La Rimozione dell’Altro

Gli ultimi provvedimenti del governo per contenere la pandemia ci hanno privato della tradizione. Questa almeno è la conseguenza più evidente, ma ciò che molti non notano è come le cause di questi provvedimenti siano in realtà lo specchio di una società in cui si esalta l’individualismo e si è rimosso ogni “altro” da noi. Queste due figure, infatti, l’io (medesimo) e l’altro (chiunque sia diverso da noi) sono al centro delle dinamiche che hanno portato a questo lockdown natalizio.

In un articolo apparso ne La Repubblica (inserto Robinson) del 2 Dicembre 2018, Massimo Recalcati scrive alcune parole evocative sul problema dell’Io in psicoanalisi che vorrei fossero lo sfondo di questa nostra riflessione sull’alterità: «Una cura analitica non consiste nel rafforzare il potere dell’Io, ma nel suo più radicale svuotamento. In questo il percorso di Jung interseca quello di Lacan: per entrambi l’esperienza dell’analisi non consiste in una bonifica delle zone paludose dell’inconscio ma nella riabilitazione del suo potere. Essa non è un esercizio di padronanza dell’Io sull’inconscio ma diviene esperienza, come direbbe junghianamente Lacan, di “crepuscolo dell’Io”».

L’io e l’altro

La dimensione dell’alterità, cioè ciò che racchiude quanto è “altro” da noi (il non-io, o un “io” che è “altro” dal mio “io”) è da sempre il luogo chiave per comprendere l’essere umano. L’antropologia stessa si fonda sullo studio del rapporto tra il medesimo e l’alterità. Come l’essere umano gestisce il proprio sé individuale ed i propri sé collettivi (la struttura delle società) rispetto agli “altri-da-sé”. L’altro ignoto, l’altro non riconosciuto e l’altro conflittuale. Nella gestione del rapporto con l’altro quello che accade è un vero e proprio scontro tra identità. L’esistenza stessa di un modello “altro” rispetto al mio è fonte di crisi per le certezze di ciò che ci è noto e che fonda gli elementi della nostra identità. L’ego si trincera dietro le proprie certezze, nella credenza di uno statico e monolitico “io sono”, mentre è terrorizzato dall’impatto che è l’incontro-scontro con chi fa altrettanto del proprio sé, ma il cui sé è “altro” rispetto al mio sé.

La “rimozione” dell’Altro

Basta portare queste nostre riflessioni alla contemporaneità per renderci conto che ci siamo dimenticati dell’altro. Nonostante il periodo di crisi pandemica ci imporrebbe di agire considerando anche gli altri che di solito dimentichiamo nella nostra superficiale arroganza, i comportamenti che hanno costretto i vari governi a chiudere tutto per natale derivano proprio da un atteggiamento di imposizione del proprio ego, che non tiene conto delle conseguenze del proprio comportamento. Ma, come vedremo, questo atteggiamento si riversa anche contro chi pensa di poter vivere senza tenere conto dell’altro.

La psicoanalisi lacaniana ha riconosciuto a tal punto la potenza di questo grande Altro da identificarlo con l’inconscio. Per Lacan, l’Altro (con la A maiuscola) è sostanzialmente luogo dell’inconscio. E sebbene noi siamo persuasi di bastare a noi stessi, nasciamo in questo luogo dell’Altro: siamo sostanzialmente soggetti gettati nell’alterità estrema, dalla quale ricaviamo un piccolo spazio personale isolato per costruirci la nostra identità. La reintegrazione dell’Altro nella nostra vita è un passo fondamentale per il superamento di ogni disagio. Potremmo dire che l’Altro, temuto in quanto ignoto, è sostanzialmente un grande “rimosso”. Questa rimozione dell’Altro è funzionale a tutelare l’Ego superficiale da un confronto che inevitabilmente metterebbe in crisi le basi della sua stessa sussistenza. Un “io sono” ha bisogno di credersi l’unica o la migliore forma di vita possibile, mentre l’esistenza di altri “io” è una potenziale dimostrazione concreta della fallacia dell’identità che si afferma con forza sul mondo, che dunque vacilla costantemente al confronto con gli altri-da-sé.

Ma questo vacillare non è un male. Vacillare significa fortificarsi ed abbandonare l’identità più blanda e superficiale, la “maschera” sociale, per un sé più interdipendente e strutturato che si ponga come snodo di una rete infinita di altri sé, che dunque non rifiuta ma accetta e prevede come forma in cui anche il “sé stesso” si sostenta. In questo meccanismo di accettazione, di “alterizzazione dell’io psicologico”, la psicoanalisi è fondamentale per illuminare una strada che altrimenti sarebbe poco battuta.

Critica alla psicologia dell’Io

Anche James Hillman naturalmente riconosce la pericolosità di una psicoanalisi egolatrica (che esalti il ruolo dell’Ego) liquidando giustamente l’identità ad un «articolo di fede religiosa e un assioma della mentalità occidentale: l’individualità umana è anche poco meno che una certezza statistica» (James Hillman, “Il Codice dell’Anima”, Adelphi, 2013: p. 177).

Dopo anni di esaltazione dell’io, il mondo psicologico deve sostanzialmente abbandonare le forme egolatriche di terapia, in cui si pensa che solo in un “io” forte (e fortificato) stia la salute. Al contrario, una vera via psicanalitica dev’essere un percorso antropologico di “demolizione” dell’io. L’analizzante deve in qualche modo accogliere la crisi della propria identità, perché se ci si dimentica dell’Altro, non ci si dimentica di un estraneo, ma di una parte di sé. Ogni soggettività è inserita in una rete totale, “collettiva”, da cui non è possibile distaccarsi. Tutti gli esseri sono “sé stessi” solo perché possono appoggiarsi agli “altri-da-sé”. Se invece l’altro è percepito come un nemico, e dunque isolato, ecco che anche la nostra soggettività si auto-isola. Ma in questo isolamento perde di significato, perché solo nel rapporto con l’altro può darsi un autentico sé. Un sé che pretende di essere indipendente da tutti gli altri, finisce per rendersi irrilevante. Se infatti è solo nella relazione con l’altro, che noi siamo veramente “noi stessi”, ecco che l’isolamento ci rende sostanzialmente privi di sostanza.

Attualità della rimozione

Eccoci tornati dunque al tema iniziale. Oggi sempre di più vediamo e viviamo gli effetti della “rimozione” dell’Altro. Nella società di individui sempre più isolati, in cui anche il mio prossimo è considerato un potenziale pericolo, viene favorita esclusivamente una dimensione egoica, in cui è la tutela degli interessi superficiali del proprio io l’unica priorità. Ecco, dunque, che ogni sforzo altruistico viene vanificato. In periodi di crisi è necessario che un individuo pensi anche all’altro, e a come le sue azioni possano influire sugli altri da sé; ma non c’è bisogno di fare esempi concreti, che in questi ultimi giorni sono sotto gli occhi di tutti: azioni di singoli dirette da un bisogno di favorire interessi superficiali che non tengono minimamente in considerazione il peso delle possibili conseguenze che portano inevitabilmente ad un danno generalizzato, un danno agli “altri”, che però si riversa inevitabilmente anche su noi stessi, in quanto noi siamo sempre un “altro” per gli altri. Proprio in questi giorni osserviamo come azioni egoistiche ed individuali prese senza considerare la dimensione dell’altro, portino a delle conseguenze che toccano in prima persona anche quell’io “medesimo” che scioccamente ha pensato di poter agire isolato, senza considerare chi si pone al di là del proprio confine egoico.

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Info sull'autore

Federico Divino

Antropologo e Linguista, specializzato in Antropologia della salute mentale (etnopsichiatria). Ha compiuto un percorso di formazione personale in psicoanalisi.

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