Un saluto a Giorgio Antonucci di Valentina Marroni




Sei anni fa iniziai ad interessarmi per puro caso alle storie dei malati di mente.

Sibilla Aleramo e Alda Merini, due poetesse che mi hanno nutrita, hanno avuto esperienze manicomiali. Di loro mi interessava soprattutto la sofferenza dell’anima. Ho iniziato a cercare storie sui matti, e poi storie dai matti.

In concomitanza con questa mia ossessione, mio marito ha iniziato a lavorare come psicologo presso una clinica psichiatrica. Mi raccontava della solitudine, della sofferenza e dei demoni che li possedevano.
Poi un giorno ho assistito ad un TSO. È stato indescrivibilmente crudele e straziante. Ingiusto.

Da questa angoscia è nata una voglia di ribellione ed è così che sono arrivata a conoscere lo “psichiatra antipsichiatria” Giorgio Antonucci.

Giorgio Antonucci è stato uno dei pochi a lottare per la dignità e la libertà dell’uomo, con estrema consapevolezza, con integrità e dedizione unica.

Il lavoro da lui svolto presso il manicomio di Imola è stato encomiabile. Giorgio Antonucci ebbe il coraggio di sovvertire le regole manicomiali e iniziò a liberare dalle celle di isolamento i “matti” considerati pericolosi, dimostrando che non lo erano. E se i matti considerati pericolosi, quelli incatenati, venivano liberati, non c’era motivo di tenere in manicomio a vita persone che avrebbero potuto essere reintegrate nella società!

Insieme a Franco Basaglia, ha lottato strenuamente affinché i manicomi venissero chiusi (legge Basaglia 180).
La sua lotta alla difesa dei diritti umani non è termina nel 1978.

Il professor Antonucci ha dedicato tutta la sua vita a combattere il sistema psicofarmaceutico e per l’abolizione del Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO).

Giorgio Antonucci è stato insignito del premio Thomas Szasz.

Sabato 18 novembre 2017, Giorgio Antonucci è morto, ma fortunatamente non sono morte le sue idee.

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Michele Mezzanotte ha intervistato il Professore nel nostro N°11 MANI (CLICCA QUI per scaricarlo).

Ecco di seguito l’intervista.

Valentina Marroni

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L’intervista
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Partiamo dal principio: Giorgio Antonucci è un medico e psicoanalista, si forma in parte con Roberto Assagioli fondatore della psicosintesi. Come ha influito nel suo lavoro questo tipo di formazione?
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Dunque io ho cominciato ad interessarmi degli internamenti psichiatrici proprio quando incontrai Roberto Assagioli, psicoanalisita junghiano di ispirazione religiosa. Mi ero occupato di una persona amica di Roberto, sulla settantina, che era appassionata di studi religiosi. La signora era stata ricoverata parecchie volte perché abitando in un quartiere di Firenze da sola e con dei vicini con cui non andava d’accordo, aveva cominciato a dire che si sentiva perseguitata. Per questo fu messa in una clinica psichiatrica privata qui a Firenze. Allora io la incontrai e aprii un dialogo con lei. Parlammo molto, parlammo anche con i vicini, e quello che sembrava un difetto di una persona divenne un problema concreto sui cui discutere. Allora Assagioli si rese conto che potevo evitare gli internamenti psichiatrici dando una risposta concreta basata sul dialogo. Questa signora è stata la prima persona di cui mi sono occupato; non è stata internata ed è vissuta libera. Ogni tanto la andavo a trovare e si continuava il dialogo intrapreso anni prima. In seguito, così come evitai questo internamento, ne evitai molti altri.

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Durante il Suo lavoro ha avuto modo di conoscere Franco Basaglia. Cosa ricorda a riguardo?
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A quel tempo si parlava molto di Basaglia. Ricordo che gli telefonai da Firenze e gli dissi che mi sentivo vicino e complementare al suo tipo di lavoro, perchè lui cercava di eliminare i manicomi, io cercavo di evitare gli internamenti. Si fece anche una grande risata quando gli dissi questo. In seguito, nel 69′, Basaglia mi invitò a lavorare con lui nel manicomio di Gorizia e in seguito nei manicomi di Imola diretti da Edelweiss Cotti.

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Ha lavorato in diversi manicomi, cliniche e centri psichiatrici nel corso della Sua vita. Quali ricorda maggiormente?
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Nel 68′ divenni assistente del prof. Franco Mori che fondò La Tinaia, un laboratorio espressivo. Ricordo che c’era un uomo che stava in un angolo e parlava da solo. Io gli andai vicino, ma le prime volte non mi rispose. Si chiamava Lionello Mannelli e mi raccontò che aveva combattuto nella campagna militare in Russia sul Don, ed era stato mandato a casa “mezzo congelato”. Ritornato a casa non aveva nessuno, così lo misero in manicomio. Aveva passato parte della vita in guerra e parte della vita in manicomio. Nel mio libro La nave del paradiso c’è una poesia dedicata lui.




Ne La Tinaia conobbi il prof. Edelweiss Cotti con il quale lavorai. Cotti fu il primo, parallelamente al lavoro di Basaglia a Gorizia, a portare le idee di Thomas Szasz in Italia. A Cividale aveva fondato il Centro di Relazioni Umane, dove non si usavano farmaci e le persone erano libere. Fu il primo reparto alternativo, nel quale le persone erano libere di andare dove volevano. Erano libere di dialogare con noi. Poi venne la polizia e senza alcun motivo particolare ci fecero chiudere il centro, fu un evento molto discusso sui giornali.

Non sempre viene ricordata l’importanza del lavoro di Sigmund Freud, il quale cominciò medico ma in seguito fondò la psicoanalisi e dichiarò con chiarezza: “Ho smesso di fare il neurologo e ho iniziato a fare il biografo.” Freud aprì quel discorso che anni dopo continuò Thomas Szasz nel Mito della malattia mentale.

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Ha conosciuto e collaborato anche con lo psichiatra statunitense Thomas Szasz.
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Thomas Szasz prese contatto con me perché venne a conoscenza del mio lavoro e pensava che coincidesse con il suo. Thomas insegnava presso l’università dello stato di New York, mentre io ho sempre svolto attività pratica, ciò che ci accomuna è il modo di pensare e la concezione teorica. In seguito nel 2005 mi fu dato a Los Angeles il riconoscimento Thomas Szasz Award..

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Ho avuto modo di lavorare all’interno di una Clinica Psichiatrica Riabilitativa e mi domando, i manicomi sono effettivamente scomparsi?
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No. No!!! Non sono scomparsi. Il manicomio è una conseguenza di un certo tipo di impostazione medica e ritengo che non ci siano cliniche psichiatriche riabilitative. Nonostante la Legge Basaglia (della quale lo stesso Franco non era affatto d’accordo), oggi la coercizione esiste ancora. Finché ci sarà il T.S.O. (Trattamento Sanitario Obbligatorio) i manicomi esisteranno.

Io non ho il diritto di prendere una persona in maniera coatta, contro la sua volontà, per farla ricoverare. La persona viene annientata moralmente e fisicamente. Se si prende con la forza una persona, lei si difende e può succedere come a Francesco Mastrogiovanni che è morto per questo. Anche se non l’ammazzano, in primis non è riconosciuta la sua scelta e il suo libero arbitrio, in seguito viene portata in un istituto con coercizione, ovvero parliamo appunto di un manicomio. Infatti il manicomio è il luogo dove vanno le persone senza la loro volontà. Io sono anni ormai che mi batto per l’abolizione del T.S.O. C’è anche un movimento internazionale per abolire il T.S.O. L’abolizione dei manicomi è stata una truffa.

Nel mio lavoro tutti i ricoveri obbligatori che mi arrivavano li rigettavo, così sono stato anche indagato. Quanti artisti per equivoci medici hanno passato molti anni della loro vita nei manicomi? Ad esempio Van Gogh, o Artaud sono stati internati, e molti altri ancora…

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e quante donne…
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Poi per le donne ci sono problemi particolarissimi. In manicomio ho trovato una donna che era lì da vent’anni (aveva 40 anni quando l’ho conosciuta). Da giovane aveva subito un abuso sessuale da parte del padre. La famiglia voleva coprire lo scandalo così negò tutto e lo psichiatra fece una diagnosi di delirio. Quella ragazza ha passato vent’anni all’interno di un manicomio finché io non sono riuscito a liberarla. Le donne sono state massacrate a tanti livelli. Szasz diceva, ad esempio, che il termine isterico, è stato totalmente inventato per tenere sotto controllo il femminile e la sua forza.

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Nel mio lavoro clinico ho osservato che molti pazienti arrivano in seduta già con una prescrizione di psicofarmaci. Inoltre, la maggior parte delle Cliniche e Ospedali fanno largo uso di psicofarmaci nella loro terapia. Pensa possano essere utili alla terapia, al dialogo?
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Io penso che gli psicofarmaci non servano a nulla, se non ad intossicare l’organismo.

Ho sempre lottato e discusso con le persone che ho incontrato nei manicomi al fine di togliere dalla loro vita gli psicofarmaci. Per un problema psicologico servono analisi e dialogo, come aveva ben sottolineato Freud con il suo lavoro. Il problema psicologico non richiede intossicazione e non richiede il drogarsi. Il farmaco è una droga legalizzata.

Edelweiss Cotti era lungimirante a tal proposito e tolse subito gli psicofarmaci dai suoi istituti. Senza psicofarmaci le persone sono lucide, discutono e sono avvantaggiate nella cura.

Gli psicofarmaci sono dannosi punto e basta.

Nelle cliniche psichiatriche di oggi le persone giovani vengono sottoposte a grandi quantità di psicofarmaci. A causa di questi sopraggiunge a volte il tremito parkinsoniano perché intossicano le vie nervose. Inoltre, più prendono psicofarmaci, più si riducono male; più si riducono male, più gli psichiatri dicono che sono inguaribili, più la situazione peggiora.

Io ho visto persone che da anni prendevano psicofarmaci e che sono venute con me in parlamento europeo a difendere i loro diritti. Le persone spesso vengono messe nell’impossibilità di vivere in queste cliniche o negli ospedali.

Lo psicofarmaco è terribile come la castrazione, l’elettroshock, la lobotomia, ed altre nefandezze perpetuate nei manicomi.

Io, Cotti, ed altri, abbiamo detto che non bisogna sistemare la psichiatria, ma bisogna proprio eliminarla. La psichiatria è un metodo di controllo terribile e violento. Bisogna aprire un dialogo filosofico e socratico con le persone. Quella di Freud fu una grande rivoluzione. Si passò dal paziente-oggetto al paziente-soggetto interagendo reciprocamente attraverso la dialettica.




Oggi la diagnosi psicologica è molto sviluppata ed usata anche sui bambini e nelle scuole. Come ci si può rapportare ad un bambino definito “problematico”?
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Anni fa, negli Stati Uniti, conobbi due genitori che erano venuti a parlare con noi. Avevano un figlio di 12 anni al quale lo psicologo aveva fatto sapere che doveva prendere delle medicine perché non era abbastanza attento ed era troppo vivace ed indisciplinato. I genitori dissero:”A noi nostro figlio va bene così e i farmaci non gli servono.” Furono ricattati e gli dissero che avrebbero mandato via il bambino dalla scuola. Loro non potevano andare via da quella scuola e controvoglia li lasciarono fare… il bambino morì.

Il trattamento farmacologico che si fa ai bambini mette a rischio la loro vita. I farmaci vanno completamente tolti dalle scuole. Il rapporto con i bambini deve essere discusso tra genitori, insegnanti, amici e figure di supporto. I rapporti umani non vanno sostituiti con gli psicofarmaci, ma vanno coltivati.

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Questo numero de L’Anima Fa Arte è monotematico e dedicato alle Mani. Ha qualche ricordo legato al Suo lavoro e a questa tematica?
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Io ho un ricordo molto espressivo e toccante di una persona dei reparti manicomiali di Imola dove non c’erano gli specchi – queste cose accadevano nei manicomi -. Mi disse che si era accorto di invecchiare attraverso le sue mani. Lui vedeva lo scorrere del tempo grazie alle mani perché non aveva altri mezzi. Le mani fungevano da misura temporale della propria vita, come specchio di sé stessi.

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Info sull'autore

Michele Mezzanotte

Psicoterapeuta, Direttore Scientifico de L'Anima Fa Arte. Conferenziere e autore di diverse pubblicazioni.

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