Simboli di un governo d’emergenza

È nato il governo Draghi. Un governo di emergenza, per l’emergenza. Un governo in cui si uniscono tecnici e politici. Un governo che copre praticamente l’intero arco della rappresentanza parlamentare. Un governo che da molti è stato visto come uno spiraglio di luce per affrontare l’emergenza e per iniziare una ricostruzione.

Non so e non mi interessa esprimermi su questo. Mi interessa ragionare intorno a una domanda: perché mai questo governo potrebbe avere significati da scoprire attraverso la psicologia?

Sicuramente c’è una parte di psicologia politica. Sicuramente c’è molto di psicologia sociale. Ma c’è anche una buona fetta di psicologia simbolica. Di miti che prendono forma. In queste righe vorrei condividere la riflessione sul perché, in piena emergenza e all’alba della ricostruzione, in molti abbiano cercato un tecnico e non un politico. Ovviamente con l’aiuto della psicologia.

Psicologia del governo

È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora (W. Churchill)

Come scegliamo chi ci governa? A questa domanda si può rispondere con il Diritto Costituzionale. Ma, in modo più profondo, si può rispondere con una visione psicologica. In Italia per anni si andava al voto verso i partiti. Si votavano agglomerati di idee, che, attraverso scuole di partito e di militanza, esprimevano candidati. Persone che rappresentavano un’idea programmatica. Via via, a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, ci si è spostati verso elezioni individuali. Abbiamo guardato a persone, più che ai partiti. A livello di rappresentanza politica questo è un inganno di comunicazione. Il leader è uno; la rappresentanza – poco importa se a livello parlamentare, regionale o locale – è molto più numericamente ampia. Se andassimo a votare domattina, sulla scheda non troveremmo il nome del Primo Ministro. Non troveremmo Conte, Draghi, Zingaretti, Salvini, Meloni ecc. Ma ascoltiamo queste persone nelle loro comunicazioni, nelle loro narrazioni.

E ascoltando le narrazioni dei leader, ci formiamo un’idea su chi votare. Se votiamo per la persona, consideriamo, implicitamente ed esplicitamente, variabili psicologiche. Guardiamo all’immagine del candidato e scegliamo di attribuirgli fiducia. Scegliamo una persona in grado non solo di rappresentarci, ma di governare a nome nostro. Implicitamente o esplicitamente, scegliamo qualcuno che “la pensa come me”. Questo meccanismo, ad esempio, è stato alla base del successo del Movimento 5 Stelle. È alla base del fallimento elettorale dei partiti classici.

Tuttavia, le persone o, per meglio dire, il singolo leader, in tempi di comunicazione frenetica e continua ha vita breve. Sono rarissime le persone in grado di catturare la nostra attenzione e la nostra fiducia per tempi dilatati.

E allora che votiamo a fare?! Domanda inutile. Più utile ragionare sul perché, anche in piena pandemia, si è posta l’opportunità di votare di nuovo. Che sia il voto di un congresso di un partito o che sia il voto per una nuova rappresentanza parlamentare, il voto rappresenta un momento di transizione: morte e rinascita.

“Il re è morto. Viva il re”. “Morto un papa, se ne fa un altro”. Le Istituzioni hanno uno spazio vitale molto più ampio rispetto alla vita pubblica di un singolo leader. Quale leader, per definizione un po’ Mercurio e un po’ Narciso, accetterebbe l’oblio del sipario che si chiude?

Gli eroi son tutti giovani e belli

Sta arrivando l’uomo della provvidenza. E io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre (Indro Montanelli)

Amo la politica. Ancor di più amo la psicologia. E unendo questi due amori provo a studiare ogni giorno i meccanismi di base di psicologia politica. Ci sono schemi empirici da usare per provare ad avere domande a cui rispondere. Ma ci sono anche chiavi di lettura simboliche.

Una di queste è il concetto di emergenza. Nella Repubblica Romana (509 a.C. – 27 a.C.), in caso di emergenza si nominava un dittatore. Un’unica persona che gestisse per un periodo di tempo limitato una situazione di pericolo. Veniva nominato di notte. In silenzio. In caso di calamità oggi si nomina un commissario ad hoc, qualcuno che gestisca l’emergenza, scavalcando la burocrazia. È un meccanismo intuitivo: c’è un’emergenza, non c’è tempo se non per agire.

Emergenza e azione sono i termini su cui focalizzarsi. L’emergenza è un evento che rompe gli schemi classici di comportamento. Una crisi economica, un cataclisma, una pandemia sono eventi in grado di modificare buona parte della nostra vita: chi più, chi meno, abbiamo tutti sperimentato quanto possa essere impattante una crisi. E alla crisi chiediamo tutte e tutti risposte, chiediamo azioni per non essere schiacciati, annientati. Per non morire. Perché in caso di crisi rischiano di morire le persone e rischiano di morire anche le istituzioni. Ed ecco che, in un meccanismo alchemico, spunta fuori l’eroe dell’emergenza. Conte è stato il rappresentante-eroe della gestione politica del primo anno caratterizzato dal Covid. Ha rotto gli schemi della comunicazione istituzionale: teneva comunicazioni a reti unificate, prima di aver pubblicato i famosi DPCM. Ha creato uno stile narrativo tanto impattante da aver dato vita a un successo di popolarità individuale importante. George W. Bush ha avuto un rimbalzo importante di popolarità subito dopo l’11 settembre. Silvio Berlusconi ha avuto un’opportunità di successo politico dopo il terremoto de L’Aquila. Sandro Pertini rafforzò la sua popolarità sferzando contro la macchina dei soccorsi dopo il terremoto dell’Irpinia. Papa Pio XII viene ricordato per l’uscita tra il popolo dopo il bombardamento di San Lorenzo. Potrei continuare all’infinito.

Basti dire che c’è una chiave psicologica precisa in tutto questo. In momenti di crisi, non riusciamo a percepire la presenza istituzionale, se non attraverso l’individuo-leader. Un errore di calcolo del nostro sistema?

No. L’archetipo del guerriero che prende forma.

Draghi e guerrieri

Voi, magari, ve credete che stamo ancora qui a giudica’ Giordano Bruno ma, quando cambiano i tempi, ottimi padri, cambia il modo di vedere le cose, e cambia anche la morale sulla quale si fonda la legge (Dal film In nome del papa re)

Il guerriero è un’entità di integrità, di forza, di coraggio. È difesa dalla minaccia. È attacco contro la fragilità. Il guerriero non riesce a fare a meno di dividere in bianco o nero.

Una persona che si fregi di competenza, uno scienziato, un tecnico è abituato a ragionare con i dati. Lavora sulla presunta oggettività. Non ho soldi; non spendo fino a quando non avrò reperito le risorse. Al tecnico attribuiamo la capacità di non avere incertezze. La politica classica, viceversa, vive su un filo sottile fatto di sfumature, di compromessi. E dovrebbe vivere di programmazione.

Ma a molti il termine “politica” richiama una sensazione viscida, di imbroglio, di sotterfugi. Chi mai sceglierebbe l’incertezza e l’imbroglio per gestire un’emergenza? Chi di noi convocherebbe un’assemblea di condominio per fermare l’allagamento di un appartamento?

L’archetipo del vecchio saggio, incarnato nel ruolo del Presidente della Repubblica, è sceso nella scena politica. Ha consultato i rappresentanti delle forze politiche presenti in parlamento. Ha rotto lo schema delle percezioni micro-categoriali (la visione e le proposte dei singoli partiti) e ha tentato la svolta chiamando un tecnico. Ha provato a chiamare in azione un tecnico, la personificazione dell’archetipo del guerriero. E il guerriero a portata di mano è stato Draghi. Una delle tante persone a cui, implicitamente o esplicitamente, chiediamo di governare al posto nostro. Nella speranza che, da tecnico, abbia strumenti superiori ai nostri per risolvere una crisi. Un guerriero in grado di portare la luce nel buio.

In bocca al lupo allora a Draghi e al Governo che conduce. In bocca al lupo anche a tutte e tutti per forgiare la nostra capacità di cercare la luce, anche in piena oscurità, unendo i nostri archetipi. Più che essere “popolo”, siamo tutti alchimisti della politica.

P.S. CLICCA QUI per leggere il profilo psicologico di Giuseppe Conte

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Info sull'autore

Francesco Di Prinzio

Laureato all'Università d'Annunzio in Psicologia dei Gruppi, delle Comunità e delle Organizzazioni. Attualmente dottorando in Psicologia Sociale presso Sapienza, si interessa di Psicologia Sociale applicata alla politica. Lavora tra Abruzzo, Campania e Lazio, in attività di ricerca, di integrazione e di promozione sociale.

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