonare il potere del triumvirato magia, mistero, autorità… in breve, suggerisco un’apertura totale sul meccanismo della terapia… Tutti i commenti devono superare un test: questa rivelazione è nell’interesse del paziente? (I. Yalom, “Il dono della terapia”)

Altro merito del virus

Il virus è dalla parte dei pazienti, costringe a casa i terapeuti e loro sono costretti a rivelarsi come fanno i pazienti e questo destabilizza, ma solamente chi, non come il sottoscritto, allestisce lo studio in modo diverso da come allestisce la sua abitazione. Niente foto personali, oggetti simbolici a go go e niente che possa rimandare alla sua verità. Dunque dentro casa  è costretto a far vedere il quadretto, la parete e, se si impegna a creare un’inquadratura anonima, astinente, ci penseranno i figli urlando fuori dalla porta a rompere il setting, ci penserà la moglie o il marito distratto, entrando per prendere i calzini, a inquinare la perfezione snob e recitata della psicoterapia. Allora la terapia on line funziona meglio a chi dell’autosvelamento ne fa una tecnica e allestisce lo studio cosi come allestisce casa propria. Che poi la casa è sempre lo specchio della struttura dell’anima.

Guardare dal buco della chiave

L’erotismo degli anni settanta è un ottima immagine della terapia on line dunque. Quando i registi volevano stimolare il voyeurismo facevano quella inquadratura a forma di buco della chiave con tutti i suoi rimandi fallici  e alchemici di porta di passaggio. E le fenech di turno, le procaci bellezze anni settanta, erano sempre in favore di buco della serratura. C’è un che di erotico nelle finestre dei cellulari, sembrano prendere la forma di un buco della serratura. Sembra sempre più di poter andare a osservare ciò che l’analisi aveva tralasciato. Ma allora c’è da chiedersi su cosa abbiamo lavorato finora? Quanto tempo è che ci crogioliamo su quel racconto, su quelle routine narrative che non trovano soluzione ma, come orsetto di peluche, ci rincuorano, ci scaldano imprigionandoci in luoghi transizionali e facendo della terra di passaggio la nostra patria, la nostra terra promessa? Poi, per fortuna arriva il corona virus, la clausura, il remoto e scopriamo le infere ciabatte e le remote terre a cui siamo destinati  e a cui credevamo di essere già arrivati.

Terapia e immagini

Ma se lavoriamo con le immagini siamo sicuri che ci serva la presenza dell’altro? Non voglio certo demonizzare la terapia in presenza, sarebbe follia. Piuttosto risottolinerei l’inutilità della psicoterapia, la volontà industriale e commerciale della psicologia col suo intrinseco narcisismo. Il suo carattere iatrogeno che genera patologie più di quante ne curi. E direi che la mitologia della presenza vede nelle sedute in remoto delle remote conseguenze, ossia la scesa dallo scranno del terapeuta. Ma non sarò certo il primo a dire che, portata agli estremi, la terapia non ha bisogno neanche del terapeuta e del paziente. Il terapeuta starebbe lavorando sempre con le sue immagini e altrettanto i pazienti. Tanto vale non incontrarsi affatto? Non siamo ancora pronti a questo ma una psicoterapia che lavora con le immagini, facilmente adegua il tiro.

Concludendo

Dunque nessuna controindicazione. (Clicca qui per leggere: Trapia online, funziona?) Certo una terapia che è avviata risente meno e una che inizia è monca di qualcosa e forse troppo intimista. Ma trasfert, controtrasfert, emdr, tat, gap, dca, dsa… tutto si salva nell’etere, anche i rischi da transfert erotico che, paradossalmente, aumentano. Poi c’è il paziente che resiste e si oppone all’online. Magari in una sorta di complottismo da 5G in cui teme di essere ascoltato. Teme di dire. Ma ricordiamoci, chi resiste è sempre il terapeuta. Ognuno può arrivare sin dove è giunto. E solo un terapeuta che sa denudarsi indurrà alla spoliazione. Purtroppo oggi, troppi tra noi psicologi , tendono a rimanere vestiti, magari di camici, divise o tuniche. Perché è troppo bello stare lassù nel cloud. Poi un telefono connesso ci fa tornare sulla terra, terreni, mortali, caduchi e non più cristi ma poveri cristi. Buona Clausura.

P.S. CLICCA QUI per leggere Terapia di coppia

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Info sull'autore

Luca Urbano Blasetti

Psicologo e Psicoterapeuta; Dottore di Ricerca in Psicologia Dinamica sul tema Creatività e sue componenti dinamiche; Responsabile del Centro Emmanuel per Tossicodipendenti di Rieti presso cui cura diversi progetti regionali; autore di diverse pubblicazioni psicologiche; lavora nel suo studio.

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