Un padre adottivo 

Il 19 marzo si festeggia la Festa del papà in onore di S. Giuseppe, ovvero del padre di Gesù.

Tuttavia S. Giuseppe non è un papà “normale”, bensì è un genitore molto particolare.

S. Giuseppe è Yoseph, colui che è chiamato padre putativo di Cristo, il padre creduto. Oggi lo chiameremmo il padre adottivo. Yoseph/Giuseppe ha di fatto adottato Cristo prima della sua nascita accettando la sua venuta e il compito di condurlo nella sua vita terrena. [M. Mezzanotte, Essere un padre]

Innegabilmente Giuseppe è il padre adottivo di Gesù Cristo, e noi abbiamo scelto di festeggiare i papà il giorno in onore di un padre adottivo.

Come mai?

Dal punto di vista collettivo, quindi, ogni padre ha con sé una parte adottiva, come se tutti i padri adottassero [metaforicamente] i propri figli.

Adottare, etimologicamente, significa scegliere per sé.

Il papà è, quindi, colui che compie una scelta. 

Che tipo di scelta compie un padre? Cosa significa, quindi, Essere Un Padre? 

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Mainländer, James Hillman e il suicidio del padre onnipotente

Abbiamo sempre visto la figura del papà come colui che sceglie, quindi che castra, che limita, che regola e che taglia. In realtà abbiamo fatto un grande errore, come lo fece Freud con il complesso di Edipo, e come ci ha fatto notare successivamente James Hillman in Variazioni di Edipo. Bisogna ribaltare e interiorizzare il mito del paterno castratore: il papà non castra il figlio, il papà castra sé stesso per diventare padre.

Se esiste nella nostra civiltà una fantasia radicata e incrollabile, è quella secondo la quale ciascuno di noi è figlio dei propri genitori e il comportamento di nostra madre e di nostro padre è lo strumento primo del nostro destino [J. Hillman, Il codice dell’anima]

Secondo Hillman per capire il Paterno dobbiamo esplorarne l’assenza.

Ecco quindi la scelta del paterno: il padre, per essere padre deve scegliere l’assenza.

Il Dio-padre-onnipotente deve rinunciare alla propria onnipotenza per creare il mondo.

Conosciamo la tradizione dei paradossi teologici concernenti l’onnipotenza in cui ci si domanda: può Dio creare una pietra che non può smuovere?

Questo è un paradosso che viene meno riflettendo attraverso la lente della rinuncia all’onnipotenza.

Philipp Batz, detto Mainländer, nella sua Filosofia della redenzione, afferma che prima del mondo esisteva un’unità precosmica, Dio, che era onnipotente e circondato dal nulla. Sappiamo oggi che nulla si crea e nulla si distrugge, quindi per creare qualcosa, l’unica strada che aveva Dio, era crearla da sé stesso.

Dio così si suicidò, si frantumò e frantumandosi nel mondo, scomparve del tutto e tramontò. [F. Ciracì, Verso l’assoluto nulla. La filosofia della redenzione di Philipp Mainländer, p. 33]

La filosofia di questo poeta e filosofo tedesco è postuma e molto originale, vicino agli immaginari della fisica moderna, nonostante Phillipp visse tra il 1841 e il 1876. Una volta pubblicato il suo libro, Mainländer, decise di togliersi la vita.

Sia Hillman che Mainländer concordano sul fatto che è l’assenza del padre-onnipotente a creare il paterno.

Per essere onnipotenti bisogna essere circondati dal nulla, ovvero essere soli.

Ora riusciamo a vedere chiaramente la scelta metaforica che deve compiere un papà per diventare genitore: morire, rinunciare all’onnipotenza, essere assente rispetto alla propria solitudine. 

Ogni volta che creiamo, che siamo padri di qualcosa, rinunciamo ad una parte di noi onnipotente. 

Quindi, se il padre è assente il figlio può solo immaginarlo, e ciò che immagina sono tutte le possibili alternative in cui la propria psiche si manifesta e verso cui può procedere il processo di individuazione.  [Luca Urbano Blasetti, Essere Un Padre]

La rinuncia alla solitudine

Tutti possono essere un padre: la dimensione paterna “può essere vissuta da chiunque – mamme, zii, fratelli, sorelle, donne, uomini – sia attivamente, ovvero da padri, sia passivamente ovvero da figli”. [M. Mezzanotte, Essere un padre, p. 7]

L’immagine del Papà ci accomuna: ognuno di noi ha inevitabilmente Un Padre reale, Un Padre sociale, e allo stesso tempo ha Un Padre interiore: un Padre archetipico e Un Padre ultraterreno. [M. Mezzanotte, Essere un padre]

Il paterno che ci abita è colui che compie la scelta di rinuncia all’onnipotenza della solitudine. Ogni volta che ci sentiamo in questo stato di rinuncia possiamo essere padri.

La solitudine dell’onnipotenza è, come ci suggerisce Eugenio Borgna in La solitudine dell’anima, isolamento. Inoltre, sempre secondo Borgna, la solitudine ci mette in contatto con l’infinito che è l’altra faccia della medaglia dell’onnipotenza.

Rinunciare alla solitudine significa rinunciare al sentimento d’attesa e al desiderio della relazione. 

Il padre non va atteso, va cercato

Questa è una frase di Giorgio Antonelli in Essere un Padre. Dal punto di vista dell’esser figli, immersi nell’assenza potente di un paterno, non possiamo permetterci di attendere. L’attesa crea il vuoto, il vuoto la solitudine, la solitudine l’onnipotenza.

Così per uscire da questo stato onnipotente dobbiamo iniziare una ricerca.

Quando e Dove bisogna ricercare? 

Quando e Dove? 

La risposta, in questo caso, risiede proprio nelle domande. Il paterno, infatti, è presente anche nelle domande Quando? e Dove?

Quando? È una domanda temporale che ci rimanda a Cronos il Padre di tutti gli dei. Il tempo ci limita, ci definisce, ci impone, ci fa crescere, è quindi un padre.

Dove? È la domanda del luogo che ci conduce a definire una patria, ovvero, etimologicamente, un padre. I luoghi sono madre-patria, sono i nostri genitori. Una parte del Dove? è senso della nostra paternità e della nostra patria interiore.

Cercare il paterno significa porsi delle domande in relazione al tempo e allo spazio dentro di sé e attorno a sé. 

Digressione collettiva e conclusioni

Cercare il paterno, significa cercarlo dentro e fuori di sé. Per questo motivo concludo questo discorso sul padre partendo da una piccola digressione collettiva sull’Italia, nazione fratricida

In Italia l’archetipo paterno non è assente è fantasmatico.

In psicologia spesso si parla di parricidi, ma in Italia, per noi psicologi, ha poco senso parlarne. La nostra storia mitologica ci consiglia di soffermarci più sulle immagini di fratricidio perché è da queste che parte la nostra fantasia di origine.
Con tutto il positivo e il negativo che comporta, l’Italia non è un paese parricida: perfino il nostro Inno nazionale ci suggerisce che siamo Fratelli d’Italia. Non siamo figli della madre-patria, non siamo figli di una coppia genitoriale: le nostre fantasie di inizio viaggiano orizzontalmente attraverso i nostri fratelli e le nostre sorelle. Siamo un paese con prevalente presenza di personalità ermetiche e mercuriali; siamo creativi, poco gestibili, sempre in inganno, abbiamo poche regole da rispettare.
Non abbiamo Un Padre. I nostri miti d’origine partono da interazioni tra fratelli e, in particolare, raccontano di relazioni fratricide. Romolo e Remo, i due fratelli che fondano Roma, sono Fratelli d’Italia. Romolo uccide Remo per rivendicare il proprio territorio, ma anche altri fratelli mitici, come Caino e Abele rispondono a questa caratteristica: Caino uccide Abele.
Siamo un paese di fratelli fratricidi.
Un Padre italiano può dormire sonni tranquilli, non arriverà alcun figlio pronto ad ucciderlo per rivendicare il suo territorio psichico. Ma Un Padre sarà pronto a osservare l’eterna lotta fratricida a cui siamo condannati? Viviamo in uno Stato nel quale bisogna guardarsi le spalle dal proprio fratello, dal proprio amico, dal proprio collega di lavoro. Uno Stato in cui per vivere bisogna uccidere il proprio fratello interiore piuttosto che il proprio padre interiore. Tutto ciò ha un’implicazione comportamentale molto importante, soprattutto nelle sue inflazioni. Il Paese, non avendo Padri destituiti, sta vivendo un periodo di invecchiamento e continuerà ad invecchiare.

Oggigiorno gli uomini sono considerati ragazzi fino a oltre quarant’anni, ma un uomo a vent’anni ha già la piena capacità di intendere e volere, oltre alla smisurata energia psichica per farlo.
Questa confusione generazionale crea paradossi lavorativi in cui si cercano neolaureati con dieci anni di esperienza, per proporre loro un contratto di apprendistato. Le energie dei giovani non espresse, ma castrate, esplodono creando mostruosità, demoni, patologie psichiche e fisiche. [Essere un padre, pp. 14-15]

Per concludere l’articolo rispondo alla domanda di Massimo Recalcati: Cosa resta del padre?

Del padre resta una scelta. Della ricerca del paterno restano domande. O forse del papà non deve rimanere nulla perché deve scomporsi in infiniti altri elementi per liberarsi dall’onnipotente solitudine, l’onnipotenza del Puer Aeternus che sceglie di avere un luogo e un tempo in cui vivere: un quando? e un dove?.

Del padre resta il sentimento di solitudine che ci spinge a creare il mondo intorno a noi. 

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P.S. Ogni papà può essere un uomo. Hai letto l’articolo che descrive gli 8 archetipi dell’uomo? CLICCA QUI per leggerlo!

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Info sull'autore

Michele Mezzanotte

Psicoterapeuta, Direttore Scientifico de L'Anima Fa Arte. Conferenziere e autore di diverse pubblicazioni.

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