Sei bipolare? La psicopatologia del secolo

Focus group, circle time, role playing… Quanto mi fa tenerezza la Signora Psicologia che si “anglofonizza” per sentirsi più scientifica. Sembra quasi si senta la parente povera delle altre scienze e, un po’ come noi italiani che cerchiamo di sentirci un po’ meno vecchi e negletti rispetto al resto del mondo, si impegna ad usare inglesismi anche fin dove di inglese c’è poco: Cosi rischia di risultare piuttosto “boomer”, ossia goffamente smart nel transitare luoghi e strumenti della generazione successiva a lei. Insomma la giovane signorina, la Psicologia, certamente cerca di descrivere ciò che accade per farci credere che lei sola abbia compreso il come e il perché. Invece è solo furfantesca e ladra di ciò che già è contenuto in altre discipline.

Disturbo bipolare: etnopsicologia e sociologia della diagnosi

Non penso di rivelare verità nascoste se vi dico che ciò che è patologico in una cultura è del tutto sano in un’altra. Se volessimo verificare i criteri per individuare una persona antisociale, ossia chi notoriamente ha una certa idiosincrasia per il sistema di norme condiviso, dovremmo sicuramente andare a studiare proprio quel sistema di norme. I movimenti di una cultura sono sottili ma sostanziali e, ad esempio, ci ritroviamo che in Italia i miracoli si configurano in genere come statue di madonne che piangono mentre in Spagna sembra che piangano soprattutto dipinti del Cristo. Ma ancora… se negli Stati Uniti si deve aver timore di andare a scuola o all’università perché è frequente che qualcuno si vesta da militare e faccia stragi, qui in Italia la violenza è soprattutto dentro le mura domestiche. Insomma qui ci viene in aiuto Einstein e la relatività della diagnosi per la quale è sempre necessario un sistema di riferimento.

Cosa è il disturbo bipolare

Il cosiddetto disturbo bipolare viene definito dalla nosologia classica come una sofferente oscillazione tra fasi depressive e maniacali. Non staremo qui a specificare le peculiarità e non siamo in contrasto con la letteratura sul disturbo bipolare, piuttosto vogliamo amplificarne alcune riflessioni (Per approfondire vi rimandiamo ad altri articoli. Clicca qui se vuoi leggere “Disturbo Bipolare: sintomi, cause e terapia”), qui vi invitiamo a fare un piccolo viaggio speculativo. Dunque sia sufficiente dire che nella fase depressiva su è giù di morale con sentimenti di vuoto, angoscia e svalutazione, mentre in quella maniacale, all’opposto, si è piuttosto attivati e si ha un’idea di se molto più tendente alla grandiosità. Nella fase depressiva c’è una ipoattivazione mentre in quella maniacale una iperattivazione o, per dirla in modo “boomer” c’è iperarousal. Un tempo questa ciclicità era detta ciclotimia, oggi viene chiamata bipolarità.

Il bipolare fa paura in fase maniacale

Questo è un aspetto tutt’altro che marginale. Si perché, mentre quando si è depressi si è sostanzialmente un pericolo per sè e si mette una preoccupazione più sostenibile nei propri congiunti, in fase maniacale quella sensazione di grandiosità può generare danni notevoli. Quell’iperarousal spinge a spendere, a dipingere, a scrivere, a parlare ma tutto nell’osi, tutto nell’eccesso e questo è molto meno sostenibile da parte dei congiunti (maledetto covid che mi cambia il lessico). Insomma se una persona cosiddetta bipolare dalla nosologia arriva in terapia, è molto probabile che ciò avvenga dopo una fase di iperattivazione manicale che, oltre a stancare i congiunti, fiacca il paziente stesso.

Perché la ciclotimia si è trasformata in bipolarità?

Ciclotimia un tempo significava che ogni tanto mi sento giù e ogni tanto mi sento su. Questo appartiene a tutti. Ma quando l’oscillazione aumenta nella sua escursione allora tutto diventa molto più faticoso. Penso comunque che non possiamo prescindere dai cambiamenti nelle nostre abitudini. Oggi siamo sempre più pieni di esoneri. Oggi abbiamo motori elettrici su ogni oggetto che ci sollevano dalla fatica del movimento. Oggi abbia app che fanno qualsiasi cosa. Oggi possiamo sempre più anelare a una forma di ozio globale in cui non dobbiamo più spendere calorie per far nulla. La prima conseguenza di questo è l’aumento dell’attività sportiva da una parte e dell’insonnia dall’altra. Ma soprattutto, partendo dall’idea che ognuno ha una certa dotazione di energia giornaliera da consumare, la principale conseguenza è l’accumulo di questa energia. E’ banale ma direi che una società che idolatrizza l’esonerabilità è una società in cui l’accumulo delle energie non consumate si esprimerà ritmicamente come la valvola di sicurezza di una caldaia, sfogando la pressione in modo scomposto.

Energie rinnovabili

Ah quanta bella ecologia ci ha spinto a riflette sull’investire in energie rinnovabili. E quanto energia spendiamo ogni giorno! Il quantitativo di energia che produciamo è necessario a rispondere a un immaginario, quello secondo cui noi possiamo, costantemente, tutti, nessuno escluso, anelare a non fare una mazza per tutta la vita. E questo ozio, Creativo, lo chiamava De Masi, sembra essere divenuto l’eldorado dell’era contemporanea. L’oro alchemico un tempo era ritenuto essere contenuto nella capacità di trovare il proprio telos, il proprio scopo. Oggi sembra che la questione si sia invertita e che l’oro si trovi nella possibilità di non avere scopi.

Entropie psichiche

Ma se produciamo tutta questa energia questo significa che ognuno dei nostri corpi cumula giornalmente quella autoprodotta. Insomma più energia consumiamo la fuori e meno ne dissipiamo qua dentro. Allora la domanda è banale. Che fine fa quella energia psichica? Dove vanno a finire i joule della nostra immaginazione? Dove si cumulano i kilojoule delle nostre ambizioni? E il concetto di Entropia non ci ha aiutato. Entropia tradotta come misura del “disordine”, ossia la naturale tendenza del cosmo ad andare verso una energia sempre più indifferenziata e disordinata, insomma questo concetto ci ha indotto a pensare che il consumo delle nostra energia non fosse cosa buona.

Marcire e bipolarità

E quello che non consumiamo semplicemente marcisce. Esprime la sua energia liberando gas. Così il cassetto della verdura puzza di metano se il frigo si rompe mentre siamo in vacanza. Allora perché ci meravigliamo della bipolarità. Altro non è che la manifestazione proprio di questa divaricazione energetica. Da una parte l’idolatria dell’ozio reprime la dimensione volitiva fino a deprimerci, dall’altra l’accumulo di energia deve trovare le sue incontrollate fughe di gas per poter restare in equilibrio. In questo modo la bipolarità è tutt’altro che patologica, la bipolarità è il naturale adattamento della psiche alle imposizioni delle inflazioni sociali. Per questo la bipolarità sta diventando un evento corale e collettivo. È semplicemente il tentativo della psiche collettiva di ritrovare un suo equilibrio.

Disturbo bipolare e psicoterapia

E qui giungiamo ad una nuova possibilità di definire la psicoterapia con un’immagine. Se su di un pianoforte funziona un unico tasto non mi devo concentrare su quel tasto, piuttosto mi chiedo perché gli altri siano silenti. Dunque se nella nostra anima funziona solo un dio, una sola emozione come, che so, la depressione saturnina o l’iperbolica iperattività di mercurio, non perdiamo tempo a placare quegli dèi. Questo lo fa il farmaco o la medicina. Sopprime chimicamente il sintomo. Piuttosto la psicoterapia invoca tutti gli altri dèi, tutta quella popolazione psichica che resta silente a guardare. Quindi ci dobbiamo chiedere perché accettiamo così passivamente di smettere di immaginare? Perché ci sta bene che quella funzione stia zitta? E se è vero, come dice Hillman, che le relazioni finiscono non quando smettiamo di amare ma quando smettiamo di immaginare, allora perché mai tutte quelle che oggi chiamiamo malattie da iperarousal, non potrebbero essere il tentativo di psiche di continuare a immaginare? E tutto in difesa del bisogno atavico di non far finire le relazioni.

P.S. CLICCA QUI per leggere Depressione come ribellione. Il male oscuro che cura l’anima

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Info sull'autore

Luca Urbano Blasetti

Psicologo e Psicoterapeuta; Dottore di Ricerca in Psicologia Dinamica sul tema Creatività e sue componenti dinamiche; Responsabile del Centro Emmanuel per Tossicodipendenti di Rieti presso cui cura diversi progetti regionali; autore di diverse pubblicazioni psicologiche; lavora nel suo studio.

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