Floyd: Non posso respirare… ma non è COVID

Ad ogni respiro del mattino
capisco che grande dono la vita mi abbia dato
ad ogni tristezza che nego
sento una possibilità dentro di me morire
(MIdge Ure)

Leggere in trasparenza! Questo facciamo qui. Osserviamo gli accadimenti del mondo come il riflesso dell’anima. Osserviamo cosa accade come fossero fondi del caffè o viscere di serpenti e, sempre, ritroviamo processi psichici individuali. Allora interroghiamoci su George Floyd e facciamolo proprio mentre il Virus batte in ritirata. Quello stesso virus che sarebbe potuto mutare per divenire più letale per noi, ha invece deciso di mutare per divenire meno letale, quasi a volerci difendere, quasi a trattarci come il pianeta che abita e che stava inquinando. Ah virus ecologista! Ah se solo avessimo solo un briciolo della tua saggezza, allora la Terra, la nostra cara Madre, non sarebbe così vilipesa e imbrattata.

Ma torniamo a Floyd

Sia chiaro che qui scriviamo di psicologia. Dunque non ci addentreremo su chi fosse George Floyd se non per il fatto che era un rapper. Non saremmo capaci di proporre una disamina geopolitica delle forze in gioco, di chi sono i buoni o chi sono i cattivi. Di quanta malavita e quanta politica stia entrando in gioco. Dunque, poggiata sul tavolo l’indignazione, la rabbia, e tendendo in tasca la tristezza, osserveremo solo ciò che è accaduto come l’ennesima storia sul respiro che manca, sul respiro e la morte. Si perché tutto ciò che ha a che fare col respiro e con la morte, tutto ciò che riguarda l’ultimo respiro ci impone una revisione del modo in cui siamo in rapporto con la Psiche.

Psiche soffio di Farfalla

E già. Psyche è parola greca da pronunciare mettendo la bocca a “culo di gallina” e vocalizzando quella Ypsilon come fosse una “I” e una “U” allo stesso tempo. E Psyche vuol dire farfalla, anima, soffio, respiro. Letta così la questione, sembra chiaro, che psicologia significhi qualcosa del tipo “discorso sulla Psiche, discorso sull’anima e sul respiro”. Allora noi psicologi siamo chiamati a pronunciarci assolutamente. Si perché dal virus a Floyd, questo è l’anno in cui ci viene chiesto di cambiare e trasmutare il rapporto che abbiamo col respiro e con Psyche.

I can’t breathe

Quanti in questo primo semestre di questo anno stramaledetto e benvenuto hanno avuto la sensazione di non riuscire a respirare. Il virus ci ha messo il ginocchio sul collo, ci ha sottomesso, ci ha obbligato a ripensare il modo in cui viviamo. Ripensare alle priorità. Allora immagino quel poliziotto come si sia sentito. Un po’ come il virus. Quel poliziotto faceva ciò che era nella sua natura, secondo necessità. Levava il respiro e infine l’anima del rapper perché non poteva fare altrimenti. Il virus non si è certamente messo a pensare se ci saremmo offesi, intristiti o indignati. Il virus ha continuato a levarci il respiro. E penso che altrettanto fa la legge quando perde l’anima. La legge quando perde l’anima agisce solo ed esclusivamente in autotutela. Come il virus, cerca di sopravvivere e soggiogare l’organismo che ha di fronte. Questa è la banalità del “male” ossia la sopravvivenza di un immaginario a scapito di tutti gli altri.

Il virus alza il ginocchio

Eppure, lo dicevamo in apertura, il virus ha alzato il ginocchio dal nostro collo. Ha ridotto la pressione, ha abbassato la sua carica virale. Sembra aver iniziato a salvaguardare i suoi ospiti. In modo un po’ ecologista. Come ad essersi reso conto che la nostra sopravvivenza fosse necessaria alla sua. Ahh! Se solo quel poliziotto fosse stato raggiunto dagli stessi dèi del virus! Se solo all’ottavo minuto avesse avvertito che l’organismo che teneva sotto il suo giogo, era in vero, suo fratello! Se solo avesse colto il profondo legame che lo teneva legato a Floyd. Invece no. Tracotante ha premuto di più e noi lo additiamo convinti di essere il rapper senza invece accorgerci che stiamo premendo il nostro ginocchio un po’ ovunque. Dentro di noi e intorno a noi. Inquinare, consumare, comprare, non parlare, iperginnasticare. Il ginocchio dell’umanità continua a premere sulla psiche individuale e collettiva.

Covid Bosso Floyd

No. Non è un gioco di parole. Ora vi spiego. In ognuno di noi c’è un Derek Chauvin, in ognuno di noi c’è quel poliziotto che leva il respiro alle parti verso cui siamo razzisti. Prima di Derek ci aveva pensato il covid a levarci il respiro. Il virus colpisce i polmoni e ci invita a riflettere ma noi lo facciamo per un certo periodo poi ci giriamo dall’altra parte. Poi Bosso, direttore d’orchestra che si definiva musicista pneumologo, ci viene a rammentare l’importanza del respiro. Bosso la cui opera si sostanzia in quei “Sei Respiri” con cui ci invitava ad un’apologia del respiro. Lo abbiamo pianto, mentre esalava il suo ultimo e poi… Potevamo intraleggere in questi eventi l’invito a rivedere il nostro rapporto con Psyche, col respiro e con l’anima. Un invito a ripensare lo stato di polizia a cui obblighiamo la nostra Psyche. E invece, come in un film poliziottesco anni 70’, se gli eventi si ribellano la “polizia s’incazza”.

Strapotere dell’IO

La psicologia ha messo a fuoco da tempo la nostra tendenza a regimentare tutte le nostre emozioni, bisogni e condotte, sotto l’attento controllo di quello che è stato chiamato “IO”. Una idolatria della coscienza e della memoria secondo cui ricordare, rendere cosciente, gestire, razionalizzare sono divenuti degli imperativi irrinunciabili. E la più grande invenzione del ‘900, l’Inconscio, è divenuto il più grande e vasto ghetto della psiche. Noi conosciamo perfettamente cosa sia un ghetto e chi lo abita, sappiamo chiaramente che esistono l’Africa, le favelas, le dittature ma, con l’invenzione dell’inconscio la psicologia ha giustificato la rimozione. Sia chiaro, ritengo che la rimozione non esista e che non esista l’inconscio. Tutto ciò che non ci piace lo mettiamo lì in un ghetto. La logica è semplice… se sta lontano dagli occhi, posso far finta di averlo dimenticato. Ma così non è.

Non odiamo la polizia

Invece l’inconscio non esiste, non possiamo dimenticare, possiamo solo fingere di farlo. E così stiamo facendo con il virus, con Bosso e col respiro che manca al povero Floyd. Questa è l’era in cui cambiare il modo in cui respiriamo, il modo in cui regimentiamo la Psyche e noi, invece, gli mettiamo un ginocchio sul collo. Invochiamo la polizia. Non sono antipoliziotto. La polizia ha una sua funzione dentro di me e nel mondo che abitiamo. Piuttosto temo per loro e lo stress a cui sono sottoposti. Temo per Derek che sulle spalle sentiva tutto il peso di tutti coloro che gridavano di premere orgogliosamente quel ginocchio. E temo per noi. Temo il fatto che, complice incolpevole Freud, non riusciremo a leggere l’invito che gli eventi ci fanno. L’invito a cambiare il respiro e a sfuggire al razzismo dilagante. Integrare anzi meglio, farsi integrare da quelle parti di noi che non ci piacciono.

Il contributo della Psicoterapia

Allora su quel ginocchio leggo anche il peso di tutti i derivati della psicologia. Counselor, coach e compagnia cantando che vendono percorso per attivare e stimolare “la miglior versione di noi stessi”. Ecco un altro sintomo. Ma noi dobbiamo cambiare il nostro rapporto con la psiche. Dobbiamo smettere di integrare, rendere, cosciente, potenziare o gestire. Dobbiamo iniziare a pensare che la parte di noi che gestisce è quella che non deve integrare, piuttosto deve essere integrata. Ecco lo scopo della psicologia e della psicoterapia. Non tanto promuovere la miglior versione di sé, quanto fare pace con la peggior versione di noi stessi. Quella a cui il nostro poliziotto psichico, l’unico verso cui indignarmi, continua a levare il respiro.

P.S. CLICCA QUI per leggere Ezio Bosso: quando manca un maestro manca il respiro

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Info sull'autore

Luca Urbano Blasetti

Psicologo e Psicoterapeuta; Dottore di Ricerca in Psicologia Dinamica sul tema Creatività e sue componenti dinamiche; Responsabile del Centro Emmanuel per Tossicodipendenti di Rieti presso cui cura diversi progetti regionali; autore di diverse pubblicazioni psicologiche; lavora nel suo studio.

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